
Da sinistra l’avvocato Michele Bonetti, Angelo Raffaele Sodano (Aio), Alessio Portobello (Udu), Massimo Cozza (Cgil) e Luigi Conte (Fnomceo) al villaggio studentesco “Revolution Camp” di Paestum
Numero programmato sì o no? Pro e contro della selezione degli studenti all’ingresso a medicina, odontoiatria e veterinaria sono stati snocciolati alla tavola rotonda sull’accesso ai corsi universitari ad indirizzo medico tenuta al Revolution Camp di Paestum (Salerno) l’1 agosto dall’Udu, Unione degli studenti universitari.
Circa 900 ragazzi per 12 giorni si sono confrontati sui temi del lavoro; all’incontro, moderato da Alessio Portobello (Udu), hanno preso parte il segretario Aio Raffaele Sodano, il vicepresidente Fnomceo Luigi Conte, Massimo Cozza di Cgil medici e l’avvocato Michele Bonetti.
Pro e contro del numero chiuso
Da una parte, come evidenzia Conte, limitare gli ingressi in ateneo crea più chance di lavoro a chi entra, porta a bassi indici di abbandono (5% contro una media del 15% delle altre facoltà) e a lauree in tempi canonici per l’80% degli studenti. Infine, calmiera i costi della formazione. Dall’altra, nota Cozza, il test d’ingresso è una lotteria malfatta («intorno alla quale si realizza sempre più un vero e proprio business tra corsi privati e date diverse di concorsi a pagamento»), aggirata dai ricorsi e dall’emigrazione dei nostri studenti nei paesi dove non c’è selezione. La selezione non è un obbligo europeo, anzi s’è salvata per il rotto della cuffia con la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo del 2 aprile 2013 che lo ha ritenuto non inammissibile. Pratica imposta negli anni Novanta nelle facoltà professionalizzanti di alcuni paesi dell’Unione Europea, è stata ammessa in Italia ufficialmente dalla sentenza della Corte Costituzionale 383/98. Nessuna direttiva Ue vincola il nostro Paese a selezionare chi accede nelle facoltà, anzi i ricorsi ai Tar sono spesso accolti con ammissioni in sovrannumero per i ricorrenti, come sta avvenendo di fronte ai ricorsi Udu dopo il test dello scorso aprile.
La selezione non piace in primo luogo all’università, come afferma lo stesso avvocato Bonetti sottolineando il tramonto della cultura dei quiz negli Usa: dalla disamina di Bonetti emerge come alcuni atenei (Università Cattolica Roma, Biocampus, San Raffaele) offrano il test in data diversa da quella canonica, dando così un’altra opportunità a chi ha già risposto ai quiz in un’altra sede. Del resto, ricorda Sodano, i primi a chiudere un occhio sui ricorsi furono proprio gli atenei, verosimilmente per aumentare il numero di iscritti.
Lauree all’estero
Tuttora le università italiane sono all’origine di fenomeni di aggiramento quale l’anomalia – sollevata da Aio in Fnomceo – della sede distaccata di Tor Vergata a Tirana, dove docenti italiani insegnano, ben pagati e fuori dalle norme Ue, anche a italiani. Risultato? Alla Cao Roma – come riporta l’avvocato Bonetti – nel 2013 a fronte di 60 iscrizioni ben 35 sono state da università straniere.
Sulle lauree all’estero la posizione dell’Associazione italiana studenti di odontoiatria è netta: «questi studenti spesso rientrano in Italia un anno prima rispetto ai colleghi che si laureano nel “Belpaese” (secondo l’attuale piano di studi, corrispondente a 6 anni). Aggirare il test purtroppo non è illegale, ma è certamente sintomo di un sistema che non funziona, è un escamotage per aggirare una programmazione che nella nostra disciplina è necessaria» spiegano gli studenti dell’Aiso in una nota.
Sulla stessa linea gli Stati generali dell’odontoiatria (Aiso, Andi, Cao, Cic, Collegio dei docenti), che riuniti a Roma lo scorso luglio hanno espresso la «necessità di difendere la programmazione quale elemento fondamentale per garantire la formazione di professionisti correttamente preparati». La necessità sarebbe quella di «evitare la crisi dei corsi di laurea in odontoiatria che, nonostante l’altissimo livello culturale dei docenti, possono formare correttamente soltanto un determinato numero di studenti in riferimento alle potenzialità strutturali e organizzative dei corsi stessi». Per questo motivo gli Stati generali dell’odontoiatria esprimono «perplessità sulle diverse pronunce della giurisdizione amministrativa che continuano ad ammettere ai corsi, in via cautelare, numerosi studenti che non hanno superato i test di accesso» sottolineando che «occorre comprendere che garantire il cosiddetto “diritto allo studio” in modo indiscriminato senza tenere conto del merito, comporta necessariamente il rafforzarsi di una fascia di disoccupazione nel settore odontoiatrico che da un lato può recare soltanto danno a una vera tutela della salute dei cittadini e dall’altro porta all’impossibilità per i corsi di laurea di formare in modo effettivo gli studenti con il rischio di peggiorare il livello qualitativo e culturale degli odontoiatri italiani. Eguali preoccupazioni – continua il documento diffuso dagli Stati generali dell’odontoiatria riuniti a Roma a fine luglio – nascono dal troppo frequente ricorso da parte di studenti che non hanno superato i test di accesso ai corsi di laurea italiani a percorsi formativi presso università comunitarie e non comunitarie. È evidente che una soluzione a una questione che premia gli studenti abbienti rispetto a coloro che non hanno i mezzi necessari per recarsi all’estero deve essere trovata attraverso una programmazione europea e i primi segnali positivi cominciano finalmente a pervenire anche dalle istituzioni italiane e comunitarie. A tal proposito si auspica che il coordinamento europeo per la programmazione dell’offerta formativa in tutti i paesi aderenti possa portare velocemente ai risultati da tutti auspicati sempre a garantire il diritto alla salute dei cittadini europei».
Qualche giorno dopo dal Revolution Camp di Paestum il vicepresidente Fnomceo Luigi Conte rilevava l’importanza di normare gli accessi ai corsi in base alle reali esigenze lavorative, per evitare il proliferare di disoccupati intellettuali che, a differenza di altri laureati, non hanno sbocchi lavorativi diversi dal proprio campo di formazione, ma costano molto allo Stato: un laureato in medicina grava sulle casse statali per circa 30.000€ annui, oltre al pesante investimento della famiglia (e suo). Interessante anche l’opinione di Raffaele Sodano (Aio) per il quale resta comunque la necessità di regolare in qualche modo gli ingressi ai corsi in vista della seconda grande selezione: l’ingresso alle scuole di specialità italiane, sempre più restrittivo: «i mondi di formazione e professione (e previdenza) non possono viaggiare distanti e finora – dice Sodano – è accaduto proprio questo».