Oggigiorno nella nostra clinica quotidiana vengono richiesti trattamenti che siano veloci e poco invasivi, conservando però la predicibilità e il risultato estetico dei trattamenti più complessi. In quest’ottica anche in chirurgia implantare è necessario ricorrere a tecniche semplici, predicibili, che riducano invasività, tempi chirurgici e di guarigione.
Il caso presentato è quello di una paziente di 49 anni che si reca in studio per ricorrenti infezioni a carico dell’elemento dentale 15 (fig. 1). Si tratta di un dente già precedentemente devitalizzato, quindi viene eseguito in prima battuta il ritrattamento endodontico. A distanza di poche settimane, dato il persistere della sintomatologia infettiva, si presume la presenza di una frattura verticale radicolare successivamente confermata da un lembo esplorativo eseguito in accordo con la paziente, poiché non sicura di voler estrarre l’elemento. Di conseguenza si decide per l’avulsione dell’elemento dentale e contestuale posizionamento implantare.
Viene eseguito un esame radiografico TC Cone Beam che evidenzia un difetto osseo vestibolare in corrispondenza della linea di frattura radicolare, difetto che verrà gestito nello stesso step chirurgico del posizionamento implantare. Dovendo eseguire una rigenerazione ossea si realizza un lembo vestibolare e si procede all’estrazione dell’elemento dentale fratturato (fig. 2). Quindi si posiziona l’impianto Megagen Anyridge 4×13 mm all’interno dell’alveolo post-estrattivo, raggiungendo, grazie alla geometria delle spire, un ottimo torque di inserimento nonostante l’importante deficit osseo. Quest’ultimo, infine, verrà trattato con una griglia iGen (Megagen) (fig. 3). Questa soluzione permette di fissare in questo caso materiale eterologo di origine suina. Infine, previo rilascio del lembo, si sutura con un filo 5/0 in ptfe.
A distanza di circa cinque mesi si esegue la seconda fase chirurgica rimuovendo la griglia e si osserva un’ottima rigenerazione ossea con una completa risoluzione del difetto osseo vestibolare (fig. 4). In questa fase viene presa un’impronta in digitale e consegnato nelle 24 ore successive un provvisorio avvitato che possa guidare il condizionamento dei tessuti durante la fase di guarigione dei tessuti stessi. Questo permette di sfruttare il massimo potenziale di adattamento dei tessuti alla forma del manufatto protesico.
La presa delle impronte definitive, infine, è stata eseguita a distanza di un paio di mesi dalla scopertura dell’impianto con la conseguente consegna della corona avvitata definitiva.
A circa due anni dalla chirurgia si può apprezzare un’ottima conservazione sia dei volumi ossei che dei tessuti molli vestibolari che garantisce un efficace mantenimento della detersione da parte del paziente e un buon mimetismo della corona protesica (figg. 5 e 6). L’utilizzo di questa tecnica ha permesso di ridurre il numero di chirurgie e quindi la durata del trattamento, rendendo possibile trattare un importante deficit osseo in un unico step chirurgico contestualmente ad estrazione e posizionamento implantare senza per questo rinunciare a predicibilità e risultato estetico.

Paolo Gilardoni
Libero professionista a Treviglio (Bergamo)