Oggi più che mai l’implantologia fa parte di una delle pratiche cliniche più utilizzate per ripristinare la funzione dell’apparato dentale. Tuttavia il ripristino funzionale, pur essendo un traguardo fondamentale, non può essere l’unico obiettivo da perseguire, ma deve essere abbinato al raggiungimento di un’estetica ottimale che possa mantenersi nel tempo.
La sfida per noi odontoiatri diventa sempre più difficile dovendo affrontare spesso problemi di mancanza di volume osseo, di tessuti molli che, oltre all’estetica, possano garantire un “sigillo” ottimale al fine di ridurre al massimo le probabilità di infezioni a carico dell’impianto.
Caso clinico
La paziente di 45 anni si presentava alla mia attenzione per agenesia dell’elemento dentario 1.3; al fine di mimare un’estetica da elemento dentario permanente risultava impossibile mantenere ancora il dente deciduo 5.3, che aveva subito nel tempo vari interventi di terapia conservativa (fig. 1).
Da un attento esame obiettivo, si poteva osservare una carenza dei volumi tipica di ogni sito in cui si presenti un’agenesia. Si notavano inoltre recessioni a carico degli elementi dentari 1.2 e 1.3 con trattamenti di conservativa incongrui; le recessioni del 2.4 e 2.5 erano state trattate con terapia conservativa.
La paziente, per motivi economici, mi chiedeva di concentrare la terapia esclusivamente a carico dell’elemento dentario 1.3 e così ho proceduto, dopo aver comunicato comunque alla paziente tutte le terapie necessarie per raggiungere la salute del cavo orale.
A seguito dell’esame obiettivo clinico, seguiva un esame strumentale radiografico cone beam 3D dal quale si poteva osservare un volume osseo sufficiente a supportare un impianto (fig. 2).
Dopo tutte le valutazioni del caso, ho deciso di proporre alla paziente l’inserimento di un impianto a carico immediato non funzionale a sostituzione dell’elemento 1.3 con il contestuale innesto di connettivo, questo al fine di compensare la carenza di volume dovuta all’agenesia.
Dopo l’avulsione del deciduo, è stato inserito un impianto Axiom (Anthogyr) regular di diametro 3,4 seguendo l’andamento della parete palatale e restando fedeli al protocollo descritto dalla letteratura per l’impianto post-estrattivo. Ho proceduto affondando la testa dell’impianto di 3 mm in senso apicale al margine gengivale, creando di conseguenza un gap tra la fixture e la parete ossea vestibolare, compensato successivamente con particolato a lento riassorbimento (fig. 3). Contestualmente alla chirurgia sopra descritta, ho eseguito un’incisione intra-sulculare a spessore parziale nel tessuto della parete vestibolare e ho inserito un innesto di tessuto connettivo stabilizzato con un punto di sutura apicale (fig. 4).
Era stato creato un provvisorio stabilizzato da una dima ad appoggio dentale su un’impronta rilevata in precedenza; lo scopo era quello di garantire la posizione corretta del provvisorio nella fase di stabilizzazione dello stesso; la stabilizzazione è stata effettuata con resina a freddo sul cilindro provvisorio del commercio. In questo caso il cilindro provvisorio utilizzato si adagia in maniera meccanica su di una base denominata AxIN, costituita da un ingaggio conico trilobato corrispondente alla connessione dell’impianto. Ciò ha potuto consentire la realizzazione di una protesi avvitata, garantendo la possibilità di traslare il foro d’uscita della vite protesica di 25° e, allo stesso tempo, evitare di utilizzare tecniche cementate o a incollaggio sia nella protesi provvisoria, sia in quella definitiva.

Diego Longhin
Libero professionista a Campagna Lupia (Venezia)