Gli impianti a connessione interna devono essere preferiti a quelli a connessione esterna, specialmente quando sono presenti diversi fattori di rischio che possono contribuire ad aumentare la perdita di osso marginale. Lo affermano sul Journal of Dentistry (1) i ricercatori brasiliani coordinati da Cleidiel Aparecido Araujo Lemos della Universidade Estadual Paulista di Araçatuba, che hanno effettuato una revisione sistematica della letteratura scientifica per rispondere alla domanda: «i pazienti che hanno ricevuto impianti a connessione esterna mostrano una perdita di osso marginale, una sopravvivenza dell’impianto e tassi di complicanze simili a coloro a cui sono stati inseriti impianti a connessione interna?»
Le connessioni tra la componente implantare e quella protesica presentano differenze morfologiche e biomeccaniche ed è immaginabile che le diverse tipologie costituiscano un fattore importante nel modulare i cambiamenti dei livelli ossei nelle ricostruzioni supportate da impianti. I fattori biomeccanici possono influire sullo stress che viene esercitato sul tessuto osseo marginale intorno agli impianti e potenzialmente contribuire al riassorbimento dell’osseo alveolare. Ci sono poi fattori biologici, come l’accumulo perimplantare di cellule infiammatorie in corrispondenza dell’interfaccia tra impianto e moncone, che possono favorire la perdita ossea.
Sebbene esista una grande varietà di impianti commercializzati, i tipi di connessione si possono raggruppare nei due gruppi principali a seconda della connessione interna o esterna. Gli impianti con connessione a esagono esterno sono stati storicamente i più utilizzati: sono in uso fin dall’inizio dell’era implantologica, ma hanno degli inconvenienti, come i micromovimenti che possono determinare l’allentamento del pilastro e della vite. Le connessioni interne sono state introdotte per ridurre le complicanze e oggi sono in rapida ascesa; secondo i ricercatori brasiliani, i dati a lungo termine sembrano confermarne la bontà, perché ridurrebbero l’allentamento delle viti e le fratture.
Ricordiamo che invece uno studio retrospettivo italiano condotto da un team di esperti dell’Accademia italiana di odontoiatria protesica (Aiop) e comparso un paio di anni fa su The International Journal of Oral & Maxillofacial Implants (2), non aveva riscontrato sostanziali differenze negli outcome clinici tra connessioni interne ed esterne.
Araujo Lemos cita il lavoro italiano, ma gli 11 studi (sette randomizzati controllati e quattro prospettici) inclusi nella metanalisi evidenziano delle differenze tra i due tipi di connessione. Nel loro complesso, questi lavori hanno preso in esame 530 pazienti, dall’età media di 54 anni, che avevano ricevuto un totale di 1.089 impianti, 461 a connessione esterna e 628 a connessione interna: questi ultimi hanno comportato una minor perdita di osso marginale, che è stata mediamente di 0,44 mm. Non si sono invece riscontrate differenze statisticamente significative riguardo alla sopravvivenza degli impianti e nella percentuale di complicanze.
Giampiero Pilat
Giornalista Italian Dental Journal
Bibliografia
1. Lemos CAA, Verri FR, Bonfante EA, Santiago Júnior JF, Pellizzer EP. Comparison of external and internal implant-abutment connections for implant supported prostheses. A systematic review and meta-analysis. J Dent. 2018 Mar;70:14-22.
2. Vigolo P, Gracis S, Carboncini F, Mutinelli S; AIOP (Italian Academy of Prosthetic Dentistry) Clinical Research Group. Internal vs external connection single implants: a retrospective study in an italian population treated by certified prosthodontists. Int J Oral Maxillofac Implants. 2016 Nov/Dec;31(6):1385-1396.
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