La riabilitazione protesica con impianti osteointegrati è attualmente una terapia odontoiatrica altamente predicibile e molto diffusa per la sostituzione dei denti persi e mancanti; per contro è in aumento il numero di pazienti che presentano complicanze dopo l’impianto. È infatti la perimplantite, condizione infiammatoria a carattere cronico-degenerativo che porta a progressiva perdita di supporto osseo, la prima causa di perdita tardiva dell’impianto.
Il termine perimplantite fu coniato nel 1987 da Mombelli; oggi è ufficialmente riconosciuto grazie al nuovo sistema classificativo per le condizioni di salute e di malattia parodontale e perimplantare, risultato di un workshop congiunto fra EFP e AAP che si è tenuto a Chicago ed è stato presentato in occasione di EuroPerio9 ad Amsterdam nel giugno 2018.
In questi anni molti studi di follow-up hanno rivelato una elevata prevalenza di infezioni attorno ai siti implantari e seppure studi clinici e sperimentali abbiano identificato l’eziologia e i fattori di rischio associati a queste patologie, a tutt’oggi, seppure disponibili varie procedure terapeutiche chirurgiche e non chirurgiche, nessuna risulta essere predicibile. Il mondo dell’odontoiatria ha bisogno quindi di opzioni di trattamento che offrano buoni risultati, con un elevato grado di predicibilità e un basso rischio di complicanze.
Caso clinico
Flora G. è una paziente di anni 56, ASA 1, non fumatrice, affetta da parodontite stabilizzata in terapia di mantenimento che giunge alla nostra osservazione lamentando gonfiore e sanguinamento in corrispondenza dell’arcata inferiore destra. Nel settore in esame è presente una riabilitazione protesica cementata su due impianti eseguita otto anni fa.
All’esame obiettivo intraorale i tessuti marginali perimplantari apparivano infiammati ed edematosi; alla palpazione apico-coronale era presente fuoriuscita marginale di essudato purulento e si evidenziava sanguinamento al sondaggio e PPD patologico (figg. 1, 2 e 3); l’esame radiologico confermava la diagnosi di perimplantite (fig. 4).
Il buono stato di salute generale e parodontale della paziente è stato un fattore discriminante nella decisione di non prescrivere antibiotico sistemico per il trattamento della fasa acuta, ma di utilizzare la doxiciclina iclato per uso topico al 14% (fig. 5), facendo riferimento al protocollo di trattamento non chirurgico Mainst, multiple anti-infective non-surgical treatment.
Lo schema terapeutico, previa rimozione del manufatto protesico, era cosi definito:
T0: debridement dell’intera cavità orale, decontaminazione sopragengivale della lesione e trattamento sottogengivale con solo applicazione di doxiciclina topica senza strumentazione del sito. No presidi interprossimali domiciliari per 48 ore, sì spazzolino morbido per sette giorni nella zona trattata.
T1: sette giorni dopo, air-polishing con polvere di eritritolo dell’intera cavita orale, decontaminazione sopragengivale e sottogengivale della lesione con perio-flow, strumentazione meccanica e seconda applicazione di doxiciclina topica. No presidi interprossimali domiciliari per 48 ore, sì spazzolino morbido per sette giorni nella zona trattata.
La paziente è stata monitorata e seguita eseguendo decontaminazione con air-flow a 15 e 30 giorni; a tre mesi, decontaminazione con air-fow e rivalutazione (figg. 6, 7, 8 e 9).
Dopo sei mesi è stata eseguita una radiografia periapicale che documentava una buona remineralizzazione. L’aspetto clinico della mucosa è notevolmente migliorato: i parametri parodontali sono rientrati nella norma con assenza di sanguinamento (figg. 10, 11 e 12).
Questo caso, risolto con terapia non chirurgica seguendo un rigido protocollo nel quale i cardini del successo sono il paziente motivato e le innovazioni tecnologiche, air-perio-flow e antibiotico topico (Ligosan, Kulzer), rappresenta un possibile e valido tentativo di gestione non chirurgica delle malattie perimplantari in un panorama dove non esistono ancora protocolli terapeutici, chirurgici e non, condivisi e predicibili e dove l’impiego dell’antibiotico topico, alla luce del fenomeno delle resistenze batteriche, può evitare e ridurre l’impiego dell’antibiotico sistemico.

Fabio Currarino
DDS, libero professionista a Genova Dottore di ricerca in parodontologia e implantologia Prof. a C. al Clmopd dell'Universita degli Studi di Genova