I centri dell’odontoiatria organizzata rappresentano il 2% delle strutture sul territorio e curano l’8% dei pazienti, per un fatturato di 1 miliardo di euro all’anno. Secondo alcune previsioni, potranno raggiungere una quota pari al 20% del mercato
All’interno dell’odontoiatria di capitale – un comparto piuttosto eterogeneo con piccolissime società e vere e proprie grandi aziende –, c’è quella che possiamo chiamare “odontoiatria organizzata”, fatta di grandi centri e catene odontoiatriche. Queste ultime sono rappresentate da una cinquantina di ragioni sociali con molti studi sul territorio, riunite sotto più brand, e si stanno muovendo anche a livello associativo, riunite in parte nell’Associazione nazionale centri odontoiatrici (Ancod). Al primo workshop dell’associazione, che si è tenuto a Milano a inizio luglio, Michel Cohen ha spiegato che Ancod è nata nel 2016 e si è data prima di tutto l’obiettivo di monitorare il mercato, con i gruppi organizzati («non mi piace chiamarli catene», dice Cohen) che rappresentano il 2% delle strutture che operano nel settore e che curano l’8% dei pazienti.
Ancod, che oggi rappresenta solo il 40% dei centri odontoiatrici (DentalPro, che include le acquisite Giovanni Bona e DentaDent, Dooc, Centri Dentistici Primo, CareDent e Smart Dental Clinic) ma punta ad associare il 100% dei centri odontoiatrici «idonei al progetto», è un’associazione nata soprattutto «per tutelare la nostra categoria, costantemente sotto attacco» dice Cohen, denunciando un continuo tentativo di «impedirci di lavorare» e che rilancia alle accuse che provengono dal mondo della professione valorizzando il loro modello imprenditoriale, dicendosi convinto tra l’altro che «se in Italia ci fossero solo gruppi organizzati, non ci sarebbe un euro di nero e neanche un medico abusivo».
In questi mesi Ancod si è dovuta occupare anche di politica, a partire dal ddl concorrenza in discussione in Parlamento, e del nodo del rilascio del codice Ateco da parte delle camere di commercio. Nel frattempo si è dotata di un codice etico interno, che prevede tra l’altro l’impegno a «mettere tutti gli operatori sanitari nelle migliori condizioni per fornire terapie odontoiatriche che rispettino il codice di deontologia medica, le best practice nazionali e internazionali, tra cui le Raccomandazioni cliniche del ministero della Salute», e ha aderito all’Istituto di autodisciplina pubblicitaria, un importante ente privato che regolamenta la comunicazione per una corretta informazione. Si è anche associata all’Associazione italiana ospedalità privata e per il futuro Ancod si dice pronta «ad aprire il dialogo con la Cao e le associazioni di categoria».
Ma al primo workshop Ancod si è fatto soprattutto il quadro dell’offerta odontoiatrica, delle sue dinamiche e dell’odontoiatria di capitale, grazie soprattutto all’analisi condotta da Roberto Rosso di Key-Stone, che ha presentato i dati di una ricerca demoscopica geolocalizzata nel nord Italia, realizzata per valutare la «penetrazione» del modello dei grandi centri nelle scelte di salute dei cittadini italiani.
I costi delle prestazioni sono scesi
Secondo i dati Istat, la spesa dei cittadini italiani per le cure odontoiatriche è pari a quasi 10 miliardi di euro all’anno (7 miliardi per lo studio di settore dell’Agenzia delle Entrate, che rappresenta però la sola “attività odontoiatrica”). I dati Istat indicano peraltro una progressiva riduzione della spesa media per paziente durante l’ultimo decennio: non si è trattato propriamente di dinamiche deflattive, quanto di un calmieramento dei prezzi delle prestazioni odontoiatriche, con prezzi che in genere non sono più aumentati negli ultimi dieci anni. Forse grazie anche a tipologie di trattamento meno costose; non va infatti dimenticato un miglioramento complessivo della salute e un maggior orientamento alla prevenzione.
Nell’ultimo anno sono andati dal dentista circa 26 milioni di pazienti, il 44% della popolazione con più di 3 anni. Pochi, anche se solo poco meno del 9% della popolazione afferma di non essere mai andata dal dentista. Chi ci va, però, non è costante e nemmeno la metà della popolazione italiana vede il suo dentista almeno una volta all’anno. Con queste cifre l’Italia si posiziona molti punti al di sotto delle medie dei Paesi europei dotati di un qualsiasi modello di welfare odontoiatrico, con numeri di gran lunga inferiori anche rispetto alla Spagna, dove una sorta di welfare odontoiatrico è di fatto composto da alcune compagnie assicurative con propri centri odontoiatrici e da centri decisamente low cost appartenenti a forme di odontoiatria organizzata sparsi sul territorio.
I fatturati degli studi
Secondo l’Agenzia delle entrate nel 2015 hanno presentato la dichiarazione dei redditi e hanno una partita Iva 44mila esercenti l’odontoiatria, contro i più di 60mila odontoiatri iscritti all’albo. Di questi, una parte evidentemente non esercita, soprattutto per ragioni anagrafiche, o lavora in capo a uno studio associato. Secondo gli annuali sondaggi Key-Stone, i titolari di studio hanno un’età media di 54 anni, in crescita di dieci mesi all’anno.
Tornando allo studio di settore dell’Agenzia delle Entrate, gli studi monoprofessionali dichiarano un fatturato medio annuo di 128mila euro, le società di persone o studi associati 238mila euro, le società di capitale 454mila euro.
Queste sono quelle con un tasso di crescita più elevato, nell’ordine del +3, +5% all’anno, con un fatturato di circa 1 miliardo di euro nell’ultimo esercizio. Sempre secondo l’Agenzia delle Entrate, gli studi associati nel 2015 hanno fatturato 1,2 miliardi l’anno mentre 4,7 miliardi è il fatturato totale degli studi monoprofessionali, per un totale di 7 miliardi. Rispetto ai dati forniti da Istat, che riporta circa 10 miliardi di spesa delle famiglie, mancano all’appello 3 miliardi di euro. Il metodo Istat si basa su interviste individuali e non su dati ufficiali e inoltre una parte del giro d’affari non rilevato dall’Agenzia delle Entrate è certamente inserito in altri ambiti, si pensi ad esempio alle attività polispecialistiche o a codici Ateco non rientranti nello studio di settore. Ma ciò non toglie che si possa ipotizzare una parte ancora restante di sommerso nel settore odontoiatrico italiano.
I numeri dei centri odontoiatrici organizzati
Gli esercenti delle società di capitale sono circa 2.000 su tutto il territorio italiano (ma con prevalenza al nord). Di questi, a fine 2016 erano circa 700 gli studi appartenenti a quella che è stata definita “odontoiatria organizzata”, ovvero circuiti di studi dentistici con un unico brand, gestiti direttamente o in franchising. In questa definizione possiamo comprendere anche poche decine di grandi centri, quelli con almeno 20 riuniti.
Nel 2016 il mondo complessivo delle società di capitale ha avuto un ricavo stimato in 1,1 miliardi di euro e di questo circa i due terzi è da considerarsi in capo ai circa 700 studi dell’odontoiatria organizzata, che prevedono tassi di sviluppo a doppia cifra. Queste realtà hanno effettuato complessivamente 70 milioni di investimenti nel 2016, di cui circa 30 in tecnologie, oltre a 30 milioni di euro all’anno di acquisti in materiali.
Secondo Roberto Rosso, sulla base di un’indagine sviluppata da Key-Stone coinvolgendo il management delle principali aziende, i tassi di crescita di questo comparto sono molto importanti e per il prossimo triennio si stimano 270 milioni di investimenti per nuove aperture, ristrutturazioni e apparecchiature, la creazione di 5.000 nuovi posti di lavoro e 4 milioni di pazienti trattati, con una prospettiva di fatturato nel 2019 stimabile in un miliardo e 600 milioni di euro. «Si tenga conto che le stime sono state effettuate considerando i soli attori esistenti, ben più marcato sarebbe lo sviluppo in caso di ingresso di nuovi player. Considerando infatti come benchmark altri mercati europei come Spagna o Regno Unito – spiega Roberto Rosso – è probabile che in Italia l’odontoiatria di capitale raggiunga una quota di mercato del 20% e un 8% di copertura numerica sul territorio».
In questi centri oggi lavorano circa 9.000 tra odontoiatri e igienisti dentali, impiegati a tempo pieno o parziale. Come riferito da Michel Cohen, presidente Ancod, metà degli odontoiatri che lavora nei loro centri ha anche un proprio studio; l’altra metà invece non è titolare di studio e opera solo nei centri, magari distribuendo la propria attività su due o più cliniche e alcune volte lavorando per più insegne, per diversificare e minimizzare il rischio.
Una ricerca demoscopica geolocalizzata
Secondo l’indagine condotta da Key-Stone per Ancod (sviluppata tramite interviste telefoniche e web su 1.600 persone scelte in modo casuale in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e nella città di Roma), il 23% degli intervistati, quasi 1 su 4, è stato almeno una volta nella sua vita in un grande centro odontoiatrico per un preventivo, un trattamento o anche solo per accompagnare un familiare. Il 68% invece non è mai stato in un centro dentale, né conosce qualcuno che ci sia stato. Il 65% di coloro che hanno visitato un centro ha poi deciso di effettuare le cure dentali in questo tipo di struttura.
La percentuale di famiglie che si è rivolta a un dentista privato nel 2016 è comunque predominante (84%). Coloro che invece hanno scelto un centro dentale per le cure, hanno spesso effettuato trattamenti ad alto valore, che presuppongono una spesa maggiore come la protesi, l’implantologia o l’ortodonzia (il 25% dei pazienti delle cliniche contro il 17% dei pazienti dell’odontoiatria privata ha effettuato questo tipo di trattamenti), forse agevolati dalla possibilità di accedere a finanziamenti ad hoc.
Si rileva inoltre un atteggiamento più negoziale tra i pazienti dei centri odontoiatrici rispetto a quelli degli studi privati: i primi hanno una maggiore propensione a richiedere più di un parere o preventivo (il 32%), e forse proprio attraverso questo meccanismo è arrivato a scegliere il centro; i secondi lo fanno in maniera molto più contenuta (il 10%), e ciò fa presumere che in nove casi su dieci chi si rivolge a un dentista privato non chieda altri pareri o preventivi.
Osservando i dati relativi alle motivazioni di scelta tra una o l’altra realtà, i pazienti delle cliniche dimostrano un’elevata sensibilità al prezzo e ai finanziamenti (il 45% ha scelto per questo motivo) e per molti anche il piano terapeutico si è rivelato convincente (31%). Al contrario, per i pazienti degli studi privati i fattori più rilevanti sono la fiducia riposta nel clinico a seguito del passaparola di un conoscente (30%) e il rapporto di fiducia personale con il dentista (27%).
«È certo che l’odontoiatria di capitale sviluppi anche una domanda nuova – ha commentato Roberto Rosso – perché vi accedono maggiormente soggetti appartenenti a fasce di reddito più basse. Per le fasce di reddito medio o medio-alto, invece, i centri dell’odontoiatria organizzata hanno in parte sottratto pazienti agli studi tradizionali grazie alla comodità che offrono, dalla posizione fronte strada alla flessibilità degli orari, con una apertura media di 12 ore al giorno, spesso sabato e domenica compresi, favorendo l’accesso anche dei soggetti più impegnati».
Andrea Peren
Giornalista Italian Dental Journal
IL QUADRO DEMOGRAFICO: UNA SOCIETÀ MULTIETNICA E CON PIÙ ANZIANI_Il nostro Paese conta oggi quasi 61 milioni di cittadini, un numero stabile negli ultimi anni ma in movimento al suo interno. Come ormai noto, la popolazione sta invecchiando e, secondo i dati forniti da Istat, almeno uno su cinque dei 480mila bambini che nascono ogni anno sono di madre straniera. Tra dieci anni la società italiana − e quindi le caratteristiche dei pazienti che entreranno negli studi odontoiatrici − sarà molto diversa da oggi e si osserverà una eterogeneità socio economica certamente maggiore.