Le persone ad alto rischio di sviluppare un’infezione cardiaca grave dovrebbero ricevere antibiotici prima di sottoporsi a procedure odontoiatriche invasive. Non è una novità, tanto che la profilassi antibiotica è prevista dalla maggior parte delle linee guida internazionali, ma oggi ne abbiamo una conferma autorevole dal più grande studio mai condotto sull’associazione tra odontoiatria ed endocardite infettiva.
Com’è noto, si tratta di un’infezione delle valvole cardiache, che provoca insufficienza cardiaca, ictus e altre gravi disabilità, con un tasso di mortalità del 30% nel primo anno dopo la sua insorgenza.
È stato a lungo sospettato un nesso causale dell’endocardite infettiva – causata da batteri che si trovano nel cavo orale – e le cure odontoiatriche invasive, che sarebbero responsabili dal 30 al 40% dei casi, ma il collegamento è stato talvolta messo in dubbio a causa della mancanza di robustezza delle ricerche e finora non era mai stato pubblicato neppure uno studio che dimostrasse l’efficacia degli antibiotici nel ridurre il rischio di questa patologia.
Pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology, lo studio è ora arrivato: è stato condotto negli Stati Uniti, dove un gruppo di ricercatori di diversi istituti universitari hanno analizzato la storia medica di quasi otto milioni di persone, tra cui 36.773 considerate ad alto rischio di endocardite infettiva, verificando se avessero ricevuto un trattamento dentale invasivo, se avessero sviluppato un’endocardite nei 30 giorni successivi e se fossero stati sottoposti a profilassi antibiotica prima della procedura.
Prima di tutto, gli autori hanno confermato che i criteri per individuare i soggetti a rischio sono corretti: i pazienti con valvole cardiache riparate o artificiali, coloro che soffrono di determinate condizioni cardiache congenite o hanno una precedente storia di endocardite, hanno una probabilità ben 160 volte maggiore di sviluppare l’infezione rispetto alla popolazione generale.
In questi pazienti, il rischio è stato quantificato, rilevando un caso ogni 250 estrazioni dentali e uno ogni 100 procedure chirurgiche orali, a fronte di percentuali estremamente basse per le persone che non appartengono a una delle categorie di rischio.
Lo studio ha anche rilevato che, nonostante le raccomandazioni delle linee guida statunitensi, solo il 32,6% dei pazienti ad alto rischio di endocardite infettiva aveva ricevuto una profilassi antibiotica prima del trattamento dentale invasivo. Questo ha permesso ai ricercatori di verificarne l’efficacia. Ebbene, la copertura antibiotica ha ridotto il rischio di quasi dieci volte nel caso di estrazioni dentali e di 12,5 volte nel caso di chirurgia orale: un risultato straordinario.
Le preoccupazioni legate al diffondersi dell’antibiotico-resistenza avevano indotto diverse società scientifiche a ridurre le categorie di soggetti per i quali consigliare una profilassi antibiotica preventiva; nel Regno Unito, le linee guida del National Institute for Health and Care Excellence sono addirittura arrivate a sconsigliarla per tutti. È probabile che questo studio li indurrà a rivedere la loro posizione.
«È rassicurante per pazienti, cardiologi e dentisti che i nostri dati convalidino le linee guida americane ed europee, che indicano di sottoporre i pazienti ad alto rischio a profilassi antibiotica prima di procedure odontoiatriche invasive – ha dichiarato Martin Thornhill, professore di ricerca traslazionale in odontoiatria presso l’Università di Sheffield, in Alabama, e principale autore dello studio –. Risulta però che molti odontoiatri americani non aderiscono alle raccomandazioni contenute nelle linee guida della American Heart Association: il nostro studio rafforza senz’altro la necessità di un’azione educativa».
Renato Torlaschi
Giornalista Italian Dental Journal