Sempre più frequentemente si presentano alla nostra osservazione pazienti portatori di protesi rimovibili parziali che necessitano dell’estrazione dei denti residui ormai compromessi e che quindi devono passare allo stato di edentulia completa. In questi soggetti è utile valutare se qualcuno di questi elementi dentali possa essere mantenuto come appoggio della futura protesi rimovibile completa. Questo atteggiamento “conservativo” comporta innumerevoli vantaggi: un aumento della stabilità e ritenzione, la conservazione delle informazioni propriocettive che provengono dai meccanorecettori e pressocettori del legamento parodontale delle radici residue, una notevole facilità di esecuzione e di mantenimento nel tempo senza affrontare costi eccessivi. Su tali principi si basa il piano di trattamento del caso che andremo ad esaminare.
Caso clinico
Paziente di sesso maschile, di anni 68, portatore di uno scheletrato superiore, che presenta gli elementi anteriori e i premolari superiori di destra ormai compromessi, tali da richiedere l’estrazione (fig. 1). Le radiografie (fig. 2) mostrano che due di questi elementi potrebbero essere mantenuti come appoggi al di sotto della protesi, considerando che, asportando la corona, il rapporto corono-radicolare diventerebbe più favorevole e quindi la mobilità, presente in questi elementi, diminuirebbe.
Si procede quindi alla rilevazione delle impronte in alginato per costruire una protesi pre-estrattiva superiore, alla devitalizzazione degli elementi da mantenere, all’estrazione degli altri e all’applicazione della protesi ribasata con materiale resiliente. A questo punto, prima di fabbricare la protesi definitiva, è necessario attendere il tempo fisiologico di guarigione delle estrazioni, non solo per quello che riguarda i tessuti molli (fig. 3), che richiedono circa due mesi, ma è indispensabile aspettare che sia avvenuto anche il rimodellamento osseo degli alveoli, che normalmente è di circa 12 mesi. Durante il periodo di attesa, la protesi pre-estrattiva viene ribasata con resina resiliente sostituita ogni 3-4 settimane a seconda del prodotto utilizzato (fig. 4).
Dopo circa un anno dalle estrazioni si inizia l’iter di costruzione della protesi definitiva. Vengono quindi rilevate le impronte primarie in alginato (fig. 5) da cui viene ricavato un modello primario che serve per il disegno e la realizzazione del portaimpronte individuale. Il portaimpronte individuale permette la rilevazione dell’impronta secondaria che definisce la superficie d’impronta della protesi. Questo passaggio è particolarmente importante perché il risultato finale determina la ritenzione della protesi. È quindi fondamentale portare a termine tutto l’iter procedurale in modo corretto e utilizzare un materiale di precisione che definisca in modo analitico i particolari anatomici. Viene quindi stabilito prima il giunto periferico (la periferia del portaimpronte) con un materiale rigido, in modo da individualizzarne andamento e spessori, poi la superficie interna. Per la rilevazione della superficie d’impronta di protesi a contatto con i tessuti edentuli, tra i materiali fino ad ora testati e utilizzati, il più idoneo si è mostrato un polivinilsilossano altamente idrofilo (Aquasil Ultra) di consistenza monofase (fig. 6). A maggior ragione se, come in questo caso, sono presenti ancoraggi naturali è indispensabile che i loro margini siano rilevati e definiti perfettamente (fig. 7).
Le impronte definitive vengono quindi colate in gesso duro e sui modelli secondari ottenuti si costruiscono le basi per la registrazione delle relazioni maxillo-mandibolari (fig. 8). La registrazione del rapporto tra le arcate consente di ottenere la seconda superficie protesica: la superficie di occlusione. L’odontotecnico monta quindi i modelli con le basi in articolatore seguendo il rapporto ottenuto sul paziente e colloca il gruppo frontale dei denti artificiali. Le prove in cavo orale del montaggio parziale danno esito positivo e si procede quindi con il montaggio dei denti posteriori, la modellazione della terza superficie della protesi, la superficie lucida e la polimerizzazione. Il risultato finale è soddisfacente sotto vari aspetti: l’estetica è conforme alle nostre aspettative e del paziente (fig. 9), la ritenzione e la stabilità, grazie alla superficie d’impronta ben riprodotta (fig. 10) e alla presenza degli ancoraggi, sono ottime e la fonetica normale.
Conclusioni
Il rispetto dell’iter costruttivo delle protesi rimovibili è fondamentale per il successo finale. Lo sviluppo corretto delle tre superfici porta a ottenere una funzione e un’estetica corrette. La superficie d’impronta è fondamentale per promuovere la stabilità e ritenzione del manufatto, quindi la precisione del materiale con cui vengono eseguite le impronte secondarie o definitive è di primaria importanza. Se poi, come in questo caso, sono presenti ancoraggi naturali, l’esatta riproduzione dei particolari anatomici e dei limiti dei monconi radicolari costituisce “condicio sine qua non” per poter effettuare i passaggi successivi e arrivare a un buon risultato finale.

Lilia Bortolotti
Libero professionista a Bologna
Cara Lilia,
un caso molto ben impostato e all’insegna della conservativa cosa sempre molto apprezzabile, specie nel panorama odierno.
Un cordiale saluto e come sempre buon lavoro.
Aldo
Gentile Collega,
nulla da eccepire sulla presentazione e sull’iconografia, ma mi sfugge il motivo di tutto questo lavoro per mantenere in sede due semplici monconi radicolari mascellari (a meno che non siano insorti problemi “psicologici” del paziente), tenendo presente che:
1 – una protesi totale superiore non ha quasi mai problemi di stabilità e di tenuta;
2 – i monconi radicolari lasciati in situ (che, dalle foto, mi sembra che siano anche stati “rimodellati” in composito, ma, forse, sbaglio) dureranno pochissimo tempo prima di “macerarsi” per l’azione combinata della saliva, della movimentazione della protesi, della stagnazione di cibo e del proliferare di placca, costringendo alla loro estrazione successiva (seguita, necessariamente, dalla ribasatura della protesi);
3 – forse si sarebbero ottenute una maggior durata dei monconi e anche una maggior “tenuta” della protesi (magari con possibilità di riduzione dell’estensione del fastidioso palato in resina) ricoprendo i monconi con attacchi di diverso tipo tra quelli in commercio (a bottone, a calamita, etc..);
4 – che la c.d. pratica “conservativa” non credo sia riferibile a due banali monconi radicolari, a mio avviso totalmente inutili e, come detto, di breve durata, ma, forse, al mantenimento di elementi dentari funzionali e “funzionanti”
Cordialmente.
Mauro
caro collega,
il mantenimento di appoggi radicolari non viene fatto solo a scopi ritentivi. come tu ben sai, il processo alveolare esiste solo in funzione di sostegno delle radici degli elementi dentali. se i denti vengono estratti l’osso si riassorbe,; se le radici vengono mantenute l’osso si preserva con ovvi vantaggi. Altro vantaggio: è noto che i propriocettori e meccanorecettori più raffinati si trovano nel legamento parodontale; conservando le radici si conservano le informazioni che questi recettori inviano al cervello sulla posizione delle arcate nello spazio, forza di masticazione ecc.
il ricoprire le radici con composito ben lucidato non comporta una ritenzione di placca maggiore rispetto a quella che comporterebbe il bordo di una cappetta protesica , anzi ci consente margini di finitura a zero.
quindi vedi che in natura tutto è utile e io sono per conservare quanto è possibile.
per quello che riguarda l’eliminazione del palato, sai benissimo che chi lo fa, lo fa per soddisfare le richieste del paziente ma è un errore grossissimo dal punto di vista del supporto protesico e crea problemi di instabilità, food impaction e sovrapposizione micotica conseguente