La nostra categoria, quanto ad insediamento sul territorio nazionale, come confermano gli studi di settore, ha pochi concorrenti e pertanto sono sicuro che se fosse organizzata una campagna antifumo, potrebbe dare un contributo significativo.
Molti dentisti lo fanno già da anni, mentre altri non si occupano del problema, pensando che debba essere demandato o semplicemente perché troppo assorbiti nella propria specialità. Tuttavia, se riflettiamo, è proprio il dentista il primo specialista in grado di osservare ogni giorno i danni del fumo nella cavità buccale. Sappiamo infatti per certo che il tabagista cronico è molto più esposto alla malattia parodontale e ha un rischio cinque volte superiore rispetto al non fumatore di sviluppare perimplantite, tanto che alcuni colleghi si rifiutano di fare impianti al forte fumatore, consapevoli del follow-up a dieci anni sulla sopravvivenza implantare.
La guarigione delle ferite post-chirurgiche nel fumatore è spesso complicata e certamente ritardata e la percentuale di alveoliti è sempre superiore rispetto al non fumatore. Per non parlare della costante “alitosi da fumo” e delle inevitabili macchie presenti sullo smalto, sui restauri e sulle protesi, nonché della maggior presenza di retrazioni gengivali, predisposizione a gengiviti, xerostomia e lesioni al labbro.
Considerando che dalle statistiche (2013) nel nostro Paese i fumatori sono circa dodici milioni, il lavoro di prevenzione non manca.
Il dentista è senza dubbio uno dei primi operatori sanitari in grado di segnalare al paziente la nocività del fumo di sigaretta, non solo in ambito odontoiatrico ma anche come prima causa di bronco pneumopatie, malattie cardiovascolari e cancro.
Comprendiamo perfettamente che non è facile entrare nell’argomento e nemmeno smettere, del resto se fosse così semplice il problema non esisterebbe, ma anche non parlarne con il paziente rappresenta, per un medico, un mancato dovere, almeno di tipo informativo.
Rischioso è anche cadere in una sorta di terrorismo psicologico che può indispettire e ottenere l’effetto contrario. Quindi, come avviene in molti altri casi, ci vuole tatto e competenza. Ascoltare senza giudicare, magari con messaggi indiretti e un atteggiamento sempre comprensivo, rafforzando i punti positivi, senza rinunciare a nessuna libertà di scelta. Se si riesce a instaurare un clima di tipo “non giudicante”, certamente l’empatia aumenta e così anche un semplice consiglio potrebbe essere interpretato nel migliore dei modi, senza provocare atteggiamenti di chiusura o peggio di rifiuto. Sarà così un piccolo inizio per una riflessione più profonda che andrà coltivata con il tempo.
Per la nostra piccola esperienza di studio, che non vuole essere null’altro che una semplice testimonianza, abbiamo ottenuto qualche soddisfazione, soprattutto dai pazienti più giovani che, senza malcelato orgoglio, ci hanno annunciato, magari dopo anni, di aver finalmente smesso di fumare. Questo non significa statisticamente nulla, ma è comunque motivo di soddisfazione personale e professionale e potrebbe invogliare giovani colleghi a predicare questo verbo.
Aldo Crespi
Odontoiatra