La riabilitazione implantoprotesica di una grave atrofia mascellare deve obbligatoriamente prendere in considerazione quello che è il costo biologico che chiediamo di pagare a un paziente.
Mai come oggi è il paziente stesso a richiedere un trattamento poco invasivo che garantisca una riabilitazione in tempi sempre più ridotti, complice anche il disorientamento che la pazientela subisce a causa di pubblicità spesso ingannevoli. Sembra sempre di più tramontata la rigenerativa ossea, specie con prelievo autologo, così come l’attesa dei tempi di guarigione biologica che il paziente accetta sempre più con riluttanza.
Nel caso in oggetto riportiamo un piano di trattamento per atrofia mascellare, che può considerarsi innovativo a quello che in genere siamo soliti proporre.
La paziente presentava grave atrofia verticale del mascellare superiore (figg. 1, 2 e 3) inquadrata come A0, M0, P1 nell’ambito della classificazione AMP delle atrofie maxillo-mandibolari, in corso di accreditamento.
In pratica, l’osso residuo per una implantologia endossea tradizionale era del tutto insufficiente nel settore medio e anteriore, la zona tuberale invece era ancora ben rappresentata (figg. 4, 5 e 6).
Posteriormente abbiamo optato per il posizionamento di due impianti pterigoidei (diametro 4,7 mm; lunghezza 18 mm) della BTK, ma il grosso punto interrogativo era la porzione media e anteriore del mascellare che non consentiva alcun tipo di implantolgia endossea (figg. 7 e 8).
Previa esecuzione di cone beam, abbiamo fatto realizzare un modello litostereografico del mascellare sul quale abbiamo disegnato e progettato una griglia “iuxtaendossea” (fig. 9). Realizzata mediante fusione in titanio è stata provvista di fori di fissaggio per viti corticali a quelli che sono i pilastri di resistenza del mascellare.
La griglia così concepita ha consentito di risolvere quelli che storicamente erano i maggiori problemi dell’implantolgia iuxtaossea che creavano riassorbimento osseo e quindi intolleranza a breve e medio termine del manufatto:
– errato rapporto carico/superficie;
– appoggio della griglia su osso di bassa densità;
– micromovimenti durante il carico per inappropriata stabilità primaria;
– ipersensibilità al metallo in caso di fusioni in lega di cromo-cobalto;
– necessità di due interventi.
Abbiamo sottoposto la paziente a un solo intervento chirurgico durato circa un’ora e mezza, in anestesia locale. Gli impianti pterigoidei di forma conica ci hanno garantito una stabilità primaria con torque superiore a 50Ncm, sufficienti a un carico immediato.
La griglia si è adattata perfettamente all’anatomia del mascellare ed è stata fissata con viti di lunghezza e calibro già calcolati sulla base dell’esame tomografico (fig. 10).
In 24 ore il laboratorio ha eseguito la saldatura connettendo gli pterigoidei alla sovrastruttura della griglia.
Abbiamo realizzato un carico precoce, garantendo alla paziente un’arcata provvisoria con rinforzo metallico di 14 elementi, con connessione conometrica sui monconi della griglia e avvitamento passante sugli pterigoidei. Buono il decorso post operatorio (figg. 11, 12, 13 e 14).
Siamo consapevoli di aver proposto una nuova opzione di trattamento che di certo miglioreremo nei materiali, nei metodi e nel protocollo. Sicuramente ci sarà bisogno di aspettare un adeguato follow-up prima che possa essere proposta in maniera diffusa, ma siamo fiduciosi nel positivo esito dell’intervento in quanto abbiamo riunito e rivisto al meglio protocolli chirurgici che da soli hanno una lunga tradizione e bibliografia.
Si ringrazia il laboratorio Veradent, in Brescia, nella persona del Sig. Vito Bray per la sua estrema competenza e professionalità.
Gli autori del caso clinico sono: Mauro Cerea. libero professionista in Bergamo, Franco Olivetti e Matteo Olivetti, liberi professionisti in Brescia
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Mauro Cerea
Libero professionista in Bergamo