«Il dolore dentoalveolare persistente di origine idiopatica rappresenta una sfida diagnostica sia per il dentista che per il medico, anche perché il disaccordo riguardo alla sua classificazione e ai criteri diagnostici rappresentano un limite significativo all’avanzamento della ricerca in merito. E i pazienti continuano a subire le conseguenze di questa sostanziale mancanza di conoscenza da parte dei professionisti che dovrebbero aiutarli, con ritardi diagnostici e trattamenti non necessari». A partire da queste considerazioni, Alberto Malacarne della Tufts University di Boston, in Massachusetts, ha coordinato una revisione della letteratura per fare il punto sul tema e sulle lacune più urgenti da colmare.
Come scrive sul Journal of Endodontics, gli articoli trovati sono prevalentemente di tipo descrittivo o al massimo case report; tuttavia alcuni studi retrospettivi caso-controllo hanno esaminato le caratteristiche cliniche, la patofisiologia e i processi diagnostici, mentre pochi lavori hanno valutato le strategie di trattamento.
Se i dati epidemiologici sono pochi e disomogenei, gli autori hanno però rilevato i principali fattori di rischio per sviluppare dolore non odontogeno dopo procedure endodontiche: in primo luogo qualche tipo di dolore o fastidio già presente prima degli interventi e, in generale, una storia di trattamenti dolorosi alla regione orofacciale. Inoltre questo tipo di problema colpisce più le donne degli uomini.
Il dolore è spesso, ma non sempre, connesso a procedure traumatiche che riguardano il sistema trigemino, come un trattamento del canale radicolare, un’estrazione o un’apicectomia. I pazienti riportano un dolore orale che raramente è diffuso e si localizza invece, in prevalenza, in un dente o nell’osso alveolare, irradiandosi spesso in profondità; lentamente il dolore si può estendere all’area circostante oppure migrare, dopo il trattamento, a un dente adiacente. I pazienti presentano frequentemente comorbilità e altre condizioni dolorose come emicranie o dolore miofasciale ai muscoli masticatori, oppure problematiche di tipo psicologico, in particolare depressione e somatizzazione.
È generalmente accettato che quella di “dolore dentoalveolare persistente” sia una diagnosi per esclusione, ma la natura e l’estensione della valutazione per escludere altre possibili cause non sono specificati in letteratura. Il compito più difficile è quello di escludere il dolore odontogeno. L’unico dato significativo sembra il dolore continuo, riportato ad esempio dal 95% di questi pazienti rispetto al 40% dei soggetti con parodontite apicale sintomatica.
Una mialgia masticatoria è stata trovata nel 50-55% dei casi di dolore dentoalveolare persistente. È noto che il dolore miofasciale derivante dal massetere, dal temporale o dal digastrico può a volte sentirsi solo nei denti, con il muscolo di origine indolore se non adeguatamente palpato. Quindi, senza un corretto esame, alcuni casi di dolore miofasciale dei muscoli masticatori possono essere erroneamente diagnosticati come dolore dentoalveolare persistente, anche se quest’ultimo appare molto più spesso collegato a interventi odontoiatrici. Anche la classica nevralgia del trigemino presenta alcune somiglianze e va dunque esclusa in fase diagnostica.
Se la diagnosi è difficile, anche le armi terapeutiche di cui disponiamo sono molto limitate.
Alcuni esperti suggeriscono di trattare questa condizione seguendo i protocolli utilizzati per il trattamento del dolore dovuto a neuropatia periferica e di evitare trattamenti irreversibili sulle lesioni locali. Trattamenti invasivi sembrano creare più stress a un sistema nervoso disfunzionale e tendono ad aumentare il dolore riportato dai pazienti.
Renato Torlaschi
Giornalista Italian Dental Journal