I fallimenti implantari si suddividono in precoci e tardivi: la suddivisione è necessaria perché la causa delle due tipologie di fallimenti è spesso differente.
I fallimenti precoci derivano sostanzialmente dalla mancata osteointegrazione, che può esser dovuta al trauma chirurgico, alla tecnica chirurgica errata, alla ridotta capacità di guarigione dei tessuti, all’infezione precoce dei tessuti perimplantari o alla mancata stabilità primaria. Un revisione della letteratura pubblicata recentemente su Implant Dentistry ha permesso l’analisi di alcuni fattori di rischio del fallimento precoce: è firmata da un team di ricercatori spagnoli e italiani, tra cui Massimo Del Fabbro e Tiziano Testori.
La revisione si è focalizzata sui fattori di rischio maggiormente riportati negli studi clinici longitudinali; due di questi, il fumo e la quantità di osso mascellare, sono correlati al paziente e gli altri due all’impianto: lunghezza e diametro.
C’è stata dunque una voluta riduzione del campo di indagine, anche se ovviamente ci sarebbero molti altri elementi da analizzare, come la storia clinica del paziente, specie in relazione alla malattia parodontale, la quantità di gengiva cheratinizzata, le procedure chirurgiche, le condizioni endodontiche degli elementi dentari adiacenti oppure fattori di rischio più generali come radioterapia, chemioterapia, malattia di Crohn o osteoporosi.
«È chiaro che un’ampia varietà di cause locali e sistemiche possono interferire con la normale guarigione della ferita al tessuto osseo intorno all’impianto dopo il suo posizionamento – scrivono gli autori –. La guarigione prende il via con un coagulo sanguigno che si forma tra l’osso e la superficie dell’impianto, le cellule mesenchimali pluripotenti si differenziano in fibroblasti e osteoblasti che portano rispettivamente alla formazione di tessuto cicatriziale o nuovo osso. Condizioni di scarsa vascolarizzazione o di bassa tensione di ossigeno possono portare le cellule mesenchimali a una differenziazione condrogenica, ma anche lo stress meccanico a cui sono soggetti i tessuti può influenzare questa differenziazione cellulare, alterandone l’espressione genetica e l’attività di sintesi».
In questo quadro, il fumo esercita un’influenza significativa. La fase volatile, di cui è composto per il 95% il fumo di sigaretta, contiene circa 500 composti diversi, tra cui monossido di carbonio, benzene, acetaldeide, metanolo e acido cianidrico; nel particolato, il 5% in peso del fumo, vi sono 3.500 differenti composti. Il più importante di questi è la nicotina che aumenta l’aggregazione piastrinica, riduce i livelli di prostacicline e inibisce la funzione di fibroblasti, eritrociti e macrofagi; a sua volta il monossido di carbonio si lega all’emoglobina e abbassa la tensione di ossigeno, interferendo nella differenziazione delle cellule mesenchimali. Il risultato di questi complessi meccanismi è una decisa alterazione delle dinamiche di guarigione della ferita e dell’osso.
Non sorprende dunque il risultato della revisione che indica nel fumo di sigaretta il principale tra i fattori di rischio per un fallimento precoce degli impianti (odds ratio 1,7).
Un rischio minore si è associato a impianti di lunghezza inferiore a 10 mm (odds ratio 1,6) e a impianti posizionati nel mascellare superiore (1,3).
Giampiero Pilat
Giornalista Italian Dental Journal