Rimandati, annullati o trasformati in eventi digitali: è la sorte di molti (quasi tutti) congressi delle società scientifiche, in ogni specialità della medicina. Se le ricadute sulle necessità di aggiornamento continuo degli specialisti sono ovvie, meno ovvie sono le dinamiche che hanno portato a queste decisioni e l’impatto che tali assenze potranno avere in futuro sul settore. A rischio c’è la sopravvivenza stessa delle società scientifiche.
Nella voce “entrate” dei bilanci delle società, come noto, ci sono le quote di iscrizione annuale dei soci, ai quali bisogna garantire un ritorno in termini di servizi. A partire dagli eventi residenziali, indiscutibilmente più attrattivi rispetto a qualsiasi evento digitale. Ma le quote associative da sole non bastano: buona parte della sostenibilità presente e futura delle società scientifiche si fonda sui proventi delle sponsorizzazioni aziendali, cifre anche importanti che le aziende mettono sul piatto per partecipare ed esporre a corsi e congressi.
A far saltare in questi mesi gli eventi formativi residenziali sono stati il lockdown prima e lo stop da parte delle autorità agli eventi in presenza in cui era coinvolto il personale sanitario dopo. Caduto questo limite dal primo settembre, sono altri i fattori che hanno impedito il regolare svolgimento degli eventi.
Per chi organizza c’è anzitutto la difficoltà di doversi impegnare economicamente con le sedi congressuali, senza però certezze sull’effettivo svolgimento dell’evento nelle date prestabilite e con forti dubbi sulla quantità di partecipanti che riusciranno a coinvolgere, rendendo il conto economico delle manifestazioni (che dovrebbero almeno ripagarsi) un vero rompicapo. C’è infine da fare i conti con il rischio contagio, anche in termini di immagine: la probabilità di passare alla storia come il congresso-focolaio, con tutti in quarantena per giorni, non è poi così remota.
Ma oggi c’è soprattutto un’enorme difficoltà a coinvolgere le aziende: lo smart working e la cassa integrazione, prorogata a fine anno e utilizzata da molte ditte, hanno ridotto la disponibilità di personale per gli eventi. Costi aumentati e oggettive difficoltà per garantire la sicurezza dei propri addetti fuori sede, con anche i timori di eventuali sequele legali, hanno spinto alcune multinazionali a fermare completamente queste attività. Per le piccole aziende il problema è forse diverso ma il risultato non cambia: tutti a casa, perché un piccolo focolaio tra i dipendenti può decretare il blocco totale, per almeno 14 giorni, dell’intera attività aziendale. Infine, calcolatrice alla mano, le spese per acquistare spazi congressuali, allestirli e spostare il personale rischiano di essere molto superiori rispetto ai ritorni: in caso di scarsa affluenza di pubblico, il costo-contatto con un potenziale cliente diventa insostenibile per le aziende.
Ecco perché dal primo settembre in avanti non è sostanzialmente cambiato nulla e i congressi in presenza sono oggi una rarità, paralizzando un’economia ben rodata negli anni e funzionale a tutto il sistema salute. Senza una ripartenza degli eventi residenziali, che comunque nessuno immagina in tempi brevi ai livelli pre-Covid, può entrare in crisi un modello. Diversamente non si può fare: il modello alternativo, ad oggi, non c’è. Di sicuro non è quello degli eventi virtuali: meno formativi per i partecipanti, poco attrattivi per le aziende e, in ogni caso, insipidi, privi di socialità.
Andrea Peren
Giornalista Italian Dental Journal