
Stefano Daniele
Negli ultimi anni tra i materiali impiegabili per la restaurativa sono comparse le resine composite bulk-fill che hanno la caratteristica di poter essere impiegate per riempire cavità posteriori profonde anche attraverso un unico incremento, che può arrivare a 4 mm. Questa caratteristica è legata alla loro consistenza fluida – e quindi la possibilità di essere iniettati – e in secondo luogo al fatto che riescono a polimerizzare adeguatamente (grado di conversione dei monomeri) anche in spessori aumentati per mezzo della loro translucenza, che permette un passaggio agevolato di luce fino negli strati profondi. Sono altresì dotati di una cinetica di polimerizzazione più efficace in seguito all’aggiunta di particolari iniziatori di polimerizzazione.
Nella loro prima versione i compositi bulk-fill si presentavano in uno stato fisico fluido, tale da essere iniettati in spessori aumentati nella cavità, e per definizione si tratta di resine composite a bassa viscosità (low viscosity “LV”). Questa tipologia di compositi bulk-fill richiede necessariamente la ricopertura della superficie occlusale con uno strato di spessore variabile, generalmente intorno ai 2 mm, di composito convenzionale altamente caricato in riempitivo (vol %) al fine di poter resistere adeguatamente alle forze masticatorie e ridurre al minimo il consumo “wear” superficiale della resina composita sottoposta alle forze cicliche della masticazione.
Un recente e interessante articolo di Young Kim e colleghi (1) mette a confronto i compositi convenzionali, i compositi fluidi, i compositi bulk-fill a bassa viscosità e i compositi bulk-fill ad alta viscosità considerando i parametri di contrazione da polimerizzazione, stress da contrazione e modulo di elasticità “E” acquisito dal materiale al termine della fotopolimerizzazione. Questi outcome appaiono molto importanti perchè permettono agli autori di trarre delle conclusioni sulle caratteristiche dei diversi materiali e degli importanti risvolti relativi al loro impiego clinico.
Le nozioni di base
Concetti acquisiti sono che esiste una relazione inversa di proporzionalità tra contenuto di filler (vol %) della resina composita ed entità di contrazione da polimerizzazione (se la resina composita è più caricata in filler tende a contrarsi di meno), mentre esiste una relazione di proporzionalità diretta tra contenuto di filler (vol %) e modulo di elasticità, che si traduce in una maggior resistenza della resina composita all’usura delle forze della masticazione.
La relazione è sicuramente meno chiara confrontando la contrazione da polimerizzazione di compositi foto attivati con lo stress da contrazione che rappresenta la manifestazione delle forze della contrazione sull’interfaccia adesiva e che in alcuni casi può superare la forza del legame adesivo e determinare il distacco marginale del restauro dalle pareti cavitarie, con tutte le conseguenze derivanti (micro-infiltrazione marginale, sensibilità post-operatoria, facilità allo sviluppo di carie secondaria).
Lo stress da contrazione in generale non è correlato in maniera proporzionale e lineare alla contrazione poichè intervengono altri fattori quali la validità del legame adesivo, la conformazione della cavità (C-Factor) e la velocità con la quale avviene la polimerizzazione della massa di composito apposta. Rimane la questione che la contrazione rappresenta il “motore” dello stress e quindi una certa relazione, anche se non lineare, esiste.
La contrazione è un evento inevitabile nella manipolazione dei materiali resinosi compositi foto-indurenti e sottolinea, paradossalmente, una buona manipolazione del materiale (corretta polimerizzazione del materiale) mentre lo stress è un evento sfavorevole in quanto può compromettere quando si manifesta l’integrità dell’interfaccia tra la cavità e il restauro con le conseguenze prima citate.
Bulk-fill a confronto
Ritornando all’articolo prima citato gli autori hanno considerato e confrontato secondo gli outcome prima indicati (contrazione da polimerizzazione, stress da contrazione e modulo di elasticità) quattro gruppi di resine composite e nello specifico un composito convenzionale altamente caricato “CC” (60 vol %), un composito flowable “FC” (circa 50 vol%), un gruppo di compositi bulk-fill a bassa viscosità “BL” (circa 40 vol%) e infine un gruppo di compositi bulk-fill ad alta viscosità “BH” (circa 70 vol %). Bisogna precisare dal punto di vista propedeutico, per capire i risultati e i risvolti dello studio, che la viscosità della resina composita o bulk-fill non dipende solo ed esclusivamente dalla percentuale di filler presente ma dipende anche dalla miscela di monomeri resinosi presenti che hanno tra loro diversa viscosità (il monomero resinoso TEGDMA è molto meno viscoso del noto Bis-GMA).
Iniziando a prendere in considerazione la contrazione da polimerizzazione, lo studio mette in evidenza come le resine composite flowable e i bulk-fill “BL”, entrambi a bassa viscosità, presentano la maggior contrazione da polimerizzazione mentre le resine composite convenzionali e i bulk-fill “BH”, entrambi ad alta viscosità, evidenziano la minor contrazione da polimerizzazione contestualmente allo studio.
Considerando lo stress da contrazione il panorama cambia, nel senso che le resine composite flowable sono tra i materiali che evidenziano non solo massima contrazione da polimerizzazione ma anche i più alti valori di stress.
I compositi bulk-fill ad alta viscosità “BH” mostrano alti valori di stress nonostante la bassa contrazione da polimerizzazione, mentre le resine composite convenzionali e i bulk-fill a bassa viscosità “BL” evidenziano bassi valori di stress da contrazione.
Il modulo di elasticità e quindi la resistenza ai carichi masticatori segue la presenza in vol % del filler e quindi più la resina composita è caricata, più elevata è la sua resistenza alle sollecitazioni cicliche della masticazione: di conseguenza nell’ordine avremo le resine composite convenzionali, quelle flowable, i bulk-fill ad alta viscosità “BH” e infine i bulk-fill a bassa viscosità “BL”.

Riposizionamento del margine cervicale prossimale (Proximal Box Elevation, PBE) in corrispondenza di 4.6 e 4.7 mediante resina composita bulk fill prima
della rilevazione dell’impronta. La figura 2 evidenzia, per mezzo dell’applicazione della PBE, un margine prossimale ben definito dall’impronta e di facile
lettura da parte dell’odontotecnico nel confezionamento dei manufatti indiretti in ceramica vetrosa
Indicazioni cliniche
Le ricadute cliniche di queste osservazioni sono rilevanti.
Le resine composite convenzionali trovano indicazioni all’impiego mediante tecnica incrementale classica poichè richiedono per polimerizzare adeguatamente incrementi controllati di circa 2 mm, ma in conclusione sono materiali ideali per il restauro posteriore in quanto non presentano alti valori di stress da contrazione e presentano un ottimo modulo di elasticità e quindi resistenza alle sollecitazioni cicliche della masticazione.
Le resine composite flowable non possono essere impiegate con tecnica bulk (incrementi aumentati fino a 4 mm) in quanto presentano i più alti valori di stress da contrazione e, essendo poco caricati, non hanno abilità di resistere al consumo superficiale durante la masticazione (wear). In virtù dell’elevato stress da contrazione, i compositi flowable non sarebbero nemmeno i materiali ideali da impiegare come liner di sottofondo o per il riposizionamento cervicale del margine “PBE” durante i procedimenti di confezionamento dei restauri indiretti.
Riguardo i compositi bulk-fill che, ripetendo, prevedono un impiego attraverso un incremento unico e aumentato fino a 4 mm, la scelta dovrebbe ricadere su compositi bulk-fill a bassa viscosità “BL” in quanto presentano il valore più basso di stress di contrazione tra i materiali presi in esame, che sono indicativi del panorama di tutti i compositi impiegati in odontoiatria restaurativa. Il basso modulo di elasticità (bassa carica di filler vol %) impone però, qualora si impieghino i bulk-fill “BL”, la ricopertura dell’ultimo strato occlusale con un composito convenzionale per poter resistere all’usura occlusale.
I compositi bulk-fill ad alta viscosità “BH” evidenziano sicuramente maggior stress da contrazione rispetto agli analoghi “BL” ma non richiedono, in virtù della maggior presenza di riempitivo, la ricopertura superficiale con un composito convenzionale altamente caricato.
Gli autori concludono che nonostante esistano trial clinici di breve-medio termine (vedi box in questa pagina) che evidenziano una buona sopravvivenza dei restauri eseguiti con tecnica bulk-fill rispetto anche a tecniche convenzionali, occorre ancora prestare attenzione all’impiego di tali materiali e che probabilmente non possono ancora essere considerati dei sostituti dei compositi convenzionali altamente caricati.
STRATIFICAZIONE VS TECNICHE BULK-FILL: LA SFIDA IN LETTERATURA_Secondo i dati di un trial clinico randomizzato condotto nel 2014 (2) su 104 restauri di classe I e II, al follow-up a 3 anni con criteri di rivalutazione definiti (USPHS) non si evidenziano differenze in termini di fallimento annuo (annual failure rate, Afr) tra tecniche di stratificazione incrementale del composito e tecniche bulk-fill.
Lo studio di follow-up a 5 anni dello stesso trial clinico (3) evidenzia poi nessuna differenza statistica (p>.05) tra le due tecniche, con un fallimento annuo di 1,4% per la tecnica bulk-fill e di 2,1% per l’approccio convenzionale con composito stratificato.
Un altro trial (4) ha confrontato 38 paia di cavità di classe I e 62 paia di cavità di classe II trattate con sistema self-etch all-in-one e, rispettivamente, con incrementi di composito bulk-fill di 4 mm + strato superficiale oppure con riempimento incrementale con composito convenzionale. Alla rivalutazione a 3 anni di follow-up con criteri definiti (USPHS modificato), i valori di fallimento annuo sono stai di 1,2% per i bulk-fill e 1,0% per i compositi convenzionali. La differenza a 3 anni insomma non è statisticamente significativa (p>.05) e la tecnica bulk-fill presenta a 3 anni una buona efficacia clinica, comparabile con le tecniche convenzionali.
Un lavoro del 2015 (5), invece, ha dimostrato come l’impiego dei compositi bulk-fill per riempire cavità della profondità di 4 mm produce un incremento di temperatura che si avvicina al valore critico di 5,6 C¡ in grado di provocare danni ai tessuti pulpari. L’effetto è più evidente quando lo spessore di dentina residua è uguale o inferiore a 0,5 mm.
2. van Dijken JW, Pallesen U. A randomized controlled three year evaluation of “bulk-filled” posterior resin restorations based on stress decreasing resin technology. Dent Mater. 2014 Sep;30(9):e245-51.
3. van Dijken JW, Pallesen U. Posterior bulk-filled resin composite restorations: a 5-year randomized controlled clinical study. J Dent. 2016 Aug;51:29-35.
4. van Dijken JW, Pallesen U. Randomized 3-year clinical evaluation of Class I and II posterior resin restorations placed with a bulk-fill resin composite and a one-step self-etching adhesive. J Adhes Dent. 2015 Feb;17(1):81-8.
5. Kim RJ, Son SA, Hwang JY, Lee IB, Seo DG. Comparison of photopolymerization temperature increases in internal and external positions of composite and tooth cavities in real time: Incremental fillings of microhybrid composite vs. bulk filling of bulk fill composite. J Dent. 2015 Sep;43(9):1093-8.
Stefano Daniele
Odontoiatra