
Aldo Crespi
Impianto o recupero? C’è da sperare che ognuno di noi si sia trovato, prima o poi, davanti a questa scelta strategica perché la condizione clinica era borderline. Per coloro che mai si sono posti il problema, solo complimenti. Molti di noi invece in alcune circostanze sono combattuti tra il recupero dell’elemento dentale, con qualche rischio non facilmente programmabile, e la soluzione, per così dire più garantista, della sostituzione implantare.
Colleghi e ricercatori hanno stabilito linee guida in grado di standardizzare criteri con parametri prefissati, in grado di semplificare la scelta. Il protocollo risulta però inevitabilmente troppo generico e non facilmente applicabile alle numerose varianti cliniche che possono presentarsi da caso a caso.
Ci sono parametri scontati come l’estesa carie al di sotto della giunzione amelo-cementizia, non recuperabile nemmeno con il classico allungamento di corona clinica; l’estrema mobilità dell’elemento, con un pescaggio osseo sotto i tre millimetri; l’impossibilità del recupero endodontico, sia per atresia canalare che per il mancato ancoraggio della diga; elementi già trattati con chirurgia endodontica in cui il rientro sarebbe rischioso, ecc. Ma questi sono parametri che non ci lasciano grossi dubbi sulla decisione: la sostituzione implantare praticamente si impone d’ufficio.
I casi borderline sono quelli in cui il nostro spirito da conservatore è decisamente combattuto, in quanto sappiamo che con il massimo impegno potremmo tentare di recuperare il capolavoro di Madre Natura, facendo certamente felice il paziente in grado di comprendere il nostro sforzo per salvare quell’elemento.
Dall’altra parte esiste la variabile temporale in funzione degli aspetti economici, non trascurabili, sulla durata del ripristino conservativo. Solitamente è questo il vero limite. Il paziente, infatti, chiede in modo più che giustificato quanto tempo durerà il nostro sforzo conservativo, domanda alla quale non è proprio facile rispondere.
Per uscire da questa empasse, l’esperienza ci suggerisce di valutare sempre bene le due scelte, sia in termini temporali che economici e, solo dopo aver soppesato le differenze tra le due alternative, decidere coinvolgendo il paziente nella divisione delle responsabilità.
Non dimentichiamo di sottolineare l’impatto chirurgico, specie per chi è alla prima esperienza implantologica: come nostra abitudine mostriamo sempre un filmato in animazione recuperato dal CD “Comunicare al paziente”, che spiega in modo chiaro, ma non cruento, tutta la procedura di inserimento implantare e di protesizzazione, con la tempistica necessaria al raggiungimento del successo terapeutico. Il paziente è sempre molto ben impressionato dal filmato, non solo come chiarimento clinico, ma soprattutto come valore aggiunto relativamente alla comunicazione clinica per immagini. Analoga rappresentazione viene da noi impiegata per la scelta conservativa, trasferendo così, almeno in parte, una quota decisionale al paziente stesso.
Questo non per metterci al coperto da eventuali problematiche medico legali, non servirebbe a nulla se non per la chiarezza del consenso informato che comunque deve essere sempre scritto, ma per aver fatto tutto il possibile per trasferire il maggior numero di informazioni possibili al paziente affinché possa arrivare a una decisione consapevole, dopo aver compreso vantaggi e svantaggi di ogni scelta. Anche questo è un aspetto importante da non sottovalutare: le complicanze a breve e a lungo termine, anche se rare, esistono sia nell’insuccesso endodontico che nelle perimplantiti, diventate il vero problema principale del mondo implantologico.
Tutto ciò può sembrare impegnativo, anche in termini di tempo, specie ai colleghi più giovani, ma con l’esperienza si comprende che non è tempo perso ma tempo investito: ogni cosa detta prima risulta sempre come spiegazione, detta dopo appare come una giustificazione.