La stabilità della connessione tra moncone e impianto è un aspetto di primaria importanza nella moderna implantologia e le problematiche a carico della stessa rimangono irrisolte. I sistemi più comunemente usati per la solidarizzazione del moncone protesico all’impianto prevedono l’interposizione di una vite di connessione, dove l’efficacia dipende dal carico occlusale sulla vite di connessione. Questo è generato applicando un determinato torque di avvitamento al momento del posizionamento della stessa. Complicanza meccanica più frequente è lo svitamento con perdita di connessione tra moncone e impianto, che rappresenta un rischio biologico dal momento che i micromovimenti che ne scaturiscono determinano uno stimolo al riassorbimento osseo crestale. Maggiore probabilità di complicanze protesiche è registrato su corone singole nei settori posteriori, dove dal punto di vista biomeccanico ci si avvicina al fulcro della potenza del vettore forza situato a livello del condilo. Una revisione sistematica della letteratura (Jung et al. Clin Oral Implants Res 2008) ha riportato una incidenza cumulativa di svitamento del 12,7% e frattura della vite di connessione dello 0,35% a 5 anni. Allo scopo di superare questi problemi, sono stati introdotti sul mercato diversi sistemi a connessione interna e, successivamente, a questi sistemi sono state associate diverse forme di accoppiamento conico. La conometria è presente in meccanica da oltre cento anni e le sue applicazioni hanno trovato ampia diffusione in ambito medicale, in ortopedia e in implantologia. La connessione conometrica tra moncone e impianto si basa sul principio della “saldatura a freddo”, ottenuta per ampio contatto e resistenza frizionale tra le superfici dell’impianto e del moncone in esso attivato. Essa è definita “autobloccante” se l’angolo di apertura è inferiore ai 5°, generando il cosiddetto Cono Morse.
Numerosi e recenti lavori hanno dimostrato come la connessione conometrica tra moncone e impianto possa resistere a carichi eccentrici complessi con momenti flettenti, garantendo assoluta stabilità meccanica e riducendo significativamente l’incidenza di complicanze protesiche a carico dell’interfaccia tra moncone e impianto. Dal punto di vista biologico, inoltre, il microgap che si crea nelle superfici flat to flat favorisce la penetrazione di batteri all’interno dell’interfaccia impianto-pilastro e la produzione e il rilascio da parte di essi di endotossine che possono poi essere veicolati all’esterno nella compagine dei tessuti perimplantari. In alcune condizioni cliniche, quando la terapia endodontica di ritrattamento canalare è impraticabile (presenza di perni endocanalari inseriti con cementi resinosi) e non è in grado di migliorare il risultato iniziale (canali atresici o con riassorbimenti interni), l’inserimento di un impianto diviene una valida alternativa terapeutica. Nonostante la presenza di un’infezione attiva sia stata a lungo considerata una delle controindicazioni all’inserimento di un impianto post-estrattivo, numerosi studi dimostrano come questa scelta terapeutica porti a risultati eccellenti, come dimostrato da una revisione della letteratura di Del Fabbro e collaboratori (Del Fabbro et al. Clin Implant Dent Relat Res 2015).
Caso clinico
Paziente di sesso femminile di anni 52 si presenta alla nostra osservazione con frattura coronale completa di elemento 25, già trattato endodonticamente e sottoposto a ricostruzione diretta in composito. Paziente sostanzialmente in buona salute: ananmesi ed esame obiettivo generale negativo. All’esame radiografico con OPT si evidenzia radice residua di 25 con lesione apicale cronica di modeste dimensioni, comunque asintomatica, e priva di lesioni parodontali significative. Si è programmato quindi un intervento di estrazione di 25 e inserimento immediato di fixture impiantare (fig. 1).
È stata prescritta profilassi antibiotica chirurgica con amoxicillina e acido clavulanico cp da 1 g (1 cp ogni 12 ore per 6 giorni) e sciacqui con clorexidina 0,12% (2 al dì per 10 gg) dal giorno prima dell’intervento.
È stato eseguito un lembo a tutto spessore intrasulculare senza effettuare scarichi verticali di rilascio, con la possibilità di avere un facile accesso al sito chirurgico. Viene effettuata l’estrazione senza eseguire alcuna ostectomia periradicolare in maniera da preservare il più possibile l’osso alveolare (specie la porzione vestibolare).
La preparazione del sito implantare inizia con fresa calibrata del diametro di 2 mm ancorandosi alla corticale palatina dell’alveolo residuo; in previsione di un processo di riassorbimento fisiologico post-estrattivo. l’ingresso coronale della fresa viene stabilito a 2 mm apicale dalla cresta ossea (fig. 2). Si procede alla preparazione finale del sito implantare con frese calibrate del 2,8 e 3,1. In tal caso è sempre necessario sottopreparare il sito in maniera da dare una buona stabilità primaria, condizione necessaria per il successo del trattamento.
Viene posizionato l’impianto Dental Tech FTP 3,75 x 11,5 mm con torque di inserimento a 35 Ncm (fig. 3). Il fresaggio dell’osso viene fatto a bassa velocità (50 giri/minuto) senza irrigazione in maniera da raccogliere dell’osso di fresatura, mischiandolo con del particolato osseo bovino di sintesi (fig. 4).
Il gap tra osso alveolare e fixture è colmato con il particolato osseo inserito in eccesso, fino a coprire completamente la vite tappo (fig. 5). Viene inserita in cresta una spugna di collagene riassorbibile (Spongostan) per favorire la guarigione della mucosa gengivale e si inserisce sutura 3/0 in seta (fig. 6). Alla radiografia endorale di controllo post-intervento si apprezza il corretto posizionamento dell’impianto sia in posizione mesio-distale che corono-apicale (fig. 7).
A 12 settimane dall’inserimento della fixture si è proceduto alla preparazione dell’abutment definitivo e al posizionamento di corona provvisoria in resina, che viene scaricata vestibolarmente in maniera da favorire la maturazione della gengiva aderente e la corretta festonatura del margine rispetto agli elementi dentari adiacenti (fig. 8). Dopo due mesi, consegna della corona definitiva con corona in Zi-Ceramica (fig. 9). L’ortopantomografia di controllo effettuata a otto mesi dalla protesizzazione evidenzia un’ottima integrazione del manufatto.

Simone Rania
Dirigente ospedaliero e libero professionista in Gallarate (VA). Specialista in ortodonzia e chirurgia orale.