Con valori di prevalenza che si attestano intorno al 20%, pattern di progressione tipicamente non lineari e un’ancora scarsa conoscenza delle condizioni predisponenti, l’infezione locale resta una delle complicanze dell’intervento implantologico più difficili da gestire. All’interno di un quadro già problematico si aggiunge il fatto che, a dispetto dell’avanzamento delle tecniche chirurgiche praticabili nel trattamento delle perimplantiti, i corrispondenti esiti non sono tuttora pienamente soddisfacenti e risultano gravati da tassi di recidive che possono arrivare al 50%.
La valutazione delle variabili cliniche relative sia alla procedura sia allo stato di salute del singolo paziente, in grado di influenzare il successo della terapia chirurgica, è stata l’obiettivo dello studio retrospettivo condotto presso le università statunitensi del Michigan e della Virginia in collaborazione con l’università spagnola di Granada, che è stato pubblicato su Clinical Implant Dentistry and Related Research.
In un campione di 80 soggetti, per un totale di 121 impianti, trattati per perimplantite tra il 2019 e il 2021 con approccio chirurgico di tipo resettivo, in assenza di danno intraosseo, oppure rigenerativo, in caso di difetto verticale, e seguiti per almeno un anno, è stata indagata l’associazione degli esiti favorevoli e sfavorevoli dei due interventi con una serie di potenziali fattori di rischio.
Complessivamente, nel periodo di follow-up, durato mediamente tre anni e mezzo, si è registrato un tasso di fallimento con rimozione degli impianti del 18,2%, con valori più alti nei pazienti sottoposti a chirurgia rigenerativa (22,9%) e inferiori in quelli assegnati alla procedura resettiva (15,6%). Facendo riferimento ai criteri fissati da Berglundh e collaboratori, basati sulla misurazione del sanguinamento al sondaggio parodontale, della profondità di tasca e della perdita ossea, solo per il 28% degli impianti l’esito del trattamento è stato classificato come positivo; nel 68,8% degli interventi resettivi e nel 77,3% di quelli rigenerativi i valori limite dei tre parametri (assenza di sanguinamento, profondità di tasca ≤ 5 mm e perdita ossea ≤ 0,5 mm) sono stati superati, decretando l’insuccesso delle procedure.
Tra i fattori prognostici considerati, l’entità della perdita ossea rilevata prima del trattamento ha mostrato un’associazione statisticamente significativa con i relativi esiti, facendo registrare un aumento del rischio di fallimento di 15 volte se compresa tra il 25% e il 50% e di 20 volte se superiore al 50%, in confronto alle percentuali inferiori al 25%. Un ruolo favorevole hanno invece mostrato la collocazione posteriore rispetto a quella anteriore nell’arcata e la localizzazione mandibolare rispetto a quella mascellare, oltre all’esecuzione di regolari controlli odontoiatrici post-trattamento, con una frequenza di almeno tre volte l’anno.
Monica Oldani
Giornalista Italian Dental Journal