Il paziente A. M. di anni 32 soffre di un disturbo capriccioso in quadrante 2. All’esame clinico non appare nulla di evidente ma eseguendo una radiografia endorale appare, sulla mesiale del 2.6, un frammento metallico estruso per oltre 5 mm. È suggestivo si tratti di un lentulo fratturato durante una manovra endodontica.
Spesso questo genere di esiti terapeutici (iatrogeni) risulta asintomatico e compare come referto occasionale a un esame radiologico.
In questo caso, al contrario, una sintomatologia algica costringe il paziente a un approfondimento diagnostico.
Il quesito a questo punto è: ritrattiamo prima per via anterograda, poi per via retrograda, rimuoviamo lo strumento, chiudiamo, ricostruiamo, realizziamo un provvisorio terapeutico e poi una riabilitazione definitiva oppure optiamo per una sostituzione implantare con conseguente protesizzazione?
Coinvolgendo il paziente nella scelta terapeutica e analizzando costi e benefici e soprattutto la predicibilità optiamo, di comune accordo, per la seconda soluzione.
Nascondiamo il desiderio di percorrere la strada “conservativa” da noi preferita, anche perché i risultati clinici sono incoraggianti e la conservazione biologica dà un fascino completamente diverso alla professione, tuttavia offrire certezze assolute sul risultato non sarebbe stato corretto nei confronti di un paziente che pone domande tanto precise in termini di percentuali di successo nel tempo.
Questo è un classico esempio in cui la decisione terapeutica viene analizzata non solo nei suoi aspetti squisitamente tecnici, di competenza del professionista, ma anche in quelli pratici vissuti in prima persona dallo stesso paziente (pensiero e situazione economica del momento).

Aldo Crespi
Libero professionista
Io forse avrei prima fatto un tentativo di ritrattamento ortogrado con rimozione del lentulo; se fosse riuscito, avrei conservato il dente, altrimenti (ma solo allora) avrei rivalutato la situazione e presa una decisione. Era un bel dente, senza alcun problema parodontale… per fare l’impianto si fa sempre in tempo…
la I^ indicazione terapeutica in qs caso e’ ritrattamento,difficile ma nn impossibile (vista la terapia precedente),poi,nel caso abbiamo l’endodonzia chirurgica,piu’ facile si trattava di una mesiale..certo conta molto l’abilita’ dell’operatore, ma ricordiamoci sempre che il dentista deve curare (mantenere) qn possibile il dente,l’impianto e’ l’ultima spiaggia..x qn riguarda i desiderata del paziente,tutte qs cose vanno dette e fatte pagare,lui se viene da noi e perche’ si fida e spesso ,direi quasi sempre,approva e condivide le scelte del suo dentista.
Caro Collega,
come ho scritto nel testo avrei percorso una strada conservativa, ma la predicibilità discussa con il paziente non lo soddisfaceva del tutto, quindi oggi dobbiamo fare anche valutazioni di questo tipo. Sul fatto di riuscire per via ortograda alla rimozione del lentulo ti credo sulla parola, devi però anche considerare che attaccato al dente esiste un paziente con tutto ciò che comporta. Apprezzo molto da conservatore il tuo punto di vista e ti ringrazio.
Un caro saluto. Aldo.
Carissimo ben ritrovato,
come ho spiegato al Collega precedente, concordo con le scelte conservative, ma non sempre in modo assoluto possono mettersi in pratica, ci sono molte variabili da considerare.
Ad esempio l’apertura camerale di quel sesto era veramente destruente comportando quindi un altra variabile, insieme al ritrattamento ortogrado, retrogrado, ecc. tutto questo ed altro spiegato al paziente è stato decisivo nelle scelte. Alla fine il risultato è stato da lui molto apprezzato. Grazie come sempre per il tuo più che condivisibile commento, ma come scrivo spesso molte sono le strade che portano a Roma. Un caro saluto. Aldo
caro collega,
ho valutato il caso che indubbiamente è stato eseguito correttamente e con perizia, ma quello che mi rimane è la perplessità sulle decisioni terapeutiche.
a mio avviso il ritrattamento ortogrado avrebbe avuto scarse probabilità di successo con il rischio di estrema demolizione di tessuto dentinale (che noto comunque essere ben conservato nello stato iniziale) ma questo problema sarebbe stato aggirato aggiungendo ad un trattamento ortogrado una corretta endodonzia chirurgica (voglio fare notare che non ho volutamente usato il termine apicectomia).
quello che non riesco a capire è come tu puoi sostenere una maggiore predicibilità e probabilità di successo a lungo tempo per una soluzione implantare tenendo conto di quello che gli studi sui problemi di periimplantite dimostrano negli ultimi tempi. Bisogna anche essere consapevoli che la scelta del paziente non è mai veramente libera ma è fondamentalmente influenzata dalla nostra modalità di proposta del trattamento che è a sua volta influenzata dalle nostre impostazioni professionali (abilità, preferenze terapeutiche, paure e altri aspetti che puoi notare ogni giorno nelle modalità di comunicazione con il paziente)
un saluto
Caro Paolo,
condivisibile quanto scrivi in merito alla influenza comunicazionale con il paziente, ed anche che il problema che dovremmo affrontare nel terzo millennio sono le peri-implantiti. ( come insegna la letteratura più aggiornata )
Comprendo anche le tue perplessità, chi non ne ha, o chi crede di aver capito sempre rischia di commettere errori. Noi abbiamo valutato il paziente, le sue esigenze, la sua disponibilità nei tempi e nei modi, ( apertura della bocca sufficiente, tempi delle sedute, ecc.) ed alla fine, dopo non poche riflessioni, abbiamo messo in atto quanto in quel caso specifico ci sembrava la scelta più idonea. Come scrivo spesso ben vengano punti di vista diversi dal nostro. Non posso che ringraziarti per la tua analisi attenta e precisa. Un caro saluto e buon lavoro. Aldo