
L’allungamento chirurgico della corona clinica è l’intervento parodontale più eseguito in assoluto dai dentisti: ecco gli step della tecnica chirurgica per quanto riguarda la quarta fase, il rimodellamento osseo
Alla fine di un intervento di chirurgia ossea resettiva, a un andamento festonato e parabolico dei tessuti gengivali deve corrispondere un andamento festonato e parabolico del tessuto osseo sottostante (fig. 1).
Come affermano Mills e McDonnel «il clinico, prima di poter eseguire correttamente un intervento di osteotomia/osteoplastica, deve rivedere e capire alcune delle caratteristiche anatomiche e delle relazioni tra i denti, l’osso e i tessuti molli di rivestimento. L’idea che un modello vada bene a tutti deve essere dimenticata».
Tuttavia, in questo nostro articolo, per motivi didattici, le procedure di osteoplastica/osteotomia saranno spiegate in step, utili come promemoria al dentista durante un intervento di chirurgia ossea resettiva.
Una considerazione fondamentale è che, per ottenere l’allungamento di corona, l’odontoiatra deve fare “abbondante” osteoplastica sulle balconature ossee, mentre l’osteotomia, cioè l’abbattimento di osso di supporto, è minima. Questo modus operandi porta essenzialmente a una conclusione, cioè che il lembo vestibolare, sia nell’arcata superiore che in quella inferiore, deve essere eseguito sempre a spessore totale; non ha senso, infatti, mantenere del periostio che in seguito sarà eliminato dall’osteoplastica.
Gli strumenti per modellare l’osso sono, fondamentalmente, gli strumenti manuali (scalpelli da osso) e le frese; a tale proposito l’autore ha proposto un cofanetto specifico per questo tipo di interventi (fig. 2) .
Tuttavia la scelta della forma delle frese può essere personalizzata: l’unica caratteristica di quelle propose dall’autore è un gambo più lungo di quello utilizzato normalmente, perché il rimodellamento dell’osso è di solito apicale alle corone, se presenti.
Primo step: rimozione dei frustoli connettivali (facoltativo)
Rimozione frustoli connettivali (se presenti) con l’utilizzo di Soniflex con punta SF1/2/3 (fig. 3) e fresa al tungsteno multilame con forma ad “alberello di natale” (fig. 4).
La raccomandazione per quanto riguarda l’utilizzo di questa fresa è che non va usata sulle superfici radicolari dei denti vitali per evitare un’eccessiva sensibilità post-operatoria; in questi casi è invece consigliato l’utilizzo di curette sito-specifiche con movimento in/aut.
Secondo step: osteoplastica
Creare scanalature ossee interdentali con frese diamantate “a palla” (fig. 5).
Il movimento deve essere in senso corono apicale a ventaglio, con la parte più ampia apicale.
Terzo step: osteoplastica
Riduzione di balconature, esostosi ecc.; rimodellamento degli spessori evidenziati con lo step precedente. Utile a tale scopo è una fresa multilame al carburo di tungsteno (fig. 6).
Quarto step: osteotomia
Si procede con la riparabolizzazione dei margini ossei vestibolari e palatali/linguali. Con lo spigolo di una fresa diamantata cilindrica, diametro 1.4 mm (fig. 7), è disegnata una nuova parabola sull’osso lasciandone un sottile strato, che viene poi fatto “saltare” con scalpello 36 37 back action (fig. 8) o con una curette; è opportuno levigare dove è stata fatta l’osteotomia per eliminare il cemento dove si inseriscono le fibre connettivali sovracrestali che, in caso di permanenza, favorirebbero il rebound dei tessuti molli.
Segue l’osteotomia a carico dell’osso interprossimale. Una fresa molto utile a tale scopo è al carburo di tungsteno a testa piatta, ideale per fare osteotomia in denti devitalizzati che hanno subito una preparazione intraoperatoria. Per eliminare un eventuale cratere, definito come difetto osseo a due pareti residue, rappresentate da quella vestibolare e quella palatale/linguale, è necessario l’abbattimento di una delle due corticali con, ad esempio, una fresa cilindrica diamantata di 1,4 mm diametro. Il movimento è in/aut: la testa piatta della fresa è appoggiata nel fondo del cratere lavorando in uscita, vestibolare o palatale/linguale, secondo l’indicazione clinica (figg. 9 e 10).
Quinto step: rimozione dei “widow peaks”
Per evitare il rebound dei tessuti è stata rilevata in precedenza l’importanza della levigatura delle superfici radicolari. Oltre al cemento dove si inseriscono le fibre del tessuto connettivale sovra-crestale, la presenza di sottili lamelle ossee residue adese alla superficie radicolare, “widow peaks”, è responsabile di un mancato successo del proposito di allungare la corona clinica del dente. Gli strumenti manuali sono rappresentati da Ochsenbein (OSB) 1, 2, e 3: l’OSB nr. 1 deve essere usato perpendicolare all’asse lungo del dente, al contrario del nr. 2 che è adoperato con un movimento “a tergicristallo” parallelo all’asse lungo (fig. 11). Il nr. 3 è utilizzato in senso apico-coronale a livello interdentale: una condizione indispensabile per utilizzarlo è quella di avere denti preparati o lacune dentali prospicienti, essendo uno strumento piuttosto ingombrante per spazi esigui.
Sesto step: assottigliamento dell’osso marginale radicolare
Una conseguenza dell’osteotomia è che l’osso marginale è ispessito; sarà compito dell’operatore assottigliarlo con delle frese a palla diamantate. Come caratteristica peculiare devono essere più piccole di quelle adoperate nei primi due step, in quanto utilizzate in prossimità delle superfici radicolari (fig. 12).
Marco Salin
Odontoiatra
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