L’associazione tra fumo e malattia parodontale è nota da tempo. I primi resoconti nella letteratura scientifica specialistica comparvero addirittura alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso e in pochi decenni hanno trovato conferma in studi epidemiologici di larga scala.
Oggi il fumo viene considerato il fattore di rischio parodontale modificabile più importante dopo la placca batterica.
La perturbazione del microbiota orale, la soppressione delle reazioni immunitarie locali, l’azione proinfiammatoria, la vasocostrizione e l’alterazione del metabolismo e dei processi riparativi tessutali sono i principali meccanismi attraverso i quali la nicotina e altre sostanze derivate dalla combustione del tabacco determinano le modificazioni flogistiche e degenerative tipiche della parodontopatia cronica: recessione gengivale, perdita di attacco connettivale, formazione di tasche parodontali profonde, coinvolgimento delle forcazioni, riassorbimento alveolare, fino alla mobilizzazione ed eventualmente alla perdita precoce degli elementi dentari interessati.
Nel novero delle diverse ricerche che hanno rilevato un aumentato rischio di edentulismo in giovani adulti fumatori, uno studio finlandese, pubblicato lo scorso novembre in BMC Public Health, ha il pregio di avere indagato nei dettagli l’esposizione individuale al fumo nonché il peso di alcune variabili di confondimento.
Altra nozione ben consolidata in questo settore, infatti, è che la relazione tra insorgenza, gravità e decorso della malattia parodontale e fumo è dose-dipendente, in modo correlato sia all’entità del consumo quotidiano sia alla durata dell’abitudine.
Su un campione di quasi 2.000 quarantaseienni (di cui il 47% uomini e il 53% donne) reclutati dal database del Northern Finland Birth Cohort 1966 Project, i ricercatori hanno ottenuto da un lato dati obiettivi sullo stato di conservazione della dentatura attraverso una valutazione clinica odontostomatologica completa e dall’altro informazioni circostanziate su intensità e distribuzione nel tempo dell’uso di sigarette e altri prodotti del tabacco attraverso un questionario autosomministrato.
Quali parametri dell’esposizione al fumo hanno utilizzato sia la misura cumulativa del “pacchetto/anno” (n. sigarette al giorno/20 x n. anni) sia la durata in anni, classificando come non-fumatori i soggetti che in un periodo precedente allo studio avevano fumato anche quotidianamente ma per meno di un anno in totale e suddividendo i partecipanti fumatori in tre diverse categorie: abituali (coloro che fumavano tutti i giorni al momento dello studio), occasionali (coloro che fumavano non più di quattro giorni la settimana al momento dello studio), pregressi (coloro che non fumavano al momento dello studio ma avevano fumato tutti i giorni per almeno un anno in passato).
Outcome dell’esposizione è stata considerata la perdita di uno o più elementi dentari, con esclusione dei terzi molari.
Complessivamente i risultati hanno messo in evidenza nei fumatori abituali una correlazione significativa tra mancanza di elementi dentari e fumo, con valori di rischio relativo aggiustato (con IC 95%) che aumentano parallelamente all’intensità e alla durata dell’esposizione: rispettivamente da 1,39 per un range di pacchetti/anni compreso tra 0 e 10 fino a 1,78 per dosi uguali o superiori a 21 pacchetti/anni; da 1,40 per periodi di consumo compresi tra 1 e 10 anni fino a 1,72 per periodi di consumo uguali o superiori a 31 anni. Al contrario, i fumatori pregressi e quelli occasionali si attestano su valori di rischio prossimi a quello di riferimento (1,00) dei non-fumatori.
Analogamente, con il consumo di tabacco cresce anche il numero medio degli elementi dentari mancanti nei soggetti interessati (il 53% del campione): da 1,1 nei non fumatori fino a 2,4 nei fumatori con ≥21 pacchetti/anno o con ≥31 anni di esposizione.
Tra le altre variabili vagliate dallo studio hanno mostrato un’associazione positiva con la perdita di elementi dentari il basso livello di istruzione, la scarsa igiene orale (frequenza di spazzolamento ≤1/giorno) e il diabete, mentre non sono emersi effetti significativi dal consumo di alcol e dalla presenza di placca batterica.
«Alla luce di questi dati, che sono in accordo con quelli di lavori precedenti, riteniamo che il tema dei danni parodontali da fumo meriti ulteriori approfondimenti e una costante sorveglianza» concludono gli autori. «Anche in considerazione del fatto che l’aumento del rischio di edentulismo da noi riscontrato riguarda una popolazione tutto sommato “privilegiata” rispetto all’outcome in studio, in quanto beneficiaria fin dall’infanzia delle cure odontoiatriche gratuite previste dal Piano Nazionale per la Salute varato in Finlandia nel 1972 e risultata composta in percentuale consistente da non-fumatori ed ex-fumatori».
Monica Oldani
Giornalista Italian Dental Journal