Sempre più spesso la pratica clinica ci impone di offrire ai pazienti soluzioni protesiche fisse. Altrettanto frequentemente le possibilità economiche limitate ci vincolano nella scelta delle terapie, condannandoci a compromessi nella selezione dei materiali protesici che il più delle volte si risolvono in fratture, decementazioni e lamentele da parte dei pazienti che non si rendono conto di quanto sarebbe stato più dispendioso riabilitare la loro arcata con materiali più garantibili a lungo termine. Da qui la nostra ricerca continua di materiali e tecniche robuste, funzionali, pratiche, durature e non troppo costose.
Lo scopo che ci siamo posti è stato quello di offrire una possibilità valida per riabilitare su impianti un’intera arcata edentula con una dentatura fissa, che non prevedesse più di un tempo chirurgico e protesico e che non andasse incontro a problemi di fratture e distacco dei denti nei primi anni. Da qui la scelta di usare una componentistica protesica con connessione conica per non avere l’ingombro dei cilindri di passaggio delle viti protesiche sui denti posti in concomitanza degli impianti; questi infatti spesso sono deturpati di materiale per fare spazio ai cilindri stessi e dunque così tanto indeboliti da staccarsi o rompersi direttamente. Ciò avviene talvolta così frequentemente da rendere davvero spiacevole l’incontro col paziente in sala d’attesa.
Caso clinico
Il paziente si presenta in prima visita con edentulia totale superiore e inferiore e due protesi totali incongrue.
Ci si focalizza inizialmente sul settore inferiore, essendo quello più mobile e meno accettato dal paziente stesso. Dopo aver creato due modelli di studio e un vallo in cera per poterli relazionare, viene creato un porta impronte individuale che preveda una dentatura ricavata da un ceraggio diagnostico e una fessura là dove sarebbe preferibile inserire gli impianti in relazione alle esigenze protesiche date dall’occlusione ricavata.
Decidiamo quindi di inserire quattro impianti Dental Tech in sede 46-44-34-36. L’intervento non prevede rimodellazione ossea o lembi particolarmente ampi. Il porta impronte viene posizionato ogni qual volta si inizi a fare il foro osseo con la fresa lanceolata o con la fresa da 2 mm, per confermare la posizione corretta di inserimento dell’impianto in relazione alla protesi progettata.
Dopo aver inserito gli impianti e aver ottenuto un torque iniziale compreso fra i 40 e gli 80 N (non difficile in mandibola con gli impianti utilizzati seguendo semplicemente la sequenza frese indicata dalla ditta), posizioniamo quattro monconi a connessione conica interna dritti, scegliendo quelli con tragitto transmucoso da 0,5 mm e altezza protesica da 4 mm. Così facendo eviteremo, a guarigione dei tessuti, spiacevoli scoperture dei bordini metallici dei monconi stessi nel punto non compreso dalle cappette di connessione conica della protesi. Vengono poi posizionati quattro transfer pick-up a strappo e presa un’impronta in Impregum.
Il paziente viene mandato a casa dopo circa un’ora e mezza con delle cuffie di protezione dei monconi molto svasate e ampie, in modo da evitare il collasso dei tessuti nella regione dei monconi che potrebbe rendere difficoltoso e dolente l’inserimento del manufatto protesico il giorno successivo.
Le fasi di laboratorio sono quelle classiche: il tecnico cola il modello e crea una struttura posizionando in articolatore il porta impronta, relazionandolo con l’antagonista grazie ai contatti dentali studiati nel ceraggio diagnostico. Si crea una struttura metallica con un filo di acciaio intrecciato attorno alle cappette coniche protesiche, sulla quale viene poi colata la resina dei denti. Uno dei monconi, il 44, sul modello risulta essere troppo debordante vestibolarmente e quindi segnalato per un piccolo ritocco.
Il giorno successivo in pochi minuti il lavoro viene consegnato e attivato con qualche leggero colpo di martellino in prossimità degli impianti. 15 giorni dopo vengono rimossi i punti di sutura disattivando e rimuovendo il lavoro con un semplice colpo di estrattore. La totale assenza di placca all’interno delle cappette o all’interno dei monconi, così come la qualità dei tessuti, lascia bene intendere quanto siano precise le chiusure ad accoppiamento conico e come sia gradita ai tessuti la totale assenza di cemento.
Il risultato incoraggiante da noi ottenuto andrà sicuramente confermato dal tempo, ma ci aspettiamo che l’ampio spazio protesico lasciato al tecnico in prossimità dei pilastri implantari e quindi l’assenza di zone nella protesi esageratamente alleggerite di resina garantiscano al manufatto una durata maggiore della media, tale da soddisfare il paziente al quale era stata offerta a pari prezzo una soluzione riabilitativa classica mobile di ben diversa comodità e praticità.

Emanuele Savoini
Libero professionista presso i propri studi in provincia di Torino
Collega Emanuele se li hai messo a mano libera sei un tiratore scelto complimenti