Gli impianti corti nascono principalmente come soluzione alternativa a complessi interventi di rigenerazione ossea in presenza di creste atrofiche. L’impiego di questi dispositivi, dopo i primi risultati non incoraggianti (1), si è progressivamente diffuso tra gli implantologi divenendo un’opzione affidabile nell’approccio terapeutico. Ciò nonostante, persistono ancora alcune perplessità verso il loro utilizzo su larga scala. Una delle principali critiche mosse nei confronti di questo tipo di impianto è rappresentata dalla ridotta superficie a contatto con l’osso che potrebbe, ipoteticamente, comprometterne la prognosi a medio e lungo termine.
Lo sviluppo di nuove superfici implantari e l’adozione di impianti con una diversa morfologia ne ha certamente migliorato il risultato clinico. Di recente è stata introdotta sul mercato una differente configurazione implantare: un impianto dotato di una particolare morfologia definita “back-taper” (fig. 1), che permette di avere una superfice implantare trattata fino al bordo della connessione implantare, di tipo conometrico indicizzato, aumentando in questo modo l’area a disposizione per il contatto tra l’impianto e l’osso. In questo modo grazie al particolare disegno dell’impianto e all’amplificazione del concetto di Platform Switching, che si ottiene con l’emergenza dell’abutment internalizzata rispetto al profilo dell’impianto, si è osservata un’ottima stabilità dei livelli ossei perimplantari nei controlli a medio e lungo termine.
Nelle figure 2 e 3 è possibile apprezzare il confronto tra un impianto tradizionale, nel quale l’emergenza del moncone è allineata al profilo implantare, e uno con il nuovo disegno sopra illustrato, entrambi inseriti in un alveolo post-estrattivo di un molare inferiore con approccio di tipo transmucoso. Le radiografie endorali, eseguite immediatamente dopo il posizionamento dell’impianto e a distanza di tre mesi, mostrano la differente modalità di guarigione dell’osso perimplantare. Nello specifico, nel caso dell’impianto con profilo back-taper appare evidente come l’andamento della ricrescita ossea intorno all’impianto segua perfettamente il particolare profilo del collo e della superficie trattata.
La maggiore stabilità della connessione conometrica tra impianto e abutment associate alla ridotta colonizzazione batterica, dimostrata in alcuni lavori pubblicati in letteratura (2, 3), concorre poi ad una migliore stabilità del livello di osso marginale intorno all’impianto.
Se si applicano le caratteristiche fino ad ora descritte agli impianti corti, si riesce ad ottenere uno strumento valido e affidabile per affrontare anche quelle situazioni cliniche di maggior impegno e difficoltà.
In un poster pubblicato alla recente edizione dell’Eao 2022 è stata evidenziata, su un campione di 48 impianti, una ricrescita ossea al di sopra del profilo sia in senso verticale che orizzontale. I migliori risultati, in tal senso, si ottengono con impianti inseriti in posizione sotto-crestale (4).
Caso clinico
Il caso clinico illustrato rappresenta un tipico esempio di indicazione all’utilizzo di impianti corti in condizioni cliniche complesse. La paziente GM, 55 anni, si presenta alla nostra osservazione con la frattura radicolare di 37, che viene di conseguenza estratto per poi essere sostituito con un impianto.
L’esame cone beam evidenzia una ridotta distanza tra la cresta ossea e il nervo alveolare inferiore (Nai) tale da non consentire l’utilizzo di un impianto di lunghezza standard. Si decide pertanto di inserire un impianto di lunghezza 5.2 mm e diametro di 6 mm (copaSKY, bredent medical) (fig. 4) all’interno dell’alveolo dentale residuo all’estrazione del 37. Dopo aver eseguito anestesia tronculare con mepivacaina 3% (Scandonest, Ogna), si procedeva all’incisione del lembo e al successivo scollamento, a spessore totale, per evidenziare i margini ossei dell’alveolo. Dopo attenta pulizia, il sito veniva preparato prestando particolare attenzione a ottenere un torque di inserimento di almeno 30 Ncm (fig. 5). Dopo tre mesi, verificata la buona guarigione dell’impianto, si procedeva al rientro chirurgico e alla successiva fase protesica. Dopo quattro mesi una corona in zirconia monolitica veniva inserita a completamento del piano di trattamento programmato.
La radiografia di controllo (fig. 6) eseguita a distanza di due anni mostra un perfetto mantenimento dei livelli di osso marginali allineati esattamente a seguire il profilo della superfice trattata dell’impianto.
Attualmente possiamo quindi ritenere l’impianto corto come un’alternativa affidabile e utile in situazioni cliniche specifiche, previa attenta analisi e programmazione del caso. Il risultato clinico può essere inoltre influenzato da particolari caratteristiche studiate per ottimizzare il Bic e migliorare la stabilità nel tempo dei livelli ossei marginali, come nel caso del profilo back-taper.
Bibliografia
1. Group 1 ITI Consensus Report. Clin Oral Implants Res. 2018 Oct;29 Suppl 16:69-77.
2. Zipprich H et al. The micro-mechanical behaviour of implant abutment connections under a dynamic load protocol, Clin Implant Dent Relat Res 2018 Oct; 20 (5), 814-823.
3. Ardakani M et al. J Oral Implantol 2019 Oct; 45(5); 350-355.
4. Ghirlanda G et al. Poster 713, Eao Congress Geneva 2022.

Giovanni Ghirlanda
Libero professionista a Roma