Nell’odontoiatria moderna il ripristino della funzione dell’apparato dentale e soprattutto il raggiungimento di risultati estetici ottimali risultano essere una esigenza da parte del paziente. In tutta la medicina moderna si è sviluppato il concetto di approccio mininvasivo: questo ha stravolto le convinzioni che erano alla base dei trattamenti definiti ideali, ma che prevedevano un costo biologico troppo elevato per il paziente. Tecniche e materiali sempre più innovativi hanno fornito al clinico e all’odontotecnico la possibilità di soddisfare questo tipo di richiesta.
Caso clinico
La paziente si presentava alla nostra osservazione perché sentiva la necessità di migliorare l’estetica del proprio sorriso, attribuita principalmente alla presenza di un maryland bridge giudicato esteticamente incongruo in posizione 2.2 (fig. 1).
Dopo un’attenta analisi obiettiva, avvalorata anche da foto del volto e del sorriso, si è potuto notare come fossero presenti elementi di disturbo anche in altre porzioni del distretto anteriore. L’elemento 1.2 presentava un vecchio restauro incongruo sia nella forma che nel colore. Gli elementi dentari 1.1 e 2.1 non presentavano gli stessi rapporti anatomici in termini di lunghezza/larghezza, dovuti principalmente alla forma differente dello zenit gengivale. L’analisi radiografica poi, ci faceva pensare che ci fosse, anche se minimo, lo spazio per sostituire l’elemento 2.2 anzichè con un maryland bridge, con una corona sorretta da uno short implant a connessione conometrica.
In virtù di tutte queste analisi, abbiamo deciso di proporre alla paziente un allargamento del piano di trattamento per prendere in considerazione sia la sua richiesta, sia il coinvolgimento di altri elementi dentari. Il primo passaggio è stato quello di inserire l’impianto in posizione 2.2. La paziente si era sottoposta a una terapia ortodontica per poter ripristinare lo spazio della zona 2.2 che presentava un’agenesia.
A fine trattamento la distanza coronale tra gli elementi 2.1 e 2.3 risultava sufficiente per una corona di un incisivo laterale, ma l’esame radiologico mostrava una vicinanza mesio-distale tra le radici che ne controindicava l’inserzione di un impianto standard con tecniche chirurgiche convenzionali. La tecnica utilizzata, chiamata “Interproximal Root Spreading”, consiste nella preparazione del letto implantare con l’utilizzo di fese manuali che transitano tra le due radici, espandendole con delicate manovre rotatorie a 45 gradi in direzione palatale, fino ad arrivare a un diametro di 3 mm. Indicato è l’utilizzo contemporaneo di un martello chirurgico per aiutare le frese ad approfondirsi. L’inserzione di un impianto Narrow di soli 3 mm di diametro e 8 mm di altezza, con la caratteristica di non essere avvitato ma inserito nell’osteotomia a pressione, garantisce una minima compressione contro il legamento parodontale dei denti adiacenti (figg. 2 e 3).
Una volta effettuata questa procedura abbiamo atteso 10 giorni per la guarigione del tessuto, al termine dei quali si è presa una prima impronta in alginato tale da permettere al tecnico di produrre un nuovo maryland adeguato per consentire la corretta guarigione ma soprattutto l’iniziale condizionamento dei tessuti.
Successivamente ci siamo concentrati sulla ricostruzione in composito dell’elemento dentario 1.2. La rimozione del vecchio restauro in composito è avvenuta inizialmente in maniera grossolana con una fresa tronco-conica a grana media, poi più minuziosamente con una fresa a rosetta per la rimozione della sola resina composita, rimasta senza andare a intaccare la superficie di dente residuo.
Dopo il posizionamento della diga di gomma per il completo isolamento, stabilizzata con il filo interdentale posto a cappio intorno al dente che ci ha consentito di scoprirne la porzione più cervicale (fig. 4), siamo entrati nel vivo del processo di ricostruzione. Mordenzatura selettiva dello smalto per 15 secondi, self-etch primer per 30 secondi e infine il bonding con successiva polimerizzazione per 20 secondi.
A questo punto, avvalendoci della mascherina in silicone che ha funzionato da guida, abbiamo ricreato la superfice palatale e le due pareti, mesiale e distale. Una volta costruita la cornice del dente ci siamo concentrati sulla stratificazione, che è iniziata con un composito con un croma leggermente più intenso nella porzione cervicale, per poi ridurlo nella porzione del terzo medio e dei mammelloni. Tra i mammelloni e il margine incisale, sul quale è stata aggiunto un velo di super colore bianco, abbiamo inserito una massa blu-opalescente; infine un sottile strato di smalto ad alto valore a copertura della sola porzione del terzo incisale al fine di dare alla nostra ricostruzione un effetto luminoso.
Terminata la fase della stratificazione, ci siamo concentrati sulla rifinitura. Con una fresa a grana media prima e con la fresa arkansas poi, abbiamo rimosso gli eccessi, mentre con dei dischetti abrasivi e con il manipolo eva abbiamo cercato di ricreare i corretti profili e le giuste linee di transizione. Con la stessa fresa utilizzata precedentemente per l’iniziale rifinitura, abbiamo posto la nostra attenzione su una procedura molto importante ai fini della riuscita corretta del nostro restauro: la micro e macro tessitura.
La fresa viene posta a 45 gradi rispetto alla superficie vestibolare del dente, e fatta lavorare di pancia, con un movimento, in senso verticale che va dal margine incisale verso il cervicale e in senso orizzontale da sinistra verso destra. Infine gli ultimi passaggi per la lucidatura con gommini da composito e con occlubrash, e la brillantatura con le comuni paste diamantate a granulometria decrescente, utilizzate con spazzolini a pelo di capra e il moscione (fig. 5).
In un secondo momento, consentito anche dal sondaggio parodontale, abbiamo deciso di modificare, attraverso l’utilizzo del composito, lo zenit gengivale dell’elemento dentario 1.1, al fine di renderlo più simile rispetto al contro laterale. Dopo il montaggio della diga, con tecnica definita “brasiliana”, abbiamo inserito il filo di retrazione che consentisse il depiazzamento del solco gengivale (fig. 6).
Dopo la procedura di adesione, sopra citata, abbiamo posto un piccolo quantitativo di resina composita nella porzione cervicale dell’elemento, quasi a contatto con i tessuti e polimerizzato. La rifinitura e la lucidatura di questo frammento rappresentano una fase di primaria importanza, perché la resina composita non correttamente lucidata potrebbe consentire accumulo di pacca in una zona così vicina ai tessuti da determinarne l’infiammazione.
Dopo cinque mesi abbiamo effettuato la riapertura dell’impianto, con successiva presa dell’impronta sulla quale è stato creato un provvisorio per la maturazione dei tessuti. Durante questa fase, durata circa due mesi, abbiamo avuto la possibilità di valutare il condizionamento tissutale, il caricamento funzionale dell’impianto ma anche la forma e il colore più consoni per la futura corona definitiva.
Al termine di questo periodo abbiamo quindi deciso di finalizzare il caso con una corona in zirconio-ceramica cementata con un cemento vetroionomerico (fig. 7). La presenza di cemento al di sotto della gengiva è considerata da sempre come una delle principali cause di perimplantite e in virtù di questa considerazione abbiamo preferito posizionare un filo di retrazione al di sotto della spalla del moncone, che consentisse di rimuovere correttamente qualunque residuo dopo la cementazione della corona.
Conclusioni
Si può sostenere che soddisfare la richiesta del paziente, attraverso un approccio minimamente invasivo, ad oggi è da considerarsi come una prerogativa da parte del clinico.
Lo sviluppo di materiali sempre più performanti ci consente di attuare procedure tecniche con il minor sacrificio biologico che di conseguenza garantiscono minor stress da parte del paziente e processi di guarigione facilitati.
Autori:
Riccardo Perpetuini, libero professionista a Roma e socio attivo dell’European Society of Cosmetic Dentistry
Mauro Marincola, libero professionista a Roma e direttore clinico del reparto di Implantologia Orale dell’Università di Cartagena, Colombia

Riccardo Perpetuini
Libero professionista a Roma e socio attivo dell'European Society of Cosmetic Dentistry
Salve, non ho capito bene cosa hai fatto a 1.1 e cos’è la “tecnica brasiliana”.
Ciao.
Mauro
su 11 si nota la modifica leggera dello zenit cervicale.La tecnica brasiliana e’ un metodo ‘alternativo ‘ di posizionamento della diga di gomma.