Il decreto legislativo in materia di protezione dalle ferite da taglio e da punta (vedi approfondimento “Il decreto in sintesi”), entrato in vigore il 25 marzo di quest’anno, ha sollevato non pochi dubbi sulla sua completa applicazione in ambito odontoiatrico e ha suscitato una pronta reazione dei due maggiori sindacati di categoria, Aio e Andi, che hanno tentato da subito di stoppare l’ennesimo obbligo (e quindi costo) per gli studi dentistici: la sorveglianza sanitaria. Ci sono riusciti?
Solo in parte, almeno a giudicare dalla risposta che hanno ricevuto dalla Direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute: «in via generale non sussiste una obbligatorietà ex ante a effettuare la sorveglianza sanitaria per gli studi odontoiatrici in riferimento alle disposizioni del D.lgs 19/2014». Se dalla procedura di valutazione dei rischi emerge che il lavoratore dello studio dentistico non è esposto a un rischio specifico, la sorveglianza sanitaria non è obbligatoria ma solo facoltativa. In altre parole, il parere sancisce la possibilità di prescindere dall’effettuazione della sorveglianza sanitaria solo se i risultati della valutazione dei rischi – che, ai sensi del D.lgs 81/08, può essere effettuata direttamente dal datore di lavoro e formalizzata con autocertificazione – dimostrano che l’attuazione di tale misura non è necessaria.
La norma non è automaticamente applicabile a tutti gli studi dentistici: «nel caso in cui l’attività sanitaria venga prestata nel proprio studio medico o odontoiatrico dal singolo professionista abilitato, con prevalenza del suo apporto professionale e intellettuale rispetto alla disponibilità di beni strumentali, in assenza di complessità organizzative proprie di una struttura o di un servizio sanitario, tale luogo di lavoro, per definizione, risulta essere escluso dal campo di applicazione del titolo X-bis», spiega la nota chiarificatrice della Direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute. Anche nel caso in cui nello studio sia presente un collaboratore, la necessità o meno della effettuazione della sorveglianza sanitaria non può che derivare dagli esiti della valutazione dei rischi.
Fattore cruciale è la presenza o assenza del rischio
Punto di snodo, alla fine dei conti, è l’esito della valutazione del rischio di ferita da taglio o da punta comportante contatto con sangue o altro potenziale veicolo di infezione. Il rischio c’è o non c’è in uno studio dentistico? Come può essere assente questo rischio in uno studio in cui si pratica l’endodonzia, l’implantologia, la chirurgia o la parodontologia e si applicano procedure di sterilizzazione?
L’interpretazione di Andi è che se il rischio viene azzerato dalla messa in atto di misure di prevenzione, decade l’obbligo di effettuare la sorveglianza sanitaria: «la sorveglianza sanitaria non è necessaria negli studi odontoiatrici se, applicate le misure generali di tutela previste all’art. 286 quater, come certificato nella valutazione di cui all’art. 286 quinquies, il rischio da ferite da taglio non emerge come concreto e possibile», recita una nota del sindacato. Si tratta però di un’interpretazione e non se ne ritrova traccia nei testi delle leggi. Rimane il dubbio allora se la sorveglianza sanitaria decada solo per le strutture che non hanno evidenziato rischi, o anche per quelle che li hanno eliminati con la prevenzione e le regole di buona pratica clinica. Tuttavia, come dimostra la cronaca sanitaria, non vi è procedura o tecnologia in grado di eliminare l’errore umano.
La prudenza allora consiglierebbe ai titolari di studio odontoiatrico di coinvolgere un medico competente nella valutazione dei rischi, resistendo al risparmio raggiungibile con la semplice autocertificazione, così da avere una certezza formale sulla necessità o meno di attivare la sorveglianza sanitaria.

Giancarlo Marano, Ministero della Salute
Direzione generale prevenzione sanitaria
Direttore ufficio II qualità negli ambienti di lavoro e di vita, radioprotezione
IL PARERE DEL MINISTERO DELLA SALUTE
Sulla questione della “Direttiva taglienti”, Italian Dental Journal ha interpellato direttamente il ministero della Salute e precisamente il dottor Giancarlo Marano, direttore dell’ufficio II qualità negli ambienti di lavoro e di vita, radioprotezione.
Tutto chiaro, secondo l’esperto, che riconduce gli obblighi dei dentisti alla redazione del Documento di valutazione dei rischi, che già il decreto legislativo 81/08 aveva affidato al datore di lavoro. Insomma, è già da qualche anno che gli odontoiatri italiani hanno la responsabilità di determinare la necessità o meno della sorveglianza sanitaria. Non per questo il compito va preso con leggerezza: le conseguenze di una autocertificazione non veritiera sono molto pesanti e, se è vero che i dubbi sull’applicabilità della direttiva da parte degli odontoiatri appaiono ormai sciolti, le procedure da seguire per valutare il rischio non sono forse così note a tutti i professionisti, tanto che Andi e ministero istituiranno un tavolo di lavoro sul tema.
Dottor Marano, dopo l’entrata in vigore della direttiva e le precisazioni del ministero, ritiene che la situazione sia ormai chiara e non dia più adito a dubbi in merito all’applicabilità?
Dal momento che non sono pervenute al ministero ulteriori richieste di chiarimenti, ritengo che possa essere data una risposta affermativa alla domanda.
Come stabilire se il rischio c’è o non c’è?
L’articolo 17 del Dlgs 81/08 impone al datore di lavoro di effettuare la valutazione di tutti i rischi in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il medico competente (nei casi di cui sia prevista dalla normativa la sorveglianza sanitaria), con relativa elaborazione del Dvr (documento di valutazione dei rischi).
La scelta dei criteri con cui procedere alla valutazione del rischio è attribuita dalla norma (art. 28) allo stesso datore di lavoro, che è tenuto a specificare i criteri adottati per la valutazione stessa, per escludere o meno la presenza di un rischio specifico.
È ipotizzabile un’autocertificazione del rischio da parte del dentista oppure è necessario chiedere la valutazione a un consulente esterno?
Il decreto del “fare” ha previsto, come misura di semplificazione, la reintroduzione dell’autocertificazione dell’avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi per i datori di lavoro che occupano fino a dieci dipendenti in attività a basso rischio infortunistico, che devono essere specificamente individuate con decreto del ministero del Lavoro.
Al momento, e fino all’emanazione del previsto decreto, permane l’obbligo da parte dei datori di lavoro, tra cui i titolari di studi dentistici, in cui presti attività anche un solo dipendente, di elaborare il Dvr, avvalendosi delle procedure standardizzate elaborate dalla Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro.
Quali sono i rischi di una autocertificazione che poi si riveli scorretta?
Un’autocertificazione, se non veritiera (in quanto resa senza che sia stata realmente effettuata una valutazione di tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro), espone il datore di lavoro alla sanzione prevista dall’art. 55 comma 1 (arresto da tre a sei mesi o ammenda) o alla più grave sanzione prevista dal comma 2 (solo arresto da quattro a otto mesi) come ad esempio in caso di mancata valutazione del rischio biologico per le attività lavorative con un rischio di esposizione ad agenti biologici del gruppo 3 (agenti biologici in grado di causare malattie gravi, ma per cui risultano disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche) o del gruppo 4 (agenti biologici nei cui confronti non sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche).
Quali possono essere i costi per adempiere agli obblighi della direttiva?
Premesso che la spesa necessaria per attuare misure di prevenzione non dovrebbe essere considerata un costo bensì un conveniente investimento, in grado di assicurare nel tempo ritorni economici tangibili sia in termini di maggiore produttività sia di minori spese per infortuni e malattie professionali evitate, per gli obblighi introdotti dalla direttiva non dovrebbero essere necessari nuovi e consistenti impegni economici.
Infatti, le misure di prevenzione specifiche da adottare risultano tutte previste anche dalla normativa nazionale preesistente; ad esempio, la definizione e attuazione di procedure per l’utilizzo e l’eliminazione in sicurezza di dispositivi medici taglienti e di rifiuti contaminati, l’adozione di attrezzature di lavoro (dispositivi medici) più sicuri, l’informazione sui rischi e la formazione specifica sul loro corretto uso e la sorveglianza sanitaria se necessaria.
Che consigli può dare a un dentista che ha dei dubbi in merito alla direttiva?
Se il dubbio è quello di poter rientrare nel campo di applicazione della direttiva il consiglio è quello di leggere le precisazioni fornite dal ministero.
Ci sono stati recentemente contatti o accordi tra il ministero della Salute e associazioni odontoiatriche?
Dopo il recepimento della direttiva, vi è stata una iniziativa di Andi per la definizione di indicazioni operative sulle procedure da seguire per una corretta valutazione del rischio biologico in odontoiatria, da mettere a punto con la costituzione di un tavolo di lavoro che prevede la partecipazione di esperti a vario titolo del ministero.
IL DECRETO IN SINTESI
Il decreto legislativo numero 19 del 19 febbraio 2014, entrato in vigore il 25 marzo 2014, prevede disposizioni specifiche in materia di protezione dalle ferite da taglio e da punta nel settore ospedaliero sanitario. Il decreto legislativo attua la direttiva europea numero 32 del 2010 integrando il decreto legislativo numero 81 del 9 aprile 2008.
La legge afferma che il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori, adoperandosi per evitare il rischio di ferite e infezioni provocate da dispositivi medici taglienti attraverso Çl’elaborazione di una politica globale di prevenzione che tenga conto delle tecnologie più avanzate, dell’organizzazione e delle condizioni di lavoroÈ.
In particolare la legge prescrive di non supporre mai inesistente un rischio, di Çpianificare e attuare iniziative di prevenzione, sensibilizzazione, informazione e formazione e monitoraggio per valutare il grado di incidenza delle ferite da taglio o da puntaÈ sul luogo di lavoro e infine di registrarle e segnalarle al fine di individuarne le cause.
Pene previste a carico del datore di lavoro in caso di inadempimento delle nuove norme sono l’arresto da tre a sei mesi o l’ammenda da 2.740 euro a 7.014,40 euro.
L’ambito di applicazione della legge
Come si legge nel testo del decreto, le disposizioni si applicano «a tutti i lavoratori che operano nei luoghi di lavoro interessati da attività sanitarie, alle dipendenze di un datore di lavoro, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, ivi compresi i tirocinanti, gli apprendisti, i lavoratori a tempo determinato, i lavoratori somministrati, gli studenti che seguono corsi di formazione sanitaria e i sub-fornitori», intendendo per questi ultimi «ogni persona che operi in attività e servizi direttamente legati all’assistenza ospedaliera e sanitaria nel quadro di rapporti contrattuali di lavoro con il datore di lavoro».
I luoghi di lavoro interessati sono le «strutture o servizi sanitari del settore pubblico e privato in cui si svolgono attività e servizi sanitari sottoposti alla responsabilità organizzativa e decisionale del datore di lavoro».
Valutazione dei rischi
Il datore di lavoro, nel processo di valutazione dei rischi, deve comprendere «tutte le situazioni di rischio che comportano ferite e contatto con sangue o altro potenziale veicolo di infezione», individuando «le necessarie misure tecniche, organizzative e procedurali» per eliminare o diminuire i rischi professionali emersi.
Misure di prevenzione
Se, dopo la fase di valutazione, è stata identificata la presenza di rischio di ferite da taglio o da punta e di infezione, il datore di lavoro deve adottare una serie di misure di prevenzione ben precise, tra cui la «definizione e attuazione di procedure di utilizzo e di eliminazione in sicurezza di dispositivi medici taglienti e di rifiuti contaminati con sangue e materiali biologici a rischio, garantendo l’installazione di contenitori» per la manipolazione e lo smaltimento.
In particolare viene prescritta l’eliminazione dell’uso di oggetti taglienti o acuminati se non strettamente necessari o comunque l’impiego di strumenti tecnicamente più sicuri sia nell’utilizzo che nello smaltimento, come i dispositivi medici dotati di meccanismi di protezione e di sicurezza. Altri comportamenti da mettere in atto sarebbero il divieto della pratica del reincappucciamento manuale degli aghi in assenza di dispositivi di protezione e sicurezza per le punture, l’identificazione di un percorso di intervento e eventuale profilassi da attuare in caso di incidente, la sorveglianza sanitaria e la formazione del personale. Viene inoltre individuato con precisione l’obbligo di procedere alla notifica, registrazione e analisi delle cause, delle modalità e delle circostanze che hanno comportato il verificarsi di infortuni derivanti da punture o ferite e anche i successivi esiti, garantendo però sempre la riservatezza per il lavoratore coinvolto.
Il testo completo del decreto legislativo è liberamente consultabile sulla Gazzetta Ufficiale all’indirizzo www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/03/10/14G00031/sg
VALUTAZIONE DEL RISCHIO E PREVENZIONE
È difficile quantificare i rischi di esposizione a fluidi biologici potenzialmente infetti in ambito odontoiatrico, ma ci hanno provato alcuni ricercatori dell’università di Bologna che per 13 anni (dal 1999 al 2011) hanno registrato gli incidenti che si sono verificati nella scuola di odontoiatria. I ricercatori, guidati da Maria Rosaria Gatto, hanno poi pubblicato i risultati della loro ricerca (1) sui rischi di esposizione a sangue e fluidi corporei condotta presso il Dipartimento di scienze odontostomatologiche.
In totale, sono state riportate 63 esposizioni: 56 (89%) percutanee e le altre sette (11%) mucosali, causate da contatto dei fluidi con gli occhi degli operatori odontoiatrici. Gli episodi hanno riguardato studenti del corso di laurea (25, il 40%), studenti di dottorato o di master (23, il 36%) e, in misura minore, tutor (13) e personale (2). La maggior parte degli incidenti (71%) si è verificata durante l’utilizzo di strumenti, ma si sono avute esposizione anche dopo, per esempio durante la pulizia o nelle attività di laboratorio; il classico ago per somministrare l’anestesia locale, infilato nel polpastrello, è stata la casistica più comune. È stato anche calcolato il tasso complessivo di esposizione: 4,78 ogni 10.000 pazienti visitati.
Gli autori dello studio concludono che «una protezione adeguata avrebbe evitato unicamente il contatto dei fluidi con gli occhi». Proprio questa frase è stata contestata da Virginia Di Bari dell’Istituto nazionale per le malattie infettive Irccs Lazzaro Spallanzani di Roma. Secondo il medico romano, per minimizzare i rischi, si sarebbero potute adottare altre misure di prevenzione, quali un maggiore utilizzo di siringhe monouso, che richiedono una minore manipolazione; sarebbe inoltre opportuna l’adozione di dispositivi medici dotati di meccanismi di protezione e di sicurezza (safety-engineered device): «entrambe le misure Ð fanno notare Ð sono tra i requisiti previsti dalla direttiva europea».
Quanti dubbi sulla valutazione dei rischi
«Altre pubblicazioni, basate su studi epidemiologici di eventi avversi, spesso con il sostegno di tecniche di biologia molecolare, identificano alcuni fattori di rischio specifici in odontoiatria e dovrebbero essere la base per identificare procedure operative per una corretta valutazione di questo rischio – spiega Livia Barenghi, esperta di sicurezza in odontoiatria -. Purtroppo due specifici documenti di riferimento (3, 4) contengono riferimenti bibliografici in maggioranza non aggiornati. Quindi è lecito chiedersi: ritenere validi questi documenti, oggi, permette di ottemperare ai vincoli della responsabilità civile professionale e cautelarsi da contenziosi con Inail? Il medico competente e la sorveglianza sanitaria servirebbero a cautelarci maggiormente? D’altro canto – continua l’esperta – esistono dubbi sulla riduzione del rischio da taglienti in odontoiatria (5, 6) utilizzando dispositivi medici di sicurezza (in particolare le siringhe) nati per l’ambito ospedaliero. Quindi l’adozione di sistemi di sicurezza dovrebbe essere valutata specificamente per l’odontoiatria. Infine – conclude l’esperta – sarebbe auspicabile un “conveniente investimento” in sicurezza anche alla luce degli studi di settore».
1. Gatto MR et al. Occupational exposure to blood and body fluids in a department of oral sciences: results of a thirteen-year surveillance study. ScientificWorldJournal. 2013;2013:459281.
2. Di Bari V et al. Comment on “Occupational exposure to blood and body fluids in a Department of Oral Sciences: results of a thirteen-year surveillance study”. ScientificWorldJournal. 2014 Mar 19;2014:906585.
3. Manuale di formazione per il governo clinico: la sicurezza dei pazienti e degli operatori. Direzione Generale della Programmazione Sanitaria, Ufficio III, gennaio 2012.
4. Studi odontoiatrici. Indagine sulla valutazione dei rischi occupazionali e le misure preventive e protettive attuabili. Andi, giugno 2012. La Tocca R, Arduca A.
5. Cuny E, Fredekind R E, Budenz A W. Dental safety needles’ effectiveness: results of a one-year evaluation. J Am Dent Assoc 2000; 131:1443-1448.
6. Zakrzewska JM, Boon EC. Use of safety dental syringes in British and Irish dental school. Br Dent J 2001, 190;88-92.
Renato Torlaschi
Giornalista Italian Dental Journal