L’interessamento di una forcazione radicolare è di per sé un’aggravante negativa per la prognosi dell’elemento dentale. La difficoltà nel successo terapeutico è data dalla ridotta possibilità di strumentare correttamente il sito e dalla difficoltà di controllare il biofilm batterico a livello domiciliare.
In questa tipologia di casi è importante una corretta classificazione della malattia parodontale e un successivo approccio terapeutico minimamente invasivo (Mist).
Il limite nella fase attiva è nella strumentazione manuale e meccanica; per questo motivo abbiamo implementato l’uso della terapia fotodinamica Helbo (bredent medical) alla terapia convenzionale. Il meccanismo d’azione della terapia fotodinamica Helbo si basa sulla combinazione di una sostanza fotosensibile, cloruro di fenotiazina all’1%, e di una luce (laser a diodi 660 nm), che reagendo producono ossigeno singoletto in grado di neutralizzare i microrganismi. Un ulteriore effetto dato dalla terapia fotodinamica Helbo è l’effetto fotochimico che porta alla biostimolazione tissutale, riducendo l’attività osteoclastica a favore di quella osteoblastica.
Il caso clinico qui presentato riporta e analizza i risultati ottenuti dopo due anni con la terapia fotodinamica Helbo, utilizzata in aggiunta alla terapia meccanica non chirurgica Mist nel trattamento di una lesione di forcazione di terzo grado.
Caso clinico
La paziente, non fumatrice, in assenza di patologie sistemiche, si presenta nel 2019 (all’età di 34 anni) con una lesione di forcazione di terzo grado a carico dell’elemento 4.6. Viene diagnosticata una parodontite di stadio III con grado di progressione “C” tramite l’ausilio del software Periomapp (www.periomapp.com) e in base alla nuova classificazione mondiale delle malattie parodontali e perimplantari del World Workshop (2018).
All’esame clinico presenta sanguinamento al sondaggio, profondità di 7 mm vestibolare con una recessione di 3 mm. Si rivela inoltre una mobilità di grado 1 a carico dell’elemento in esame (fig. 1). Radiograficamente è presente una forcazione passante con evidente osteolisi attiva, identificabile dalla perdita della radiopacità tipica della corticale ossea, sia a livello della forcazione che nei picchi ossei interprossimali (fig. 2). Grazie alla combinazione degli esami diagnostici, siamo in grado di stabilire l’entità della lesione e allo stesso tempo di inquadrare la potenzialità di miglioramento, rimuovendo in primis i fattori causali.
In prima seduta (T0) la paziente viene sottoposta alla sola terapia fotodinamica con lo scopo di ridurre la flogosi in modo tale da non ledere il prezioso attacco epiteliale e connettivale in fase terapeutica. Questo protocollo, già descritto dai medesimi autori, porta a un possibile maggior guadagno clinico dato proprio dalla riduzione del trauma in fase di strumentazione, che risulta essere minimamente invasiva.
Successivamente, a distanza di 15 giorni, si esegue un debridement manuale e meccanico con l’aggiunta di terapia fotodinamica, ripetuta poi a distanza di sette giorni. La suddetta terapia è stata effettuata tramite un laser a diodi (Helbo TheraLite Laser), la cui luce genera un potente effetto di fotobiostimolazione che riduce la flogosi e favorisce la guarigione. Inoltre la terapia fotodinamica è in grado di modificare la flora del biofilm nel sito, favorendo una riduzione delle specie batteriche patogene.
Come presentato nel caso clinico iniziale, sia a distanza di otto mesi che di due anni si possono apprezzare miglioramenti a livello clinico (fig. 3) e radiografico (fig. 2). Al fine di valutare il guadagno clinico radiografico in modo oggettivo, ci siamo avvalsi della collaborazione della dottoressa Laura Bonfanti, per esprimere in percentuale il successo tramite un’applicazione ideata con il nostro gruppo (fig. 4). Il risultato è stato di un guadagno del 16% sulla ricopertura radicolare totale e del 30% di guadagno del “Lume” della formazione.
Successivamente abbiamo realizzato una sottrazione d’immagine radiografica, sovrapponendo le due radiografie da T0 a due anni post-trattamento, al fine di confermare la remineralizzazione del difetto, come possiamo notare dall’area più scura di colore nero nella fig. 4 (immagine a destra), che sta ad indicare la neoformazione ossea.
Dopo due anni troviamo una riduzione dei parametri clinici con una formazione di secondo grado e una profondità di sondaggio massima di 4 mm. Inoltre l’assenza di flogosi ha portato stabilità con l’assenza di mobilità.
La paziente, vista l’iniziale classificazione in stadio III e grado C, dato da un rapporto tra perdita ossea ed età di 1.7, è stata inserita in un programma di mantenimento con sedute ogni due/tre mesi, in cui si procede a ripetere il trattamento Helbo ad ogni seduta nei primi due anni.
Successivamente, vista la stabilità raggiunta, si decide di abbinare la terapia fotodinamica al normale richiamo, a fasi alternate.
Autori:
Andrea Benetti, odontoiatra Prof. a.c. all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma
Alice Filippi, igienista dentale Libera professionista a Riva del Garda

Andrea Benetti
Igienista dentale, Prof. a.c. all'Università Cattolica di Roma e all'Università di Verona