Il paziente M. R. inizia il suo percorso molti anni fa (circa 15) con una radio trasparenza distale in 3.6 che lascia poco spazio alla fantasia.
Ripulita la dentina infiltrata, si raggiunge il tetto camerale quindi inevitabile risulta la terapia canalare seguita da terapia conservativa con una comune amalgama allora non ancora demonizzata.
Qualche anno dopo (circa 10) l’amalgama, causa frattura di parete, viene sostituita da una corona.
Sembra che tutto vada bene, ma in realtà da una radiografia di controllo nella mesiale compare un alone di sofferenza che nulla di buono lascia presagire (infiltrazione coronale?).
Infatti, qualche mese dopo la piccola lesione iniziale diventa importante. Decidiamo per un’endodonzia retrograda che sembra dare discreti risultati, eseguita con ultrasuoni e ingranditori.
Peccato che quasi un anno dopo la lesione si ripresenta. Per non esagerare con l’accanimento terapeutico, non ci resta che la terapia exodontica.
Trascorsi i tempi di guarigione, e solo quando la zona è certamente bonificata, inseriamo un impianto e finalmente terminiamo il caso.
Si tratta di un percorso emblematico in cui, da una semplice cura conservativa, si può arrivare all’estrazione nonostante una terapia clinicamente “accettabile”.
Vero che sono trascorsi più di 15 anni ma altrettanto vero che anche se con la diga e i canali “apparentemente” detersi ci sono batteri particolarmente insidiosi che non è così scontato sconfiggere.
Per noi tutto questo è motivo di riflessione profonda e certamente di condivisione con altri colleghi.

Aldo Crespi
Libero professionista