Negli Stati Uniti, le prime linee-guida per il controllo delle infezioni crociate vennero proposte nel 1986 dalla sezione per la salute orale del Center for Disease Control and Prevention (Cdc), agenzia federale parente lontano del nostro Istituto superiore di sanità. Da allora, il Cdc non ha mai smesso di aggiornare e diffondere le proprie raccomandazioni, al fine di prevenire le infezioni in ambiente medico, con un occhio particolare all’odontoiatria.
Un recente studio ha voluto capire in che misura gli odontoiatri aderiscono alle più attuali linee guida, per valutare poi i provvedimenti adatti a incrementarne la partecipazione.
È stato somministrato un questionario a un campione casuale di circa 6.800 dentisti, dove si domandava se avessero implementato, nei precedenti 12 mesi, quattro raccomandazioni-base per la prevenzione delle infezioni: a) la designazione di una figura specifica, adibita al coordinamento del programma per il controllo delle infezioni; b) il controllo almeno annuale della qualità dell’acqua del riunito, con l’impiego di un sistema idrico separato per ciascuna unità odontoiatrica; c) la documentazione routinaria di incidenti percutanei; d) la sicurezza dei dispositivi medici, come siringhe e bisturi. Vi era poi una domanda specifica che vagliava la conoscenza degli odontoiatri rispetto alle procedure chirurgiche che necessitavano di irrigazione sterile.
Si ottenne risposta da solo la metà dei dentisti intervistati e rimane anche qualche dubbio sulla veridicità delle loro risposte: tutte sincere o date e perché professionalmente e socialmente desiderabili?
La maggior parte riferiva di essere a conoscenza delle raccomandazioni del Cdc tramite articoli pubblicati sul Journal of American Dental Association (la stessa rivista dello studio in esame) o tramite partecipazioni a congressi e workshop. Solo il 30% fu in grado di identificare correttamente le procedure che necessitavano irrigazione sterile. Solo il 26% migliorò tre o quattro raccomandazioni, mentre il 30% ne migliorò nessuna o una. Venivano implementate soprattutto la designazione di una figura specifica adibita al coordinamento del programma per il controllo delle infezioni e la documentazione routinaria di incidenti percutanei.
Analizzando i fattori correlati a una maggiore adesione alle linee guida, emergeva come i dentisti “più attenti” erano anche i più giovani, quelli che avevano ottenuto uno o più crediti di Continuing Dental Education (analoghi ai nostri Ecm), avevano riconosciuto correttamente le procedure chirurgiche che richiedevano acqua sterile e lavoravano in cliniche più grandi. Se i primi punti sono associabili a una migliore preparazione dei soggetti, oltre che da una attitudine personale, l’ultimo fattore viene correlato a una maggiore tendenza all’aggiornamento e all’innovazione propria dei grossi centri clinici, in particolare di quelli ospedalieri, che si ripercuote in migliore conoscenza e predisposizione all’attuazione delle linee guida.
Infine, sono stati proposti alcuni provvedimenti per migliorare la conoscenza delle norme: interventi educativi focalizzati alle attività private più piccole; sfruttamento delle risorse internet per incrementare le fonti di diffusione (attività online, incontri interattivi e promemoria); coinvolgere nella stesura delle linee guida future odontoiatri provenienti da differenti realtà, dalla clinica ospedaliera all’ambulatorio privato, per far sì che siano da tutti facilmente comprensibili e attuabili. Una volta che le linee guida sono state sviluppate, si consiglia di predisporre un piano di valutazione capace di misurare gli effetti delle stesse in termini di outcome e costi di implementazione.