Le inclusioni dentarie rappresentano un quadro clinico con il quale l’odontoiatra è routinariamente chiamato a confrontarsi da un punto di vista diagnostico e terapeutico. Dopo i terzi molari, i canini superiori sono i denti che più frequentemente vanno incontro a inclusione e ciò spesso è causa di alterazioni estetiche e malocclusioni.
Tra i diversi approcci terapeutici, il recupero chirurgico-ortodontico o l’avulsione dei denti inclusi trovano oggi ampie indicazioni; tuttavia l’elevato rischio di lesioni alle strutture anatomiche vicine, l’assenza di sintomatologia, la diagnosi tardiva e la scarsa compliance da parte del paziente, spesso fanno propendere verso l’astensione dal trattamento. In tali casi, qualora si renda comunque necessario un ripristino estetico-funzionale, l’approccio terapeutico più indicato si rivela senza dubbio quello implanto-protesico.
La soluzione implantare rappresenta però una sfida particolare, in quanto l’altezza e l’ampiezza delle ossa alveolari risultano spesso ridotte per mancanza di adeguati stimoli accrescitivi e inoltre la scelta della lunghezza degli impianti deve tenere conto della quantità verticale di osso disponibile tra il margine della cresta ossea e l’elemento incluso. Per tali motivi, oggi l’utilizzo di impianti ultra-short è particolarmente indicato nelle riabilitazioni dei settori frontali.
Caso clinico
Si presenta alla nostra osservazione un soggetto di sesso maschile, 25 anni, il quale richiede un miglioramento dell’estetica del sorriso in quanto presenta l’inclusione di entrambi i canini superiori e la presenza in arcata del solo elemento deciduo 6.3.
Analizzato il caso si sconsiglia un recupero chirurgico-ortodontico degli elementi inclusi e il paziente rifiuta la loro estrazione. Pertanto, nonostante lo spazio osseo esiguo disponibile, si decide di procedere con la riabilitazione implanto-protesica dell’elemento 1.3, previa terapia ortodontica di allineamento e gestione degli spazi (fig. 1).
Per il caso in questione è stato selezionato un impianto Bicon
ultra-short di 5 mm di lunghezza e 4 mm di diametro, il quale presenta le seguenti caratteristiche che lo distinguono dalla maggior parte dei sistemi implantari: design a plateau della fixture, presenza di una spalla convergente verso la cresta ossea e connessione impianto-abutment di tipo conometrico puro. Tali caratteristiche giocano un ruolo fondamentale nelle performance biomeccaniche dell’impianto, permettendo il suo posizionamento anche in situazioni cliniche estreme come quella descritta.
L’intervento implantare procedeva quindi con lo scollamento di un lembo mucoperiosteo e la preparazione del sito di alloggiamento dell’impianto, la quale veniva eseguita sia con strumenti rotanti a bassa velocità che con frese manuali. Ciò, oltre allo stretto controllo della profondità di preparazione, ha permesso il recupero di una notevole quantità di osso da poter applicare sul collo dell’impianto, al fine di favorire la rigenerazione ossea e l’osteointegrazione (figg. 2 e 3).
Dopo 4 mesi dell’intervento implantare, il caso veniva finalizzato con una corona IAC (integrated abutment crown), ovvero un particolare tipo di protesi in cui un materiale policeramico viene stratificato direttamente sulla superficie dell’abutment, permettendo così di eliminare qualsiasi interferenza dovuta al cemento o al micro-gap sempre presente tra corona e pilastro protesico. Inoltre, grazie a questa tecnica che permette di riprodurre un profilo di emergenza individualizzato, è possibile ottenere ottimi risultati estetici e conferire al margine gengivale un aspetto naturale.
I controlli clinici e radiografici a distanza di un anno mostrano un’ottima guarigione di tutti i tessuti di sostegno e un corretto assestamento del margine gengivale (figg. 4 e 5).
Conclusioni
Nel trattamento delle inclusioni dentarie, qualora il recupero chirurgico-ortodontico o l’avulsione dell’elemento non siano attuabili, sarà opportuno prendere in considerazione un altro tipo di strategia terapeutica, tenendo presente che al giorno d’oggi, grazie all’affinamento delle tecniche implantologiche e all’utilizzo di impianti ultra-short, è possibile eseguire delle riabilitazioni estetiche e affidabili.
Autori:
Stefano Carelli, libero professionista a Roma
Francesco Ciancio, libero professionista a Catania
Vincenzo Ciancio, libero professionista a Catania
Francesco Cruciata, libero professionista ad Alcamo (Trapani)
Mauro Marincola, libero professionista a Romaeparto di implantologia, Università di Cartagena
Bibliografia
- Piras D, Garau V, Carini F. Inclusioni dentarie complesse. Strategie terapeutiche. Rivista Italiana di Stomatologia 2007;3:50-61.
- Marincola M et al. Tecnica della corona integrata al pilastro per la riabilitazione di elementi singoli. Dental Cadmos 2008 Ottobre; 76-8.
- Carelli S, Cruciata F, Cruciata L, Lombardo G. Applicazione di impianti di diametro ridotto in condizioni estreme di spazi esigui. Implantologie e implantoprotesi. 2017-3.
- Ciarmatori E et al. Critical review of literature on the use of short implants. Journal of Osseointegration, 2018 Sep, 10(3).

Stefano Carelli
Libero professionista a Roma