Nel 2005 la giovane paziente E. C. di anni 17 presentava, al controllo radiologico, una lesione cariosa in 3.6 con sintomatologia dolorosa. Il trattamento endodontico si è reso inevitabile e il risultato endodontico finale risultò timido, per usare un termine delicato, ma fortunatamente ancora valido da un punto di vista clinico.
Nel 2011 compare una sofferenza apicale in 3.5 che ci porta a un trattamento anche di questo elemento. Nel corso degli anni abbiamo provveduto anche all’estrazione del 3.8 che aveva dato ripetuti fenomeni di peri-coronarite.
La differenza tra le due tecniche, anche se la più recente riguarda un mono-radicolato, è evidente nella conicità, nel riempimento, nella radiopacità e quant’altro com’è logico aspettarsi trascorsi dieci anni di tecno-endodonzia, tuttavia il comportamento della più “timida” resta nei parametri senza radiotrasparenze sospette. Ed è questo il punto. Come tutti i colleghi che da anni si occupano di endodonzia sanno bene, vi sono casi di terapie canalari eseguite nell’intento di dimostrare una “grande bellezza” radiologica che possono comunque trasformarsi in delusioni durante il follow-up, e altri dall’aspetto decisamente modesto che non presentano nessun tipo di sofferenza; certo l’isolamento del campo, la detersione, gli irriganti, rappresentano le basi assolutamente indispensabili ma non sono evidentemente le sole.
Questo conferma la complessità delle variabili in gioco che ben conosciamo.
Per nostra fortuna nella maggior parte dei casi la regola non è questa, ma credere che il risultato sia sempre e obbligatoriamente certo appare ingenuo, anche se il dato inoppugnabile è che la percentuale di successo endodontico è altissima, oltre il 90%. Con sopravvivenza dell’elemento trattato a otto anni che raggiunge il 96%, secondo la più recente letteratura. Questo 4% aggiunge un’altra variabile alla complessità della nostra attività clinica e certamente non l’unica.
Aldo Crespi
Odontoiatra

Aldo Crespi
Libero professionista
si vedono tt i gg rx di trattamenti fatti alcuni anni fa ,magari chiusi col solo cemento..che nn hanno nessun problema e che la maggior parte dei clinici si guarda bene a ritrattare..
l’endodonzia comunque rimane x la sua complessita’ la branca piu’ difficile dell’odontoiatria.
Cordialita’.
Fedele collega,
non possiamo aggiungere altro al tuo scritto, raccoglie esattamente l’essenza del nostro caso controllo.
Come sempre un saluto e buon lavoro.
Aldo
In realtà i 2 elementi non sono tra loro paragonabili: differiscono, infatti, non solo nelle complessità anatomiche (pluriradicolato/mono) ma soprattutto per il fatto che il 3.6 era, all’epoca del trattamento, vitale ed il 3.5 necrotico con una aspettativa di successo che “crolla” dal 94 all’80%. Sono quasi certo che un approccio “timido” (come quello del 3.6) non sarebbe esitato in successo nel caso del 3.5
Un caro saluto
Caro Collega,
sono assolutamente concorde, come del resto accennato nel testo, volevo solo enfatizzare le tante variabili in gioco con un caso controllo a dieci anni sul quale riflettere.
Ti ringrazio come sempre per la partecipazione e naturalmente buon lavoro.
Aldo