Il trattamento della perimplantite rappresenta una nuova sfida per l’odontoiatra in quanto il trattamento e la gestione sono controverse e non esiste un protocollo standard. Secondo una recente metanalisi, la prevalenza complessiva della perimplantite, a dieci anni dal posizionamento implantare, si avvicina al 22%, mentre quella della mucosite al 46% degli impianti.
Nella mucosite il processo infiammatorio si estende solo ai tessuti molli perimplantari, mentre la perimplantite è caratterizzata anche da perdita progressiva di tessuto osseo di supporto. Purtroppo, ancora oggi, le cause degli insuccessi non sono sempre chiare, ma sembrerebbero essere varie e multifattoriali, anche se la formazione di un biofilm sulla superficie dell’impianto è stata riconosciuta come il fattore eziologico principale per entrambe le malattie perimplantari.
Nel trattamento della perimplantite l’obiettivo della terapia non chirurgica è quello di ridurre la carica batterica al di sotto del livello di soglia che ha causato la malattia e favorire la guarigione dei tessuti circostanti. Tuttavia, a differenza dei denti naturali, le superfici scanalate e ruvide degli impianti sono più complesse da trattare, pertanto i risultati del trattamento non chirurgico vanno rivalutati nel tempo per determinare se è necessario un trattamento chirurgico addizionale. In questo contesto l’uso degli antibiotici topici per il trattamento non chirurgico, associato a una strumentazione mininvasiva, rappresenta una possibilità da valutare per i minori effetti collaterali associati (non ultimo il problema dell’antibiotico resistenza) legato all’uso degli antibiotici sistemici.
Caso clinico
Il paziente G. F. di anni 44, non fumatore e con assenza di patologie sistemiche, si presenta alla nostra osservazione lamentando fastidio alla mucosa perimplantare in sede 3.6 da oltre due anni, e cioè da qualche mese dopo la finalizzazione del manufatto protesico. Verificata la presenza di una perimplantite, sia con l’esame clinico che radiografico (figg. 1 e 2) si è deciso di rimuovere la corona protesica e di procedere a un trattamento non chirurgico utilizzando air-polishing con polvere di eritritolo per la decontaminazione della superficie implantare, inserti ultrasonici rivestiti in Pec per la rimozione dei depositi calcificati e infine il posizionamento di Ligosan (Kulzer) all’interno della tasca perimplantare.
Il paziente è stato motivato e istruito per il trattamento domiciliare e inoltre controllato ogni 7 giorni per il primo mese e ogni 15 giorni per i successivi due, lasciando in situ il pilastro protesico senza corona. A distanza di tre mesi, rivalutato il risultato della terapia non chirurgica e constatata l’avvenuta guarigione dei tessuti molli perimplantari (fig. 3), si è deciso di confezionare un nuovo manufatto protesico avvitato. Il paziente è stato immesso in un protocollo di mantenimento ogni quattro mesi.
A distanza di tre anni dal trattamento, i risultati clinici e radiografici mostrano un netto miglioramento della salute perimplantare, con assenza di sanguinamento al sondaggio e una minor rarefazione ossea perimplantare (figg. 4 e 5).
Autori:
Sergio Santangelo Igienista dentale, libero professionista Catania
Salvatore Torrisi Odontoiatra, libero professionista Catania
Paolo Torrisi Professore a. c. presso l’Università di Catania

Sergio Santangelo
Igienista dentale, libero professionista a Catania