Il paziente K. M. di anni 44 presenta una grossa ricostruzione in amalgama sul secondo molare superiore destro. Non sono presenti sintomi dolorosi, ma è giunto in studio perché la sensazione della lingua sull’elemento è diversa da qualche giorno. All’esame clinico sul versante occlusale di 1.7 si osserva non solo il danneggiamento ma anche l’infiltrazione (fig. 1). Dopo aver asportato l’otturazione e parte della dentina rammollita, risulta inevitabile ricorrere alla terapia endodontica (figg. 3, 4, 5 e 6).
Per quanto collaborante e partecipativo, come accade spesso dovendo lavorare in posizione posteriore, l’apertura buccale non basta mai; nel nostro caso poi il paziente presenta una conformazione muscolo-scheletrica che gli impedisce l’apertura oltre un certo limite. Si tratta di uno di quei casi in cui la testina del micromotore, con strumento endodontico, non trova accesso. Inevitabilmente i tempi cambiano e anche la conicità non è esattamente quella che ci aspettavamo, tuttavia è sufficiente a garantire un buon riempimento tridimensionale con Thermafil.
Il problema è che il paziente non vorrebbe vedere zone metalliche, ma la dimensione verticale è tale che anche cercando di abbassare il moncone al massimo possibile, gli spazi per metallo e ceramica restano esigui (ritenzioni accessorie non facili in posizione tanto infelice). Dopo una delicata spiegazione, che con la sua conformazione buccale molto difficilmente sarà notata la battuta in metallo, lo convinciamo che rappresenta il compromesso più corretto. Le alternative di ricoprimento cuspidale totale o parziale, viste le difficoltà operative, non garantivano lo stesso risultato. Soprattutto considerando che la bontà dell’odontoiatra viene spesso giudicata dalla misura temporale del “quanto mi dura?”
Dopo aver ricostruito e preparato, allestiamo la prova della cappetta e fissiamo il manufatto ricevuto dal laboratorio. Non siamo completamente soddisfatti del risultato occlusale (figg. 12 e 13), che poteva essere più gradevole nella forma, ma ci conforta la sostanza dell’endodonzia e delle chiusure protesiche e anche lo stesso paziente, con lo specchio, fatica a individuare quanto gli avevamo spiegato.
Ancora una volta la nostra professione ci costringe a misurarci non solo con la tecnica ma anche con le caratteristiche e la collaborazione del paziente. Questo fa onore a un grande maestro che prima di iniziare una riabilitazione protesica prende due impronte in studio per capire come reagisce il paziente e solo dopo decide l’approccio terapeutico.
Chissà cosa pensa del digitale di oggi.

Aldo Crespi
Libero professionista a Corsico (Milano)
Caro collega, è comunque un ottimo lavoro, sia endodontico, sia protesico. Io le battute metalliche su protesi ceramiche le faccio, quando necessario, come in questo caso, dal 1980. Ad majora.
Gentilissimo collega ti ringrazio e apprezzo questa condivisione, per la verità ogni tanto controversa per questa esagerata voglia di ” bianco ” anche occlusale.
Negli ultimi anni, com’è logico, i pazienti sono molto esigenti e spesso non è facile comunicare la differenza tra funzione ed estetica. Con l’età, l’esperienza e la calma si riesce a trasmettere il perché di alcune scelte terapeutiche.
Un caro saluto e come sempre buon lavoro. Aldo
Premettendo che il lavoro protesico mi piace e quell’isola metallica nn la vedrà mai nessuno,non sono daccordo con la scelta del materiale.Forse in era pre metal free era l’unica opzione (a parte una fusa),ma ora un po’ tutti i laboratori moderni sono attrezzati da anni con scanner e fresatori,in questo caso ,dove nn c’era nessuna richiesta estetica ma avevamo problemi di spazio,una monolitica in zirconio aveva la sua indicazione di elezione.
Saluti.
Caro gfoca,
riserviamo lo zirconio a casi diversi di preparazione e di situazione. Comprendo in ogni caso il tuo punto di vista, ma come sai bene molti sono i fattori che entrano in gioco nelle scelte.
Come sempre grazie per la tua partecipazione attiva.
Un saluto e come sempre buon lavoro.
Aldo