
Stefano Daniele
Una recente pubblicazione (1) del team di Flavio Fernando Demarco, noto ricercatore universitario brasiliano, si chiede perché spesso i restauri in composito falliscono e se invece non sarebbe lecito aspettarsi che durassero per sempre.
Le resine composite sono i materiali impiegati in maniera quasi esclusiva per il restauro diretto degli elementi dentali compromessi e alcune revisioni sistematiche (vedi tabella in questa pagina) riportano che il restauro in resina composita è in grado di fornire delle buone performance cliniche con un valore di fallimento annuo compreso tra l’1 e il 4%. Nonostante i dati confortanti riportati dalla letteratura, nella pratica clinica è frequente la sostituzione di restauri in composito danneggiati.
Riparare o sostituire?
«I restauri in composito dovrebbero durare per sempre?», si chiede invece Demarco, che comunque sottolinea come esiste un’ampia variabilità di valutazione da parte degli operatori nello stabilire l’effettivo fallimento di questi restauri. La decisione se sostituire un restauro in composito danneggiato piuttosto che ripararlo è un percorso decisionale strettamente legato alla valutazione e al modo di operare del professionista, basato sulla formazione ricevuta durante il percorso di studi e sulla conoscenza della letteratura scientifica, che fornisce suggerimenti e linee guida su come comportarsi di fronte a particolari situazioni che evidenziano un restauro in resina composita danneggiato.
Appare evidente che il diverso approccio al problema cambia anche le percentuali di sopravvivenza dei restauri in quanto, ad esempio, se la decisione di sostituire in toto una ricostruzione può essere considerata un fallimento dell’intervento conservativo, la decisione di ripararlo non lo è. Sono da escludere dai criteri decisionali dell’operatore le espresse richieste per motivi estetici da parte del paziente di sostituire il restauro in composito anteriore che ha perso le sue caratteristiche iniziali.
Le cause di fallimento del restauro in resina composita sono, in ordine di prevalenza, principalmente lo sviluppo di carie secondaria intorno al restauro, la frattura totale o parziale dello stesso e, in misura minore, con riferimento alla valutazione soggettiva del paziente, i fallimenti legati a problematiche estetiche (perdita di lucentezza e brillantezza). L’articolo dei ricercatori brasiliani riporta in maniera semplice ma efficace i fattori che possono influenzare il fallimento di un restauro in resina composita e li suddivide in tre grosse categorie: quelli che fanno riferimento al paziente, quelli legati all’operatore e quelli relativi al materiale e alla tecnica di lavorazione.

Tab. 1: l’articolo di Demarco e colleghi (1) riporta le revisioni sistematiche comparse negli ultimi cinque anni in letteratura riguardo la longevità dei restauri diretti nei settori anteriori e posteriori considerando la proporzione di sopravvivenza “SP” in relazione agli anni di utilizzo clinico e il fallimento annuo “AFR” dei restauri
I fattori individuali
Questi fattori fanno riferimento a patologie o condizioni individuali del paziente che sono in grado di influenzare in senso negativo la longevità di un restauro in composito correttamente eseguito e controllato nel tempo dall’operatore.
I pazienti a rischio aumentato di carie tendono ad avere una maggiore probabilità di fallimento dei restauri in resina composita rispetto ai pazienti a basso rischio. Il rapporto di rischio aumentato per questi pazienti è compreso tra i valori di 2.45 e 4.40. Questo rischio aumentato si evidenzia anche per i restauri in composito posizionati sui denti decidui dei bambini che presentano un alto indice Dmft. Questi dati fanno prevalentemente riferimento ai settori posteriori, mentre una recente revisione sistematica (2) sul fallimento dei restauri in resina composita nei denti anteriori evidenzia un basso numero di insuccessi per carie secondaria in tale settore, mentre prevalgono le problematiche estetiche durante l’esercizio. In quella ridotta percentuale di presenza di carie secondaria nei settori anteriori, l’autore precisa che il paziente sarà sicuramente ad alto rischio di fallimento anche nei settori posteriori.
La presenza di bruxismo o parafunzione masticatoria è associata a un maggior consumo delle superfici del restauro rispetto ai pazienti che non presentano tale condizione patologica del sistema neuro-muscolare dell’articolazione temporo-mandibolare (3).
Anche l’età è un fattore che può predisporre al fallimento del restauro adesivo in resina composita. I bambini (5-11 anni) presentano un rischio aumentato di fallimento dei restauri rispetto agli adolescenti (12-19 anni) e tale aspetto sarebbe da riferire a un maggior rischio carie nella primissima età, oltre che una scarsa attenzione e motivazione all’igiene orale domiciliare, con conseguente maggior accumulo di placca sulle superfici dentali.
Un aumentato rischio di decadimento dei restauri in composito si è evidenziato anche nei pazienti anziani (più di 65 anni) con un valore di fallimento annuo compreso tra 2,9 e 7,9%, a differenza di pazienti più giovani (meno di 65 anni) dove questo dato diminuisce e si porta a un intervallo compreso tra 4,2 e 5%. I motivi di queste maggiori percentuali di fallimento nei pazienti anziani sono da ricercare nel fatto che in questa fascia di età sono di facile riscontro restauri molto estesi a più superfici, posizionati sui molari o su denti trattati dal punto di vista endodontico (4).
Ancora, nei pazienti anziani possono esistere complicazioni mediche con ripercussioni sulla salute del cavo orale (ad esempio assunzione di farmaci che provocano xerostomia) e, spesso, una minor attenzione all’autocura che, verosimilmente, comprende anche l’igiene orale domiciliare.
Anche lo stato socio-economico influenzerebbe la sopravvivenza dei restauri in resina composita: tra le fasce di popolazione meno abbienti si osserva una maggiore percentuale di fallimento dei restauri. Infine, restauri in composito eseguiti presso cliniche situate in aree a basso livello socio-economico hanno evidenziato un valore di fallimento annuo pari a 5,6%, confrontato con una percentuale pari a 4,2 e 5,1% rispettivamente per le aree a medio e alto strato socio-economico. Questi dati sono probabilmente da riferire non tanto all’attitudine meno spiccata all’igiene orale domiciliare dei pazienti appartenenti a un basso strato socio-economico, ma al fatto che la maggior disponibilità economica permette ai pazienti a stato socio-economico più elevato di orientarsi verso cliniche odontoiatriche più specializzate oppure all’interno di trial strettamente controllati.

Restauri in resina composita su 1.2 e 2.2 per correzione di anatomia alterata (simil-conoidi). Restauri prima della rimozione della diga di gomma (fig. 2), al controllo dopo 7 giorni dall’esecuzione (fig. 3) e al controllo dopo 6 anni di utilizzo clinico (fig. 4)
Le variabili operatore-dipendente
Il modo di procedere clinico dell’odontoiatra ha un ruolo molto rilevante nel determinare la sopravvivenza dei restauri in composito nel tempo.
Tali fattori comprendono le conoscenze dell’operatore con riferimento alla corretta manipolazione dei materiali che impiega (sistemi adesivi smalto-dentinali e resine composite) e l’accuratezza che pone durante l’esecuzione del restauro.
Ancora, come prima citato, è importante la corretta valutazione circa le indicazioni della riparazione del restauro piuttosto che della sua sostituzione. Molto spesso il professionista non è a conoscenza che il restauro adesivo subisce, inevitabilmente, degradazione nel tempo e che la presenza di alterazione superficiale o discolorazione marginale non significa che sia compromesso in misura non rimediabile (ad esempio la discolorazione marginale non significa per forza presenza di carie secondaria) e che debba necessariamente entrare nei casi di rifacimento.
Demarco enfatizza come molti corsi di formazione post universitari abbiano, purtroppo, un focus basato sulla sostituzione in toto di restauri in composito che presentano minimali e riparabili difetti con restauri, riportando le esatte parole dell’autore, “brand new”.
Il materiale e la tecnica
Le attuali resine composite presentano decisi miglioramenti rispetto alle prime generazioni, in modo particolare per la resistenza all’usura superficiale, l’entità di contrazione di polimerizzazione e la stabilità cromatica nel tempo.
La scelta della resina composita da parte del professionista non è un grosso discriminante oggigiorno, mentre rimane influente la corretta valutazione della cavità, ovvero se presenta indicazioni al restauro diretto rispetto a quello indiretto, incidendo sul volume di resina da impiegare, che rimane il “motore” dello stress da contrazione e della corretta riproduzione dell’anatomia.
Il restauro che sfrutta tecniche adesive ai tessuti dentali è ancora – nonostante gli ultimi orientamenti verso procedure molto semplificate come gli adesivi universali e i compositi bulk-fill – una tecnica sensibile e operatore dipendente.
La scelta del sistema adesivo da impiegare, la sua corretta manipolazione, la valutazione della presenza di margini di smalto nel contorno della cavità (l’adesione allo smalto rimane la migliore e più durevole che si possa ottenere) sono fattori importanti da considerare per una predicibile sopravvivenza del restauro in resina composita.
Il rispetto rigoroso delle procedure cliniche suggerite dal fabbricante è un fattore importante in grado di influenzare la longevità nel tempo del restauro in resina composita, così come il corretto isolamento del campo operatorio con la diga di gomma.
Una considerazione personale, che esula dalla trattazione di Demarco e colleghi, riguarda la polimerizzazione dei sistemi adesivi smalto dentinali e delle resine composite: essa deve essere condotta in misura sufficiente per conferire un giusto grado di conversione ai monomeri resinosi costituenti e quindi conferire al restauro adesivo soddisfacenti proprietà meccaniche e biologiche, come resistenza all’abrasione, mantenimento delle caratteristiche estetiche e minor suscettibilità all’accumulo del biofilm batterico.
Stefano Daniele
odontoiatra
1. Demarco FF, Collares K, Correa MB, Cenci MS, Moraes RR, Opdam NJ. Should my composite restorations last forever? Why are they failing? Braz Oral Res. 2017 Aug 28;31(suppl 1):e56.
2. Demarco FF, Collares K, Coelho-de-Souza FH, Correa MB, Cenci MS, Moraes RR, Opdam NJ. Anterior composite restorations: A systematic review on long-term survival and reasons for failure. Dent Mater. 2015 Oct;31(10):1214-24.
3. van de Sande FH, Opdam NJ, Rodolpho PA, Correa MB, Demarco FF, Cenci MS. Patient risk factors’ influence on survival of posterior composites. J Dent Res. 2013 Jul;92(7 Suppl):78S-83S.
4. Laske M, Opdam NJ, Bronkhorst EM, Braspenning JC, Huysmans MC. Longevity of direct restorations in Dutch dental practices. Descriptive study out of a practice based research network. J Dent. 2016 Mar;46:12-7.