La lesione cariosa che si estende nella zona prossimale e leggermente oltre la giunzione smalto-cemento “Cej” è una delle condizioni più complicate da gestire in restaurativa, con minor predicibilità nel tempo e ampiamente dibattuta in letteratura scientifica.
Questa condizione clinica appare complicata per diversi motivi, tra i quali la difficoltà a isolare il campo operatorio mediante diga di gomma e le non ottimali performance delle procedure adesive nei confronti del substrato dentina-cemento. È però gestibile mediante l’elevazione cervicale del margine prossimale, consistente in un piccolo restauro adesivo in grado di produrre un gradino in resina composita di circa 1,5-2,0 mm in direzione occlusale (in questo caso si parla di proximal box elevation, “Pbe”). La Pbe è una procedura ampiamente riconosciuta nella pratica clinica – e anche in letteratura – seppur con la consapevolezza che il legame adesivo che si ottiene non è paragonabile, per qualità e durata nel tempo, a quello ottenibile nei confronti dello smalto dentale.
Quanto detto sopra ha un razionale in un paziente a basso rischio carie, ma non in un paziente ad alto rischio carie, dove la possibilità di fallimento dell’interfaccia adesiva dentina-cemento è più facilmente sviluppabile (per motivi e con modalità specifiche che non possono essere esaminate in questo breve scritto) sottoforma di lesione cariosa secondaria adiacente al restauro adesivo originale in resina composita.
Nei pazienti a elevato rischio carie le cavità prossimali, derivanti da lesioni cariose, richiedono un approccio diverso rispetto a quello convenzionale, che deve avere come “goal” principale quello di evitare lo sviluppo, in maniera rapida e severa per demineralizzazione del tessuto dentale, della carie secondaria a livello dell’interfaccia tra il gradino cervicale in dentina-cemento e il restauro.
Per gestire questa condizione clinica l’utilizzo dei materiali bioattivi a rilascio e scambio ionico (calcio, fosfato, fluoro) appare una valida scelta, in grado di ridurre l’incidenza di carie secondaria prossimale nei pazienti a elevato rischio carie. Dal punto di vista clinico-operativo il concetto è lo stesso della Pbe, con la differenza che invece di impiegare tecniche adesive convenzionali (sistema adesivo e resina composita) viene impiegato un materiale bioattivo.
I principali materiali bioattivi utilizzabili sono dei prodotti a base vetro-ionomerica rinforzati con resina e la tecnica impiegata è conosciuta da molti anni con il termine di “restauro a sandwich”, vale a dire una base in materiale bioattivo sul quale poggia un restauro adesivo in composito convenzionale o bulk-filling.
I Paesi scandinavi del nord Europa impiegano largamente questa procedura – e non solo nei pazienti ad alto rischio carie – con dati di longevità della procedura, derivanti da trial clinici, a medio e lungo termine (5-10 anni e oltre).
Caso clinico e procedura
La procedura descritta nel caso clinico presentato riguarda la realizzazione di un restauro prossimale mediante tecnica open sandwich.
Si prepara la cavità mediante rimozione della dentina infetta e affetta sul gradino cervicale, sulle pareti assiali della cavità e si ottiene un contorno periferico in smalto sano e ben supportato da dentina sana.
Si procede al condizionamento della dentina mediante applicazione di una soluzione di acido poliacrilico al 10% per pochi secondi al fine di rimuovere lo smear-layer dentinale prodotto durante l’escavazione della dentina cariata.
Per la costruzione della base cervicale in materiale ionomerico la scelta è ricaduta su un cemento vetro-ionomerico rinforzato in resina di ultima generazione, vale a dire rinforzato in resina e ad alta viscosità (Equia fill, GC). Lo spessore della base in cemento vetro-ionomerico è di circa 2 mm.
Al fine di ottenere un’efficace adesione sullo smalto, si è proceduto alla pre-mordenzatura selettiva dei margini di smalto mediante applicazione di un gel di H3PO4 al 35% per 15 secondi (Ultra-Etch, Ultradent) a cui ha fatto seguito risciacquo e asciugatura dello smalto mordenzato con getto d’aria non contaminato.
Le procedure adesive ai tessuti della cavità e alla base vetro-ionomerica (si tratta di un cemento vetro-ionomerico rinforzato in resina) sono state condotte avvalendosi di un adesivo universale seguendo le istruzioni d’uso del fabbricante (Universal Bond, Tokuyama).
Il restauro è stato completato con incrementi di resina composita convenzionale e degli intensivi resinosi fluidi di colore marrone e bianco nei solchi occlusali e sul vertice delle cuspidi (Clearfil Majesty Classic, Kuraray-Noritake).
La fotopolimerizzazione del sistema adesivo e di ogni singolo incremento di resina composita ha seguito i principi della densità di energia luminosa di fotopolimerizzazione.
Bibliografia essenziale
1. Andersson-Wenckert IE, van Dijken JW, Hörstedt P. Modified Class II open sandwich restorations: evaluation of interfacial adaptation and influence of different restorative techniques. Eur J Oral Sci. 2002;110(3):270-275.
2. Poornima P, Koley P, Kenchappa M, Nagaveni NB, Bharath KP, Neena IE. Comparative evaluation of compressive strength and surface microhardness of EQUIA Forte, resin-modified glass-ionomer cement with conventional glass-ionomer cement. J Indian Soc Pedod Prev Dent. 2019;37(3):265-270.
3. Sauro S, Makeeva I, Faus-Matoses V, et al. Effects of Ions-Releasing Restorative Materials on the Dentine Bonding Longevity of Modern Universal Adhesives after Load-Cycle and Prolonged Artificial Saliva Aging. Materials (Basel). 2019;12(5):722. Published 2019 Mar 1.

Stefano Daniele
Tutor al corso di laurea specialistica in odontoiatria e protesi dentaria dell'Università degli studi di Milano, presso l'unità di patologia, medicina e geriatria orale