
Sandro Palla
Per Sandro Palla il legame non è dimostrato e non è quindi appropriato intraprendere trattamenti sulla base di questa ipotesi: il sistema posturale «è molto complesso e non può essere ridotto al cambiamento di posizione di alcuni denti»
«Le terapie occlusali non possono essere accettate come terapia per curare dei problemi posturali così come terapie posturali o terapie fisiche non possono essere usate per trattare problemi occlusali». Sono queste le conclusioni dell’intervento di Sandro Palla, professore emerito dell’Università di Zurigo, al Padiglione Italia in Expo nell’ambito della Sido Consensus Conference “Ogni bocca ha la sua lingua”, programma di prevenzione multietnica.
Per il noto docente universitario un problema attuale, in Italia come in tutta Europa, è quello di prevenire terapie che non sono indicate e si è focalizzato sulla presunta associazione tra occlusione e postura che a suo dire costituisce la motivazione all’inizio di terapie con le quali si tenta di risolvere i problemi posturali attraverso cambiamenti dell’occlusione, ma si tratta di terapie «che sono invasive e che spesso provocano dei problemi e dei dolori cronici da cui è poi difficile uscire».
Secondo l’esperto si commette l’errore di giustificare la terapia con il successo della terapia stessa: «correggo un’occlusione e scompare un dolore posturale e si conclude che la correzione dell’occlusione era eziologicamente corretta. Ma il successo di una terapia non può portare a concludere che la terapia sia giusta, soprattutto considerando che le terapie dei problemi posturali non sono specifiche in quanto praticamente tutti gli studi dimostrano che qualsiasi terapia utilizziamo porta un miglioramento del dolore e questo è dovuto tra l’altro al fatto che spesso il dolore muscolo scheletrico si risolve spontaneamente e solo in pochissima parte della popolazione i dolori diventano cronici». Per Sandro Palla quindi si tratterebbe di terapie inutili, messe in atto per curare disturbi che scomparirebbero anche senza essere trattati. «Tutte queste terapie hanno qualcosa in comune che spiega il loro successo e che non ha niente a che vedere con l’occlusione: la remissione spontanea del dolore, l’effetto placebo, l’informazione ed educazione che si dà al paziente».
Esiste un legame?
Ma questo legame tra occlusione e postura esiste o no? Il relatore spiega che anche i neurofisiologi non sanno esattamente spiegare come la postura del corpo venga effettivamente regolata dal punto di vista neuromuscolare. «Sappiamo però che il sistema posturale è un sistema che è integrato da informazioni che arrivano dal sistema visivo, dal sistema vestibolare e dal sistema di propriocezione, che viene soprattutto dalla muscolatura dei meccano-recettori della nuca, del collo e anche dei piedi. Il sistema posturale è un sistema molto complesso che non può essere ridotto al cambiamento di posizione di alcuni denti».
«La domanda che dobbiamo porci – dice il noto esperto di gnatologia – è se il sistema posturale della mandibola sia integrato o meno nel sistema posturale di tutto il corpo. E questo dal punto di vista neurobiologico non lo sappiamo ancora. Noi sappiamo che vi sono delle situazioni in cui vi è una relazione tra la posizione mandibolare e la funzione cranio-cervicale; sappiamo che in alcuni pazienti differenti tipi di occlusione – per esempio la classe II, la classe III – possono essere associate a differenti posizioni della testa e sappiamo anche che in alcuni pazienti che hanno dei dolori oro-facciali vi può essere una alterazione della posizione della testa o della muscolatura del collo, ma queste relazioni non sono inequivocabili e non sappiamo se hanno una concreta rilevanza clinica».
Il professor Palla in letteratura ha trovato lavori che sostengono una relazione tra posizione della mandibola e posizione del corpo e altrettanti che dimostrano esattamente il contrario. «Una delle regole fondamentale per trovare un’associazione tra due variabili è che tutti i lavori che osservano una data relazione devono avere lo stesso risultato. In questo ambito questo non c’è e vuol dire non solo che i lavori forse sono stati fatti in modo differente ma anche che un’associazione non può sussistere» (vedi immagine). Secondo Palla inoltre le revisioni sistematiche della letteratura dimostrerebbero che la maggior parte dei lavori pro-associazione siano di scarsa qualità.
Stabilometria inaffidabile?
Spiega Sandro Palla che uno dei sistemi utilizzati dai posturologi per misurare l’alterazione posturale in relazione all’occlusione è la pedana stabilometrica, che misura l’oscillazione del corpo. Attraverso l’ampiezza di queste oscillazioni i clinici vorrebbero misurare se un’occlusione debba o non debba essere corretta. Ogni corpo però oscilla e uno dei problemi della stabilometria è che il suo risultato «dipende da moltissimi fattori come per esempio se il paziente fissa un punto di riferimento, dipende dal ritmo circadiano, dall’età del soggetto, da motivi cognitivi, emozionali, dall’attenzione, dall’ansia, tutti fattori che non vengono controllati durante questi test cosiddetti diagnostici e questo spiega in gran parte l’eterogeneità dei risultati». Tra l’altro l’esperto riferisce che non è mai stato definito quale sia il grado di oscillazione che distingue il fisiologico dal patologico.
Oggi la pedana viene usata come test diagnostico per determinare se l’occlusione e la postura siano corrette o meno. «Un test diagnostico però dovrebbe essere valido, cioè in grado di determinare se la malattia sussiste o non sussiste e permettere a ogni medico che usa il test di arrivare costantemente allo stesso risultato». È la specificità del test diagnostico, ovvero la sua capacità di essere in grado di identificare con un buon grado di certezza (almeno l’80%) il malato dal sano. Non sarebbe il caso della pedana stabilometrica, ritenuta da Sandro Palla «un test con nessuna validità dal punto di vista diagnostico», utilizzato dai posturologi per «intraprendere terapie costose che non necessariamente portano a un miglioramento» delle condizioni del paziente.
Il messaggio conclusivo non lascia spazio a fraintendimenti: «terapie occlusali non possono essere accettate come terapia per curare dei problemi posturali così come terapie posturali o terapie fisiche non possono essere usate per trattare problemi occlusali».
Andrea Peren
Giornalista Italian Dental Journal
Il Sandro Palla ha una linea di pensiero irrevocabile. Le citazioni della letteratura si lasciano piegare a qualsiasi tesi, e servirebbe un aspro lavoro di analisi per validare o invalidare non per la quantità, ma per il peso. Ricordo che nel 1920 un giovanotto, tale Alberto, spedì ad una rivista scientifica un articolo di sole tre pagine. Ci vollero 10 anni perché il fisici teorici lo capissero, e dopo seguirono 100 anni di discussioni. Per Sandro Palla la morfologia occlusale e la malattia occlusale sono due variabili indipendenti. Con coerenza, la stessa rigidezza di opinioni viene trasportata sulla postura. Dove è il focus del problema? Risposta: L’occlusione mandibolare è postura. Questa affermazione non è apodittica, ma è logica, perché consequenziale alla realtà fattuale, che la rendono dialetticamente risoluta. La realtà fattuale insegna più di un secolo di letteratura. Forse tra i nostri giovani lettori potrebbe esserci un altro Alberto, al quale possiamo raccomandare di studiare e poi subito dimenticare, perché non bisogna mai privarsi dei grandi vantaggi dell’ignoranza.
Caro Abacus33 devo dire che il paragone di questi argomenti con la teoria della relatività di Einstein non funziona perchè la teoria di Einstein ha una serie di prove sperimentali pratiche che ne dimostrano la veridicità (alcune proposte da Einstein stesso) queste prove come si dice nell’articolo non esistono nel problema occlusione-postura.
Il problema dei rapporti tra occlusione e postura è posto da sempre (lo cavalcava in passato in Italia il Prof Ciancaglini) in maniera sbagliata già in origine: è evidente che la postura abituale a riposo riscontrata allo scoliosometro o alla pedana stabilometrica non può essere filosoficamente messa in rapporto con la massima intercuspidazione, che la sinonimia con la parola “occlusione” in questo caso sembra individuare. Dovrebbe se mai relazionarsi con la “posizione di riposo” (rest position), che con i riscontri alla poltrona odontoiatrica con una cartina di articolazione non c’entrano niente.
Il vero problema , che non si può ignorare, è il rapporto fra Occlusione, e sopratutto Malocclusione, con la così detta Patrologia di Confine, cioè con una serie di quadri clinici che, pur interessando distretti anatomici diversi, può trovare un forte elemento patogenetico, ancorchè non esclusivo, nella malocclusione.
Il quadro più tipico e utile a comprendere quanto sopra è costituito dalla cefalea.
La letteratura scientifica si occupa con crescente interesse dei rapporti tra cefalea e problemi della bocca e dell’articolazione temporo mandibolare (ATM).
La classificazione della cefalee, secondo l’International Headache Council (IHC) individua una basilare distinzione in due gruppi: cefalee primarie, cioè prive di una causa conosciuta (il che dovrebbe far riflettere sulla gran quantità di argomenti medici che sono ancora privi di chiarezza scientifica, che pure necessitano di trattamento e lo ricevono in ambienti “scientifici”), e secondarie, sintomo cioè di altre malattie.
Cefalee primarie (da causa sconosciuta):
01 – Emicrania
02 – Cefalea di tipo tensivo
03 – Cefalea a grappolo ed emicrania cronica parossistica
04 – Cefalee varie non associate a lesioni strutturali
Cefalee Secondarie (dovute ad altre patologie che le sostengono)
05 – Cefalea associata a trauma cranico
06 – Cefalea associata a patologie vascolari
07 – Cefalea associata a patologia endocranica non vascolare
08 – Cefalea da assunzione o sospensione di sostanze esogene
09 – Cefalea associata ad infezioni extracraniche
10 – Cefalea associata a patologie metaboliche
11 – Cefalee o dolori facciali associati a patologie del cranio, collo, occhi, orecchi, naso e seni paranasali, denti, bocca o di altre strutture facciali o craniche.
12 – Nevralgie craniche, nevriti e dolori da deafferentazione
13 – Cefalee non classificabili
Ai punti dal 5 al 13 della classificazione internazionale sono dunque indicate le Cefalee Secondarie, quelle cioé sostenute da un’altra patologia: fra queste, al punto 11 ci sono le cefalee secondarie che derivano dalla bocca, accorpate peraltro con una certa confusione ad altri distretti anatomici che in particolari condizioni possono causare cefalea (cranio, collo, occhi, orecchi, naso e seni paranasali, altre strutture facciali o craniche).
L’incidenza epidemiologica della bocca nella patogenesi della cefalea non è mai stata chiarita: già le cefalee secondarie costituirebbero solo una piccola percentuale delle cefalee. Di queste, a maggior ragione, le cefalee punto 11 costituirebbero parte ancora minore, e fra queste, quelle sostenute dalla bocca avrebbero di conseguenza un’ipotetica incidenza epidemiologica quasi nulla. Questo é però reso discutibile dal fatto che la ricerca si dedica pressoché esclusivamente alle cefalee primarie, il che perpetua il dubbio che molte cefalee , nelle conclusioni epidemiologiche, oltre che nelle decisioni terapeutiche, siano attribuite alle primarie per errore, in quanto non indagate con le modalità che le farebbero classificare (e soprattutto anche curare) come secondarie alla malocclusione.
Il grande divario numerico che da sempre divide queste cefalee dalle Primarie (emicrania e tensiva sopratutto, che sono di gran lunga le più diagnosticate) recentemente si è visto assottigliare: in particolare relativamente al sottogruppo delle cefalee punto 11 sostenute da disfunzioni dell’articolazione temporo mandibolare (ATM),l’ultima classificazione IHC le definisce “frequenti.
Oltretutto, fra queste e le cefalee primarie è stata riscontrata una frequente relazione di comorbilità.
“The comorbidity relationship between primary headaches and TMD has been well established for migraine, for tension-type headache, and for CDH, especially chronic migraine. Literature reports show that there should be no dividing line between the knowledge of both orofacial pain specialists and headache physicians. On the contrary, these 2 specialists should share their work regarding the management of patients withTMDand headache,whether or not the 2 conditions are associated” (1).
Le diverse forme possono coesistere e amplificarsi vicendevolmente: “It has been well established that primary headaches (especially migraine, chronic migraine, and tension-type headache) and temporomandibular dysfunction (TMD) are comorbid diseases, with the presence of one of them in a patient increasing the prevalence of the others.” (1)
Tutto ciò rende necessaria una maggior considerazione delle cefalee legate alla malocclusione e ai problemi dell’ATM, che da un lato possono associarsi alle primarie in uno stesso paziente, dall’altro rendono necessaria una attenta diagnosi differenziale nella considerazione del singolo caso clinico, al fine di rilevare l’eventuale propria specifica esistenza.
La diagnosi differenziale fra cefalee primarie e secondarie è spesso tutt’altro che agevole, e questo individua una situazione critica, fonte di potenziali errori diagnostici.
L’esclusione dell’ipotesi che un paziente soffra di una cefalea secondaria ad altre patologie dovrebbe necessariamente precedere la formulazione di una diagnosi di cefalea primaria, ma nel caso delle cefalee secondarie che derivano dalla bocca si è di fronte ad una materia abbastanza complicata, poco amata dagli stessi dentisti, che comprende non solo i delicati rapporti fra le arcate dentarie, ma anche le funzioni dell’articolazione temporo mandibolare (ATM, la “cerniera”, per così dire , della bocca).
Un primo punto di criticità è costituito proprio dall’epidemiologia: emicrania e cefalea di tipo tensivo (classificate fra le “primarie”, prive cioé di una causa nota alla quale poterle riferire), come già detto sono di gran lunga le più diagnosticate, e sono probabilmente anche per questo collocate ai punti 1 e 2 della classificazione che periodicamente viene aggiornata dai maggiori esperti mondiali del settore, riuniti nell’ International Headache Society (IHC) : è evidente che anche per il clinico sapere che le cefalee primarie sono di gran lunga le più diffuse non può non influenzare in questo senso le diagnosi cliniche nel proprio quotidiano.
Le caratteristiche cliniche di una cefalea secondaria possono essere spesso molto simili a quelle di una primaria: ciò comporta che non sia facile far diagnosi differenziale fra le due quando un paziente presenti sia cefalea che malocclusione dentaria con disfunzione dell’ATM. Il problema che si pone non è piccolo: l’epidemiologia della malocclusione è dell’80% nella popolazione scolastica non selezionata. Fra gli adulti, bambini del dopoguerra, quando l’odontoiatria era di scarsissimo livello e l’ortodonzia sconosciuta, probabilmente è ancora superiore: ciò non significa, ovviamente, che ogni malocclusione comporti necessariamente cefalea, ma individua la necessità di escluderne il ruolo quando la cefalea sia presente in un paziente con malocclusione.
In una diagnosi di cefalea primaria di tipo tensivo (anche questa fra le più diagnosticate) giocano un ruolo molto importante le condizioni psicofisiche del paziente, oggi di gran moda (forse più dei rapporti fra Occlusione e Postiura); queste però possono riguardare anche una situazione strutturale e occlusale predisposta o già compromessa: qualunque causa di stress (non solo psichico, ma anche ormonale legato al ciclo, termico legato al clima, alimentare, ecc.) oltre ad abbassare la soglia del dolore, trova nella bocca un organo bersaglio particolarmente recettivo: nello stress si stringono le mascelle e si bruxa di più, per cui qualunque problema che può trovare nella bocca una sua causa, dallo stress viene enfatizzato. A ciò si aggiunge il fatto che un paziente che non trova soluzione al suo problema finisce inevitabilmente per risentirne anche nella sfera psicologica, e ancora più frustrante risulterà l’esperienza di sentire dai curanti riferito solo a questa il suo problema: in pratica , un paziente psicologicamente compromesso può anche non avere nel dolore un effetto psicosomatico, come spesso può sembrare, ma nella sua psiche un coinvolgimento somatopsichico.
La possibilità di confondere le tue tipologie di cefalea sembrerebbe non valere per l’emicrania classica, che si ritiene abbia un quadro tipico e inconfondibile, in particolare per le caratteristiche dell’aura. In realtà anche le disfunzioni dell’ATM possono avere un corredo sintomatologico (nausea, vomito, vertigini, “scintille” agli occhi) che a volte può simulare un’aura o assomigliarle, e generare così un errore diagnostico.
Anche la presenza di un’anamnesi famigliare positiva per cefalea orienta verso una diagnosi di emicrania, e fa temere una prognosi sfavorevole. La medesima osservazione, invece, suscita motivo di fiducia (oltre a costituire elemento di conferma diagnostica) se i componenti dello stesso ceppo familiare, come spesso succede, sono accomunati dalla medesima conformazione anatomica cranio mandibolare che venga a configurare uno dei quadri predisponenti alla cefalea punto 11 da malocclusione. Infatti questi quadri clinici, pur per gran parte geneticamente determinati e caratterizzati da famigliarità, sono modificabili con un adeguato trattamento occlusale, con potenziale successo anche sulla cefalea degli altri famigliari affetti.
La figura specialistica direttamente competente nell’argomento Cefalea è il Neurologo, ma la necessità di porre e sciogliere la diagnosi differenziale fra cefalee primarie e secondarie dovrebbe necessariamente coinvolgere anche altre figure specialistiche. In particolare la considerazione delle situazioni di malocclusione dentaria e di disfunzione dell’Articolazione Temporo Mandibolare (ATM), che possono sostenere una cefalea secondaria punto 11, dovrebbe essere recepita come indispensabile e routinaria, e coinvolgere necessariamente, nell’inquadramento di un caso, la figura e l’opera di uno gnatologo, cioè di un dentista specificamente esperto in queste problematiche.
Purtroppo, ciò non accade quasi mai, non solo negli studi monospecialistici, ma anche nei più importanti centri di eccellenza per la cura delle cefalee, dove la presenza di uno gnatologo solitamente non è prevista. E’ pur vero che nel sospetto di un ruolo della bocca nella patogenesi di una cefalea cronica il Neurologo potrebbe richiedere la consulenza gnatologica, ma la mancanza di un criterio di distinzione fra quando farlo e quando non farlo rendono questa opzione poco praticabile e sostanzialmente inadeguata alla soluzione del problema.
E’ possibile, dunque, che questo argomento sia sottostimato, anche perché la ricerca scientifica nel campo delle cefalee, pur recentemente rivolta anche alle problematiche dell’ATM, da sempre si dedica pressoché esclusivamente alle cefalee primarie. Tutto ciò lascia il dubbio che molti casi di cefalea siano diagnosticati come cefalee primarie (emicrania e tensiva in particolare) in quanto non indagati con i criteri che li farebbero classificare (e soprattutto curare) come secondari alla malocclusione.
Il mancato inquadramento diagnostico di una cefalea dovuta a problemi di bocca è favorito anche da altri fattori apparentemente secondari.
La vecchia denominazione “Cefalea Muscolo – Tensiva ” ha visto eliminare il prefisso “muscolo” già nella riformulazione della classificazione IHC avvenuta nel ’98, che ha fissato la nuova definizione di “Cefalea di Tipo Tensivo”. Collocandola fra le Cefalee Primarie ed eliminando il prefisso “muscolo”, si è rimossa la potenziale competenza su questa cefalea da parte di tutte le figure professionali in grado di agire sui muscoli, e si sono esclusi quindi anche i dentisti, competenti sui grossi fasci muscolari della testa che partecipano alla masticazione (Masseteri, Temporali, Pterigoidei), rendendo quindi la Cefalea di Tipo Tensivo, in quanto “primaria”, inequivocabilmente di stretta competenza neurologica. Il fatto che dopo decenni molti operatori, anche neurologi, continuino ad usare il termine “Muscolotensiva” significa che era semanticamente efficace, e sostanzialmente adeguata. In realtà creava necessariamente l’incongruenza concettuale di individuare una possibile secondarietà in una patologia definita primaria.
Altro elemento critico nel rapporto tra cefalee primarie e cefalea punto 11 di derivazione occlusale è dato dalla possibile evoluzione della patologia a seguito di trattamento.
Se uno gnatologo ipotizza una cefalea punto 11 e la tratta , in caso di successo terapeutica ottiene contestualmente anche la sostanziale conferma dell’ipotesi diagnostica, ma se il caso non riferisce chiari miglioramenti, deve riconoscere l’ insuccesso : ciò costituirà anche diagnosi di esclusione, e il paziente cercherà una seconda opinione e un altro percorso diagnostico-terapeutico presso altri specialisti.
Nel caso di diagnosi di Emicrania o Cefalea Tensiva, invece, il permanere della sintomatologia non comporta automaticamente il dubbio sulla diagnosi formulata, che riguarda una malattia di cui non si conosce la causa e di cui non è prevista una vera guarigione. Il Neurologo ricercherà altri farmaci più adatti a contenere e a prevenire le crisi, ma non avrà immediato motivo di riconsiderare la correttezza della sua diagnosi. A maggior ragione nei casi in cui il trattamento farmacologico risulti efficace, la diagnosi di Cefalea Primaria può anche per questo risultare confermata. Anche in questo caso, però, potrebbe essere in gioco un ruolo misconosciuto dell’occlusione dentaria e dell’ATM, e la conseguente cefalea, pur trattata efficacemente con il farmaco, potrebbe essere trattata con approccio strutturale, di qualità biologica superiore a quello farmacologico.
Per questo il paziente rischia di mantenere la convinzione di soffrire di una patologia primaria, senza che si sia ipotizzato il possibile ruolo patogenetico della sua bocca. E’ frequente che uno gnatologo riscontri e tratti con successo cefalee ritenute primarie e trattate come tali anche per decenni.
Per tutto ciò è opportuno sottolineare che, anche se in presenza di cefalea lo specialista di primo riferimento è storicamente il Neurologo, al giorno d’oggi, se il problema della diagnosi differenziale fra Cefalea Primaria e Cefalea punto 11 sostenuta dalla bocca non viene adeguatamente posto in questo ambito specialistico, è bene che il paziente si preoccupi ANCHE di una contestuale considerazione del suo problema in ambito gnatologico.
Argomentazioni simili possono essere addotte anche per altri quadri clinici: otite ricorrente, parotite ricorrente, sindromi vertiginose, acufeni , cervicalgia e altri tutti significativamente caratterizzati da scarsa soddisfazione terapeutica negli ambiti specialistici di abituale pertinenza.
Edoardo Bernkopf
Bibliografia:
1) Speciali JG, Dach F.: Temporomandibular Dysfunction and Headache Disorder. Headache. 2015 Feb 3.
2) Di Paolo C, D’Urso A, Papi P, Di Sabato F, Rosella D, Pompa G, Polimeni A.Temporomandibular Disorders and Headache: A Retrospective Analysis of 1198 Patients. Pain Res Manag. 2017;2017:3203027.
3) Gonçalves DA, Camparis CM, Franco AL, Fernandes G, Speciali JG, Bigal ME. : How to investigate and treat: migraine in patients with temporomandibular disorders. Curr Pain Headache Rep. 2012 Aug;16(4):359-64.
4) Bernkopf E. Cefalea, otalgia e dolore vertebrale da malposizione cranio-mandibolare. Rivista Italiana di Stomatologia N. 10 Anno LIX – Ottobre 1990, 61-4.