Questo caso è tratto dal mio final written report discusso quest’anno alla New York University, College of Dentistry nell’ambito del Linhart Continuing Dental Education Program, il cui report advisor è stato il Dr. Prof. Saverio Ravazzolo.
Si tratta di un paziente che si è presentato alla mia osservazione in seguito a un trauma che ha provocato la frattura dell’11 (fig. 1) e la cone beam (fig. 2) mostrava il deficit dei 2/3 della corticale coronale. Dopo l’estrazione dell’elemento compromesso, la pressione della sonda sul tessuto molle crea una depressione (fig. 3) per l’assenza della corticale sottostante, per cui siamo di fronte a un alveolo classificato “tipo 2c” dal gruppo della New York University.
All’estrazione, fatta in modo atraumatico, segue l’inserimento di un impianto con una buona stabilità primaria. Quindi utilizzando “l’ice cone tecnique modificata” di Tarnow posizioniamo una membrana in collagene riassorbibile (figg. 4, 5 e 6) al di sotto del tessuto gengivale a continuazione della membrana interrotta (fig. 7). Successivamente si zeppa del bioss in granuli (fig. 6) tra membrana e impianto, creando quella zona che Tarnow definisce “Dual Zone”. Viene avvitato un provvisorio con un over contour che avrà la funzione di opporsi al collasso del biomateriale (figg. 8 e 9) creando un sigillo protesico.
Quindi gli elementi essenziali per opporsi al collasso alveolare dopo un’estrazione, secondo i lavori pubblicati dal gruppo della New York University, sono: estrazione atraumatica, impianto in flapples, buona stabilità primaria dell’impianto e inserimento del provvisorio.
Si lascia il provvisorio in situ per 6 mesi per la maturazione dei tessuti (fig. 10) e quando si rimuove si rinvengono dei granuli di bone graft integrati nel connettivo (fig. 11), che non vanno rimossi, perché rappresentano una sorta di esoscheletro per i tessuti. A questo punto si allestisce la corona definitiva in metallo-ceramica (fig. 12), con una buona rappresentazione dei tessuti perimplantari, inserita con un solo intervento chirurgico. Qualora avessimo inserito un impianto differito, seguendo la tendenza della letteratura attuale avremmo dovuto fare più interventi: il primo per l’estrazione, il secondo dopo la guarigione per l’inserimento dell’impianto e probabilmente un terzo per prelevare del connettivo dal palato allo scopo di aumentare gli spessori dei tessuti perimplantari. Tutto questo avrebbe aumentato notevolmente il discomfort del paziente.
Bibliografia
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Giuseppe Annone
Libero professionista in Napoli