L’implantologia negli ultimi vent’anni ha avuto una grande diffusione: basti pensare che oggi in Italia è praticata da più del 70% degli odontoiatri e che il nostro Paese ha il primato mondiale di circa 2,4 impianti pro-capite per paziente trattato; in effetti, considerando una media su base annua, negli Usa vengono inseriti 1.500 impianti su 300 milioni di abitanti, mentre in Italia gli impianti sono 1.200 su 60 milioni. Crescendo il numero degli impianti inseriti, aumentano di conseguenza anche le problematiche legate alla chirurgia, all’implantoprotesi e, non ultime, le complicanze biologiche, come le perimplantiti; su tale argomento, negli ultimi anni, a livello mondiale è stato tutto un fiorire di libri e articoli.
Il primo passo per ottenere un’alta percentuale di successo in implantoprotesi è eseguire una corretta chirurgia, in cui le suture rivestono un ruolo molto importante e in alcuni casi fondamentale per la corretta riuscita della stessa.
Nell’approccio two stage o sommerso, lo scopo fondamentale è ottenere una chiusura passiva per prima intenzione del lembo e il mantenimento di tale sigillo nei 6/12 mesi post-intervento a seconda se si voglia avere, rispettivamente, una rigenerazione di tipo orizzontale o di tipo verticale. Due sono le condizioni sulle quali il clinico deve porre attenzione: la passività dei lembi e le linee di sutura idonee.
Caso clinico
Paziente maschio di circa 55 anni, non fumatore, si presenta alla mia osservazione con un leggero dolore alla compressione a carico dell’11, dente che, come riferito dal paziente, circa 10 anni prima aveva subito, insieme al 12, un intervento di apicectomia con otturazione retrograda in amalgama (fig. 1).
Viene eseguita una radiografia periapicale dell’elemento 11 (fig. 2). La lastra evidenzia una frattura a carico della radice dell’incisivo centrale di destra, diagnosi confermata dalla presenza di suppurazione (fig. 3) e dal sondaggio puntiforme.
Si procede all’estrazione dell’11, dove si può notare la frattura verticale completa della radice già diagnosticata (figg. 4 e 5).
Immediatamente viene cementato un provvisorio fisso adesivo tipo “maryland bridge” pre-estrattivo (fig. 6). La scelta di questo tipo di provvisorio non è casuale, ma motivata da due condizioni: la prima è il confort del paziente; la seconda, forse ancora più importante, è che già era programmato un intervento di terapia rigenerativa dove la presenza di un provvisorio rimovibile è sconsigliata a causa della pressione dello stesso che può esercitare sui tessuti in via di guarigione.
A circa 6 mesi dall’estrazione si evidenzia la presenza di un notevole riassorbimento orizzontale del tessuto osseo dovuto probabilmente alla presenza per lungo tempo della frattura a carico della radice, situazione anamnestica già riferita dal paziente in prima visita (fig. 7).
Il giorno dell’intervento i tessuti devono essere perfetti e, per ottenere ciò, oltre al tempo necessario per la guarigione, l’elemento di pontic non deve comprimere il tessuto dove è avvenuta l’estrazione; questa è la conditio sine qua non per cui risulta possibile eseguire chirurgia implantare rigenerativa.
È stato eseguito un intervento con l’utilizzo di una membrana Paroguide (Vebas) contestualmente all’inserimento di un impianto Geass di diametro 3,8 e altezza 11 mm. Come riempitivo è stato utilizzato Alos, commercializzato da Allmed, bloccato da un chiodino in titanio Omnia. La sutura è di calibro 6 zeri con ago 3/8 di cerchio 13 mm a sezione triangolare reverse cutting, commercializzata da DemeTech (fig. 8).
Entrando in dettaglio, le linee di suture utilizzate sono:
– sutura ancorata;
– sutura a “U” di tipo evertente;
– sutura a “O” staccata semplice;
– sutura periostale obliqua che coronalizza;
– sutura semplice sospesa “a fionda”.
Dopo circa sei mesi viene eseguita una radiografia periapicale di controllo (fig. 10); durante questo periodo il paziente è stato monitorato in media una volta al mese per valutare l’andamento della guarigione clinica.
Si nota ancora, seppur in misura minore, la mancanza di tessuto in senso orizzontale evidenziata dalla distanza del bordo della corona del provvisorio maryland (fig. 11). Per compensare questo minus viene eseguito un intervento roll flap (figg. 12 e 13).
Contestualmente alla seconda chirurgia è stato posizionato un provvisorio avvitato tipo single temp Geass. Tale provvisorio rimarrà in funzione per almeno 4/6 mesi, prima di fare la corona definitiva, per dare un carico progressivo e favorire la funzionalizzazione dell’osso in parte ricostruito (figg. 14 e 15).

Marco Salin
Libero professionista ad Arezzo e relatore di un corso annuale teorico-pratico di parodontologia