Premium Day Sweden&Martina: dalla clinica al confronto sulla sostenibilità delle cure implantari. Sul mercato l’azienda ha saputo imporre un modello di «qualità di massa»; dal lato clinico si ragiona sul passaggio dall’all-on-4 al fixed-on-2
«Nel 2013 il fatturato dell’odontoiatria è stato di 4 miliardi di euro, nel 2014 di 3,9 miliardi» ha detto Enrico Gherlone nella conferenza stampa di apertura del 13esimo Premium Day Sweden&Martina dello scorso giugno al Palazzo della Ragione di Padova, spiegando come non si possa parlare di una crisi dell’odontoiatria in senso stretto. «È vero però – ha continuato Gherlone – che c’è stata una modulazione della spesa degli italiani, che hanno abbandonato una certa forma di professione rivolgendosi ad altre forme di professioni private. In Italia è da ricordare che il 93% dell’odontoiatria è privata, solo il 7% è pubblica, e che il 63% degli italiani non va dall’odontoiatra perché non può permettersi le cure. Quando varia la domanda, varia l’offerta, ed è quello che è successo. Questo giustifica i cali di fatturato. Il paziente è stato sottoposto a una massiccia pubblicità e si è rivolto per questo verso una qualità percepita». È quindi fondamentale parlare di connubio pubblico-privato, anche se la politica non è in condizione di spendere denaro a breve o medio termine.
La soluzione? «È quella che la Lombardia con un modello e la Toscana con un altro stanno cercando di fare: coinvolgere il privato con un rapporto pubblico-privato dove si riesca ad aumentare il numero di prestazioni a costi contenuti senza scendere con l’asticella della qualità – riflette Gherlone –. Il minimo comune denominatore deve essere la tutela della salute del cittadino, per questo bisogna trovare dei modi con le risorse che ci sono». L’estero è quindi nelle parole di Gherlone un falso problema, la necessità è quella di cercare collaborazioni nel privato e, quando possibile, nel pubblico per aumentare il numero di prestazioni a un livello eccellente. «Bisogna educare il paziente a non guardare solo alla qualità percepita ma a quella effettiva ed educare meglio i nostri colleghi».
Il rapporto con il paziente è fondamentale e anche se sono in atto degli esperimenti per depersonalizzare il rapporto medico-paziente, riducendolo a un contratto tipo merceologico, questo non può essere e, ha proseguito Gherlone «a medio-lungo termine non funzionerà. Il paziente deve essere fidelizzato, deve capire che può essere operato all’interno di un team dove ciascuno ha le proprie competenze, cosa che accade anche negli altri ambiti della medicina moderna, ma farlo diventare assieme all’odontoiatra un numero, così come cercano di fare alcuni grossi network, che funzionano solo da un punto di vista economico, dal dopo rapporto medico in poi, non funzionerà». In questi network il progetto viene fatto dal medico ma viene illustrato da un impiegato esperto in marketing e la stessa apertura del network viene fatta sulla base delle stime sulla sua successiva vendibilità a cinque anni ancora più che sul fatturato, anche a causa dell’interessamento di fondi di capitale stranieri.
A giudicare dagli ultimi dati però i risultati di un processo simile non saranno vincenti, come evidenziato anche dal moderatore Mario Pinzi, perché già adesso il 50% delle persone recatesi all’estero per cure dentali si è poi dichiarata insoddisfatta della scelta fatta.
Il confronto Usa-Europa
Alla conferenza è intervenuta anche Pouya Hatam, che ha evidenziato come la realtà degli Stati Uniti sia molto differente da quella italiana ed europea. La situazione in America è diversa, gli impianti sono solo per i privilegiati, non per il vasto pubblico; a monte vi è anche un problema assicurativo, esiste un sussidio ma non è sufficiente e ci si rivolge a grandi centri per trattamenti implantari, cosa che non è normale per le persone «comuni».
«In Usa quando si pensa italiano non si pensa al rapporto qualità/prezzo, ma solo alla qualità, al valore della ricerca, e la scelta di un prodotto viene fatta solo sulla base di questa: è la principale differenza fra il mercato statunitense e quello europeo. Quando penso a un prodotto europeo penso all’eccellenza rispetto a un prodotto che arriva dall’Asia, dal Medio Oriente o da altre parti del mondo».
«Rivolgersi alla qualità e in primis agli istituti universitari è sacrosanto – ha evidenziato il presidente di Sweden&Martina, Sandro Martina –. Se però possiamo essere competitivi anche riguardo al prezzo penso sia una cosa buona. L’esperienza di questi mesi negli Stati Uniti è stata un’esperienza che abbiamo condiviso con clinici italiani che avevano già relazioni con le università americane, creando una sinergia tra azienda, docenti universitari italiani che hanno avuto un interscambio culturale e i docenti delle università americane». Il legame fra imprenditorialità, mondo accademico, università e mondo scientifico e il connubio fra questi è infatti la base per far nascere idee vincenti e propositive, concetto ben chiaro al gruppo che negli ultimi anni ha investito più di 13 milioni di euro in ricerca e sviluppo, affermando un nuovo modello nel mercato dell’odontoiatria italiana: la «qualità di massa».
Sostenibilità clinico-economica: dall’all-on-4 al fixed-on-2
Lo stesso tema, rivisto in chiave clinica, è stato oggetto di un corso pre-congressuale al 13esimo Premium Day, tenuto da Gioachino Cannizzaro e Paolo Viola, dedicato alla riabilitazione implantare nell’attuale contesto socio-economico.
Le necessità evidenziate sono quelle di ridurre i costi economici e biologici e i tempi del trattamento, con la creazione di protocolli implanto-protesici associati alla definizione di un piano di trattamento «guidato dal paziente». Essere medici non significa essere adulatori della scienza e della tecnica, ma in primis essere degli «osservatori» del malato, dove la capacità di osservare è arte, è tutto, ed è la base di partenza che 15 anni fa ha spinto il team di Cannizzaro a cercare di tradurre questa idea in validazione scientifica. Alla base vi è la constatazione che oggi avere la «dentiera» significhi invalidare una persona, evidenziando la necessità di «dare al paziente estetica e funzione. Estetica e non cosmetica, sono due cose diverse – ha sottolineato Cannizzaro –. Significa che dobbiamo fare in modo di individualizzare il trattamento implantare». Necessario è entrare in empatia con il paziente, disegnare nuovi modelli di protesi fissa che permettano la riduzione del numero di impianti e la semplificazione della costruzione, incidendo così in maniera significativa sui costi della riabilitazione. La possibilità da considerare è la predicibilità di un progetto che preveda la riabilitazione mediante l’inserimento di due soli impianti in sede intraforaminale (protocolli fixed-on-2 e fixed-on-3), che ha portato negli ultimi 5 anni al trattamento di 315 pazienti con livelli di successo sostanzialmente uguali a quelli del classico all-on-4: «abbiamo visto che in moltissimi casi il successo era identico, il paziente lo approvava» ha riferito il clinico.
Luca Mezzofranco
Odontoiatra