
Stefano Fiorentino, avvocato, si occupa degli aspetti giuridici e regolatori dell’utilizzo dei biomateriali sin dal 1997.
Membro onorario della società scientifica Anthec, dirige anche una collana di medicina rigenerativa pubblicata da Monduzzi Editore
Un vademecum sugli step necessari per mettere in regola l’attività e la struttura nel caso si vogliano offrire trattamenti di medicina estetica. Attenzione alla burocrazia legata alla struttura: da «studio dentistico» si passa a «struttura ambulatoriale»
Si è detto e scritto molto in questi mesi sulle possibilità, i vantaggi e i limiti per gli odontoiatri di praticare la medicina estetica in studio. Andando oltre le opinioni – spesso contrastanti – dei diversi attori coinvolti direttamente o indirettamente nella questione, abbiamo provato a fissare i punti cardine, i dati di fatto e oggettivi sull’argomento, arrivando a stilare un brevissimo vademecum da rispettare per potersi dire in regola e pienamente in linea con la legge nell’esecuzione di questi trattamenti. L’acquisizione delle necessarie competenze ed eventuali risvolti etici esulano quindi da questa breve trattazione.
Laureati in odontoiatria
Come stabilito dall’articolo 2 della legge 409 del 24 luglio 1985 che ha istituito e regolamenta la professione in Italia «formano oggetto della professione di odontoiatria le attività inerenti alla diagnosi e alla terapia delle malattie e anomalie congenite e acquisite dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché alla prevenzione e alla riabilitazione odontoiatriche». Il terzo e medio inferiore del volto insomma. La legge prevede inoltre che gli odontoiatri possano «prescrivere tutti i medicamenti necessari all’esercizio della loro professione».
Un parere espresso di recente dal Consiglio superiore di sanità del ministero della Salute sembra tuttavia porre nuovi limiti quando aggiunge che l’esecuzione dei trattamenti di medicina estetica è possibile a tre condizioni:
1. solo ove contemplate in un protocollo di cura odontoiatrica ampio e completo proposto al paziente, tale da rendere la cura estetica “correlata”, e non esclusiva, all’intero iter terapeutico odontoiatrico proposto al paziente medesimo;
2. limitatamente alla zona labiale, comunque all’interno di un piano di trattamento odontoiatrico complessivo;
3. l’eventuale uso di dispositivi medici (filler ecc.) potrà essere consentito solo ove detti dispositivi siano stati immessi in commercio per un utilizzo specifico nelle aree di competenza odontoiatrica: di fatto un vero e proprio divieto, in questo ambito, all’utilizzo off label di dispositivi medici.
Di primo acchito, le limitazioni espresse nel parere del Consiglio superiore di sanità sembrano scaturire da una netta separazione tra cura terapeutica, nella fattispecie odontoiatrica, e cura estetica: tuttavia è da chiedersi se tale distinzione sia ancora attuale dal momento che il diritto alla salute (art. 32 della Costituzione) viene ormai inteso in modo sempre più ampio, tanto che anche la bellezza, o meglio, il sentirsi belli, implica un concetto di salute che parrebbe far rientrare la medicina estetica, e la relativa cura, in ambito terapeutico.
Laureati in medicina
Possono eseguire i trattamenti di medicina estetica su tutto il corpo, non avendo il limite anatomico del terzo e medio inferiore del volto.
Tenendo conto del fatto che non esiste in Italia una vera e propria specializzazione universitaria in medicina estetica pubblicamente riconosciuta al pari di altre specialità mediche, l’ampia libertà di trattamento estetico, riconosciuta a qualunque tipo di medico sulla base di una “astratta” capacità di saper gestire eventuali complicanze, può risultare molto pericolosa per il paziente, tenuto conto del fatto che si applica, in questo caso, la normativa di qualità e sicurezza prevista nel Codice del consumo: non dimentichiamo infatti che il servizio di medicina estetica viene erogato da un professionista (il medico) ad un consumatore (il paziente).
La struttura ambulatoriale
Per il laureato in medicina che esercita l’odontoiatria è però necessario eseguire i trattamenti di medicina estetica che vanno al di là del terzo e medio inferiore del volto in una struttura abilitata allo scopo. Tale struttura può essere certamente lo studio dentistico, ma solo dopo aver provveduto ad inoltrare presso gli uffici competenti (Asl) una «dichiarazione di inizio attività», che renda nota la modifica del contenuto delle prestazioni offerte al pubblico, passando così da «attività odontoiatrica monospecialistica» a «struttura ambulatoriale».
Si tratta di un passaggio burocratico fondamentale e necessario per le qualifiche di sicurezza degli ambienti in cui si devono svolgere i trattamenti. Sono previste sanzioni e i controlli dei Nas non sono così sporadici.
Quale differenza fra studio e ambulatorio?
La differenza più marcata, da un punto di vista giuridico, tra le due strutture, consiste nella necessità di una particolare autorizzazione (regolata in modo diverso da Regione a Regione), per l’apertura di un ambulatorio.
Tutte le norme che autorizzano l’apertura e l’esercizio di attività medica in strutture sanitarie di tipo ambulatoriali, trovano fondamento nell’articolo 193 del Testo Unico Leggi Sanitarie (Tulls) (Regio Decreto n. 1256 del 1934) tuttora vigente.
In origine tale articolo prevedeva al primo comma, una speciale autorizzazione del prefetto. Il Dpr 10/6/1955, nr. 854, all’art. 23, primo comma, ha espressamente stabilito l’attribuzione al sindaco del comune territorialmente competente del potere di concedere l’autorizzazione all’apertura degli ambulatori (previo parere dell’Asl), sostituendo con tale atto la vecchia autorizzazione prefettizia. Tuttavia, l’attuale normativa italiana statale non consente di individuare con precisione quali trattamenti medico-sanitari possano essere effettuati nelle varie strutture, così come manca del tutto una norma di legge che definisca, in via uniforme a livello nazionale, cosa si intenda per «studio medico» o «ambulatorio medico».
A grandi linee, possiamo ritenere, sulla base della giurisprudenza consolidata in materia, che l’ambulatorio medico sarà caratterizzato da una particolare complessità organizzativa e tecnologica, mentre nello studio odontoiatrico dovrebbe prevalere l’aspetto soggettivo/professionale su quello organizzativo/strutturale.
Avv. Stefano Fiorentino