
Roberto Rosso
Appena un quarto degli studi determina circa due terzi del fatturato dell’intero settore. Le ultime rilevazioni di Key-Stone indicano un lieve recupero nei consumi dei dentisti italiani, ma ancora in terreno negativo.
Non è una novità: i consumi dei dentisti italiani sono in lieve calo, ma non quanto si potrebbe ipotizzare dal forte allarme lanciato dalle categorie professionali e dalle dichiarazioni degli addetti ai lavori, come si evince dalle nostre stesse ricerche descrittive.
Fenomeno già ampliamente dibattuto sulla stampa economica e di settore e in vari congressi, trova risposta sostanzialmente in due ambiti differenti: il probabile afflusso di parte dei pazienti presso nuove forme di offerta odontoiatrica e la trasformazione del mix attività dello studio dentistico, dove si riducono le prestazioni a maggior valore aggiunto, come la protesi, mentre reggono altri ambiti, come la conservativa o la profilassi.
Oltre che da valutazioni qualitative, questo concetto è fortemente sostenuto anche dall’analisi dettagliata dell’andamento del mercato che, grazie alla ricerca Sell-Out Analysis (ricerca basata sulla raccolta e riclassificazione delle vendite dei più importanti distributori e fabbricanti di prodotti dentali), consente di osservare come alcune categorie di prodotto – tipo ricostruzione, endodonzia, monouso, disinfezione – stiano sostanzialmente tenendo a discapito di altre categorie – ad esempio i materiali da impronta, lo strumentario, ecc. per le quali si nota una più seria situazione recessiva.
Ma tornando all’insieme dei consumi di prodotti, si può osservare nel grafico 1 l’andamento mensile cumulato del mercato – dove per cumulato si intende la somma del business negli ultimi dodici mesi rispetto ai dodici precedenti – che consente di notare mensilmente in forma dinamica come il picco minimo di consumi si sia determinato nella primavera del 2013, con una successiva lenta ma progressiva ripresa che in chiave prospettica fa ben sperare per il 2014. Lo si può osservare facilmente dalla linea di tendenza, indicata in rosso nel grafico 1.
Gli studi spendono 800 euro al mese
Prescindendo dalle tendenze in atto, è interessante valutare anche la massa media di acquisti dello studio dentistico – che di fatto ne rappresenta la capacità produttiva – e quanto questa possa variare in funzione di parametri demografici e strutturali dell’ambulatorio odontoiatrico. Tale indagine è stata effettuata nell’autunno 2013 su un campione rappresentativo di 780 studi dentistici attraverso il sistema di ricerca OmniVision, che si basa su interviste a dentisti e viene sviluppata periodicamente (ripetuta su campione a rotazione) per poter realizzare le più opportune analisi di confronto dei trend.
Analizzando gli acquisti medi mensili di consumo dichiarati (escludendo implantologia, ortodonzia, attrezzature), la media complessiva sfiora gli 800 euro mensili e, pur potendo contenere un errore statistico di media rilevanza, è perfettamente coerente con i valori reali di mercato, calcolati attraverso le misurazioni più accurate provenienti dalla Sell-Out Analysis, che stimano il mercato intorno ai 320 milioni di euro.
Se poi segmentiamo il valore in tre diversi scaglioni (grafico 2), si può subito osservare un fenomeno sempre più caratterizzante il tessuto imprenditoriale delle strutture odontoiatriche italiane: la loro straordinaria eterogeneità. Infatti, quasi il 40% degli ambulatori dichiara meno di 400 euro di consumi mensili (con una media di 260), mentre circa metà delle strutture si divide quasi equamente in due altre fasce di acquisti, con una differenza tra loro piuttosto marcata. Ma il dato più interessante è che la media di 791 euro si trova nel pieno dello scaglione più alto (in giallo chiaro nel grafico), a sua volta caratterizzato da un importo medio che supera i 1.800 euro.
Per i non addetti o per chi ha meno dimestichezza con le “questioni matematiche”, è bene spiegare che se la media di tutto il settore si trova nel cluster più alto (25% oltre 700 euro), ciò significa che un quarto delle strutture ha consumi (e quindi produzioni) di gran lunga superiori alla maggioranza degli studi dentistici, al punto da condizionare la media di settore in modo eclatante.
Il fenomeno, confrontando con precedenti rilevazioni, è sensibilmente cresciuto negli ultimi anni e ciò significa che si sta creando un vero e proprio divario tra una minoranza di studi dentistici apparentemente più virtuosi in termini quantitativi (circa un quarto) e tutto il resto del settore, caratterizzato da micro strutture che nel tempo potrebbero avere difficoltà a reggere in un’arena competitiva sempre più selettiva.
Per approfondire questo tema dell’eterogeneità tra gli studi dentistici si sono utilizzati due parametri di segmentazione dell’informazione: il numero di poltrone del centro e il numero di pazienti annuali trattati; quest’ultimo – pur essendo una variabile dipendente dalla precedente – offre un interessante punto di osservazione ulteriore (grafico 3).
La segmentazione dei risultati evidenzia in modo ancora più marcato come il segmento degli studi dentistici con risultati di gran lunga migliori rispetto alla media sia quello composto da strutture con almeno tre riuniti e oltre 300 differenti pazienti trattati durante l’anno (e comunque con un minimo di 30 accessi alla settimana). Nuovamente, poco più di un quarto delle strutture generano la maggior parte del business da un lato e assistono la porzione di pazienti più grande dall’altro. Si consideri a tal proposito che il 27% degli studi dentistici trattano più del 65% dei pazienti italiani, sempre secondo quanto rilevato da OmniVision nell’ultima sua edizione.
Queste valutazioni consentono di aprire una parentesi anche sulla media dichiarata di pazienti annuali che risulta pari a 362: quindi anche in questo caso il cluster più performante mostra risultati quantitativi straordinariamente superiori alla media, con oltre 600 pazienti per chi ha tre o più riuniti e ben 820 per chi si trova nello scaglione “oltre 300”, come si osserva dal grafico 4 sulla media pazienti secondo questi segmenti.
Un quarto degli studi traina tutto il settore
Tornando al “monte acquisti” dei dentisti italiani, ovvero i loro consumi di prodotti odontoiatrici, i dati consentono di affermare che il 25% di tutti gli studi dentistici del territorio italiano determina circa i due terzi del fatturato complessivo. Ciò comporta interessanti valutazioni anche da parte delle aziende produttrici e distributrici che, tenendo in considerazione questi aspetti, adeguano l’impegno delle loro risorse e della forza vendita in funzione dell’effettivo potenziale di mercato di segmenti diversi e un “territorio italiano” estremamente eterogeneo.
A tale proposito non va infatti dimenticato che, così come avviene per gli aspetti macro economici come ad esempio la distribuzione del PIL, anche per il numero di pazienti e per i consumi i dati medi cambiano in modo sensibile in funzione delle regioni italiane, e per questo è in fase di elaborazione il nuovo rapporto GeoMonitor che consentirà di ottenere una ripartizione dettagliata di pazienti e mercato nel territorio, una sorta di geografia del settore dentale italiano, i cui risultati saranno ospitati al più presto su queste pagine.
Roberto Rosso
COME INTERPRETARE I DATI DELLA RILEVAZIONE?
Tornando alla forte eterogeneità e al trend di concentrazione in atto, non va dimenticato che dietro gli acquisti ci sono innanzi tutto pazienti trattati, terapie eseguite, patologie curate.
A ciò si aggiunge un sistema di micro imprenditoria composto da circa 40.000 studi dentistici che sono vere e proprie piccole aziende, che come tali investono, creano valore aggiunto e occupazione. Ebbene, questa tendenza alla concentrazione, che sotto il profilo squisitamente economico farebbe pensare a una normale ottimizzazione di un settore, in realtà deve far riflettere su un sistema di offerta odontoiatrica che potrebbe nel tempo vedere alcuni equilibri alterati, sia dal punto di vista del soddisfacimento delle necessità della popolazione, sia per la categoria stessa dei professionisti odontoiatri titolari di studio dentistico.
Fermo restando che in generale la modernizzazione dei comparti economici e un certo grado di concentrazione (non certo l’oligopolio) favoriscono un maggior equilibrio economico da un lato e le possibilità di scelta degli utenti dall’altro, nell’ambito della salute occorre tener presenti altri fattori determinanti e tra questi la qualità della prestazione globale in primis.
È chiaro infatti che una particolare concentrazione può far pensare a modelli imprenditoriali nei quali sempre più spesso colui che opera non solo non è il titolare o un associato, ma a volte è un giovane professionista in fase di formazione. Non entro in questo ambito poiché assolutamente non mi compete, ma da cittadino c’è da augurarsi che questo modello di gestione della prestazione sia opportunamente garantito dagli enti preposti.
Relativamente alla categoria dei titolari di studi odontoiatrici, è importante che venga colto il trend in atto non in chiave di rassegnazione ma come stimolo allo sviluppo, a una maggior propensione all’associazionismo di impresa, all’investimento non solo in aggiornamento clinico (che è un prerequisito) ma anche in tecnologie, in organizzazione aziendale e in comunicazione. È fondamentale che lo studio dentistico tradizionale non abdichi e che si rinnovi, che ripensi al proprio futuro. Affinché conto economico e qualità delle prestazioni di una porzione sempre più grande di studi dentistici italiani tornino ad essere entrambi virtuosi, poiché la sola qualità potrebbe non essere sufficiente per tornare a competere, sia pur su altri parametri, con la proposta di un’odontoiatria commerciale che sarà inevitabile essere sempre più aggressiva.
R. R.