Spesso in presenza di canini decidui in età adulta, ormai mobili a causa del fisiologico processo di riassorbimento della radice, ci si trova a risolvere il problema dei canini in inclusione ossea totale per poter effettuare una riabilitazione implantare. Per molto tempo si è cercato di risolvere tale problema mediante l’avulsione dei canini inclusi e l’inserimento, contestuale o differito, dell’impianto, oppure mediante l’estrazione chirurgica-ortodontica degli elementi presenti all’interno della compagine ossea.
Lo scopo di questo studio, condotto su sei casi clinici, è quello di suggerire una valida alternativa terapeutica a tali procedure mediante l’ausilio degli short implants, inseriti nella compagine del tessuto osseo residuo senza il contatto con il canino incluso, in tutti quei casi in cui l’elemento incluso non rappresenta un fattore di rischio per la rizolisi degli elementi dentari contigui; oppure in quelle condizioni in cui è controindicato o si vuole evitare un intervento chirurgico invasivo, con il conseguente innesto di elevate quantità di tessuto osseo eterologo o alloplastico.
Per l’esecuzione dello studio, condotto su sei casi clinici, sono stati utilizzati gli impianti Bicon Short Implants, dotati di connessione conometrica, in alternativa a procedure di rigenerazione ossea, in presenza di un’esigua quantità di tessuto osseo.
Caso clinico
Per facilitare al lettore la comprensione dello studio, ci limitiamo alla presentazione di un singolo caso clinico, poiché tutti gli altri sono stati condotti con la stessa metodologia.
Il paziente si presenta in prima visita con la persistenza dell’elemento dentario 53, ormai divenuto mobile, per cui si esegue un esame ortopantomografico (fig. 1) e una Rvg (fig. 2) dalla quale si rileva la presenza del 13 in inclusione ossea totale e in seconda seduta si è proceduto all’avulsione dell’elemento deciduo.
Il desiderio del paziente era quello di evitare l’estrazione chirurgica-ortodontica del canino incluso o la creazione di un ponte fisso di tre elementi, perché avrebbe comportato l’inevitabile limaggio degli elementi 12 e 14. Per cui gli è stata proposta l’avulsione del canino deciduo e la riabilitazione implantare mediante l’inserimento di uno short implant.
Dopo un’attenta analisi dei fattori di rischio locali e sistemici per l’esecuzione della terapia implanto-protesica, si è proceduto in prima seduta al rilevo di un’impronta per la creazione di un modello studio e un provvisorio post-estrattivo; in seconda seduta, invece, si è provveduto all’avulsione dell’elemento deciduo e nello stesso tempo consegnato un manufatto protesico provvisorio (Maryland Bridge).
A guarigione ottenuta, dopo 40 giorni, è stata eseguita una dettagliata pianificazione implantare mediante l’ausilio della Cbct. Dalle misurazioni effettuate si è potuta rilevare una quantità ossea sufficiente per l’inserimento di uno short implant; in particolare avevamo 6,2 mm in altezza e 5,4 mm di spessore osseo. Quindi una quantità di osso sufficiente per l’inserimento di un impianto Bicon 4,0 x 6.
Dopo aver creato il lembo di accesso e messo a nudo la corticale ossea si è proceduto con l’inserimento della fresa pilota, a 1.100 giri al minuto e alla profondità dettata dalla Cbct, con abbondante irrigazione di soluzione fisiologica sterile alla temperatura di 4°C. Al termine del passaggio della prima fresa si è provveduto alla verifica della corretta traiettoria di preparazione del tunnel implantare mediante l’uso dei pin di parallelismo. Successivamente si è proseguito con le frese di diametro progressivamente crescente, mantenendo la profondità iniziale senza invadere l’elemento dentario incluso.
Infine si è proceduto all’inserimento dell’impianto (fig. 3), al taglio del teflon, all’innesto del tessuto osseo autologo, alla sutura e alla verifica radiografica mediante Opt (fig. 4) e Rvg (fig. 5).
Dopo quattro mesi dall’intervento è stata eseguita la riapertura del sito implantare e l’applicazione dell’abutment di guarigione in titanio per il condizionamento dei tessuti molli perimplantari. A distanza di otto giorni si è rilevata l’impronta di precisione e venti giorni dopo si è provveduto alla consegna del manufatto protesico definitivo (fig. 6), raccomandando le buone norme per una corretta igiene orale.
A distanza di quattro anni il paziente si è presentato alla nostra osservazione (fig. 7) con presenza di placca batterica diffusa, legata sia alla carente igiene orale domiciliare, sia al fatto che non si presentava ai richiami periodici di controllo. Inoltre erano ben visibili segni evidenti legati al fumo di tabacco. Nonostante la presenza dei due fattori di rischio, i tessuti molli si presentavano perfettamente sani; le parabole gengivali, perfettamente in armonia con i tessuti degli elementi dentari contigui; al sondaggio parodontale vi era la totale assenza di sanguinamento. Dopo aver effettuato un accurato esame obiettivo, si è deciso di effettuare un esame radiografico Opt (fig. 8), dal quale si rileva il mantenimento del tessuto osseo crestale e l’assenza di foci infiammatori al collo dell’impianto.
Conclusioni
Da tale studio possiamo giungere alla conclusione che in tutti quei casi l’estrazione chirurgica-ortodontica del canino incluso è controindicata o la sua avulsione comporta un intervento chirurgico invasivo, con conseguente perdita di un’elevata quantità di osso e la necessità di una rigenerazione ossea guidata (Gbr), l’inserimento dell’impianto nella compagine ossea residua mantenendo il canino incluso potrebbe:
1) evitare interventi di rigenerazione, ricostruzione e aumento del volume osseo in siti atrofici;
2) ridurre la morbilità postoperatoria;
3) evitare il rischio di rizolisi, poiché si è visto che quest’ultimo aumenta con l’avanzare dell’età;
4) diminuire i costi dell’intera procedura;
5) accorciare i tempi necessari alla guarigione, al carico e la realizzazione del manufatto protesico definitivo.
Infine l’utilizzo di tessuto osseo autologo, piuttosto che tessuto eterologo o alloplastico, potrebbe portare migliori risultati a lungo termine.
Autori
Giuseppe Claudio Carbonaro, libero professionista a Catania
Samuele Bentivegna, libero professionista a Troina (Enna)
Stefano Cuccia, libero professionista a Tremestieri Etneo (Catania)
Cari colleghi, intervento sicuramente elegante e ben fatto, ma, nel caso specifico, non c’era alcuna controindicazione all’intervento di estrusione del canino incluso, visto che è stato possibile un intervento implantologico, ma solo la “volontà” del paziente (di cui non scrivete l’età, ma che sembrerebbe ancora relativamente giovane ed in grado di sopportare un tale intervento; inoltre dall’OPT il canino non sembrerebbe ancora anchilosato), che, comunque, si è “beccato” un intervento di inserimento di impianto, con prospettive future molto incerte (impianto corto per sostenere un canino piuttosto lungo e,si suppone, sollecitato normalmente nei movimenti estrusivi, con un braccio di leva probabilmente non felice); inoltre, quando l’impianto cederà, probabilmente il canino incluso sarà più anchilosato e l’estrusione eventuale più complessa e dubito che ci sia osso a sufficienza per inserire un altro impianto. C’è anche la possibilità che il canino si sposti verso l’impianto, trovando adesso un minor ostacolo osseo. D’accordo di operare in questo modo in caso di presenza di controindicazioni assolute o anche relative all’intervento (che, nel caso sembra non ci fossero), ma io avrei tentato in tutti i modi, anche a costo di “perderlo”, di convincere il pz. ad eseguire l’estrusione, non avrei inserito un impianto e, comunque, non un impianto corto. Cari saluti.
Gentili colleghi,
nel totale rispetto del vostro caso clinico, per altro molto ben eseguito e pianificato in ogni dettaglio come scrupolosamente scritto, trovo del tutto comprensibile il punto di vista del collega che mi precede.
Questa valutazione nasce dal fatto che le linee guida, in un caso simile, prevedono prima di tutto la soluzione chirurgica-ortodontica come stato dell’arte.
Anche perché l’implantologia sostiene da sempre un corretto rapporto corona -radice.
Quindi il caso esposto, rappresenta un compromesso terapeutico più che legittimo, piuttosto che una vera alternativa.
Detto questo non posso che apprezzare la documentazione e il monitoraggio nel tempo, arma sempre vincente nella nostra attività clinica.
Un caro saluto e come sempre buon lavoro.
Aldo