A partire dal 2005 gli implantologi hanno cominciato a vedere sempre più casi di un riassorbimento osseo a cui non erano abituati. Nel tempo questi casi si sono moltiplicati e si è iniziato a parlare seriamente di “tsunami delle perimplantiti”. A inizio 2017 si teme ancora che i casi siano in crescita e che ancora molti saranno i pazienti che si presenteranno negli studi con questa problematica. Al momento mancano risposte definitive sia su come prevenire il problema, sia su come trattarlo efficacemente, tanto che si dibatte se l’approccio debba essere chirurgico o non chirurgico.
Le aziende implantari dal canto loro hanno risposto in maniera rapida al problema, proponendo un’ampia gamma di nuove superfici implantari, innovativi sistemi di connessione e diverse soluzioni tecnologiche per prevenire, curare e contrastare la perimplantite. Sarà possibile valutare la bontà di tutte queste idee fra qualche tempo, dopo un adeguato periodo di follow-up. Intanto però i clinici si trovano di fronte a un problema senza risposte e non sono in grado di predire se attorno a quel dispositivo posizionato proprio oggi si svilupperà o meno perimplantite.
Nel frattempo come aveva consigliato Marco Esposito proprio dalle pagine di questo giornale, in assenza di chiara evidenza scientifica occorre mettere in atto tutto ciò che buon senso ed esperienza clinica ci dicono possa funzionare, o quantomeno aiutare: «La cosa migliore è ancora la prevenzione: protesi che si possono pulire, impianti messi non troppo vicini, spiegare al paziente come si pulisce e richiamarlo per controlli regolari». Anche perché quando la scienza arriverà a spiegare ogni dettaglio della perimplantite, a suon di studi in letteratura, sarà tardi, perché migliaia di odontoiatri avranno già affrontato la malattia in milioni di bocche e posizionato chissà quanti impianti.
La ricerca di una verità clinica è comunque un percorso necessario da compiere e su questo numero di Italian Dental Journal Maurizio Giacomello avanza un’ipotesi biomeccanica per spiegare la perimplantite, meritevole di un approfondimento di ricerca e che sposta l’attenzione dalla variabile tecnologica (l’impianto) a quella biologica (i tessuti): la colonizzazione batterica che apre la strada alla perimplantite potrebbe essere favorita o amplificata da numerosi cofattori, alcuni noti, altri da scoprire. Tra questi potrebbero esserci degli squilibri biomeccanici, più o meno facilmente prevenibili.
Senza prove scientifiche, almeno per ora, è anche l’ipotesi di relazione tra sistema stomatognatico e sistema visivo/oculomotorio e questa volta è Annalisa Monaco della Clinica odontoiatrica dell’Università dell’Aquila a farci il quadro degli attuali riscontri clinici, al termine di un suo lavoro di revisione della letteratura.
Ormai certe e documentate sono invece alcune correlazioni tra patologia orale e patologie cardiovascolari, diabete, infezioni polmonari e parti pre-termine, tanto che la Società italiana di parodontologia e implantologia (Sidp) dedica il suo congresso annuale proprio a questi argomenti.
Certo mettere in pratica tutto ciò nell’attività quotidiana non è facile, ma il bello della libera professione è anche questo: ognuno secondo le proprie inclinazioni e la struttura del proprio studio può trovare una risposta individuale per integrare nella pratica clinica le ultime prove scientifiche disponibili. Perché oggi pensare di curare solo denti e gengive, oltre che riduttivo, è anche scientificamente anacronistico.