Uno degli scopi finali dei trattamenti endodontici è quello di preservare i denti naturali, obiettivo sempre più perseguito anche nella popolazione di età avanzata. L’affermarsi dell’approccio conservativo nella gestione delle pulpiti e delle parodontiti apicali da un lato e l’aumento dell’aspettativa di vita dall’altro ravvisano la necessità di disporre di studi longitudinali finalizzati a determinare gli esiti a lungo termine della terapia canalare, e gli eventuali fattori prognostici, proprio in termini di sopravvivenza degli elementi trattati e soprattutto di informazioni derivate da contesti clinici reali (e non sperimentali) che ne rappresentino la concreta efficacia.
Avendo preso atto dell’eterogeneità metodologica dei lavori presenti in letteratura, legata anche alla variabile definizione degli outcome considerati come indicatori del successo dei trattamenti, e del fatto che la maggior parte dei trial sono stati realizzati in ambito accademico mentre molte revisioni hanno combinato dati provenienti da contesti privati e pubblici, gli autori dell’indagine statunitense pubblicata dal Journal of Dental Research, facenti capo al National Dental Practice-Based Research Network (Pbrn) Collaborative Group, hanno deciso di svolgere un’analisi retrospettiva dei risultati dei trattamenti canalari di denti permanenti effettuati fino al 2015 in un centinaio di ambulatori pubblici sparsi nelle varie regioni della federazione, che sono stati verificati in follow-up di durata variabile da 1 a oltre 20 anni.
Sul campione complessivo degli interventi, per un totale di 71.283 elementi dentari e di 46.702 pazienti, sono stati calcolati i tassi di sopravvivenza dei singoli elementi dentari per ogni primo trattamento e il corrispondente rapporto con alcune variabili: età e sesso dei pazienti, tipologia dei denti trattati, esecuzione o meno di successivi restauri, presenza o meno di copertura assicurativa, collocazione geografica degli ambulatori.
In base ai test statistici i ricercatori hanno stimato una sopravvivenza mediana complessiva di 11,1 anni. Per poco più di un quarto dei denti (26,1%) si è registrata una durata superiore a 20 anni. Tra i fattori predittivi di successo, il dato più rilevante è che l’esecuzione di interventi di ripristino dopo la terapia canalare ha mostrato di aumentare la durata degli elementi dentari, con un aumento dei valori mediani dai 6,5 anni di quelli non ricostruiti agli 11,2 e 11,4 di quelli sottoposti rispettivamente solo a otturazione o solo a incapsulamento e fino agli oltre 20 anni di quelli con ricopertura coronale preceduta da sigillatura post-trattamento endodontico. I denti devitalizzati e non restaurati insomma sono esposti a un rischio di insuccesso dell’intervento conservativo tre volte superiore a quello dei denti ripristinati. Avvantaggiati inoltre sono risultati essere gli elementi anteriori rispetto ai premolari e ai molari, con una sopravvivenza mediana di circa due anni maggiore (12,4 vs 10,3 anni).
Ininfluenti di per sé i dati demografici dei pazienti, mentre a condizionare gli esiti clinici nel contesto locale particolare osservato dagli autori sono stati la disponibilità di una copertura assicurativa odontoiatrica, che ha allungato la durata mediana dei denti trattati di quasi due anni, e l’ubicazione degli ambulatori.
Monica Oldani
Thyvalikakath T, LaPradd M, Siddiqui Z, Duncan WD, Eckert G, Medam JK, Rindal DB, Jurkovich M, Gilbert GH, and National Dental PBRN Collaborative Group. Root canal treatment survival analysis in National Dental PBRN Practices. J Dent Res. 2022;101:1328-1334.