Impianti con lunghezza intraossea minore o uguale a 5 mm sono definiti super corti (1, 2). La letteratura dimostra il successo a medio termine di questo tipo di impianti (2-4). L’indicazione principale è la riabilitazione delle creste alveolari gravemente atrofiche posteriori, mascellare e mandibolare (5). L’alternativa all’utilizzo di impianti super corti è la rigenerazione ossea verticale (3, 6).
Per il settore mandibolare posteriore è stato riportato che le tecniche di aumento verticale osseo e impianti differiti comportano un maggiore numero di complicazioni e di impianti falliti, maggiore dolore e giorni di ospedalizzazione, costi e tempi di trattamento più lunghi rispetto agli impianti corti (7).
Caso clinico
Una paziente di 67 anni di età si è presentata alla nostra osservazione con edentulia mandibolare distale ai canini bilaterale e atrofia del processo alveolare con altezza residua al di sopra del canale mandibolare da 5 a 8 mm e una dimensione vestibolo-linguale non inferiore a 7 mm. I restanti elementi dentari presentavano lieve parodontopatia senza significativa perdita di supporto. Sono state fornite le informazioni alla paziente circa le varie possibilità di trattamento ed è stata scelta la terapia implantologica con impianti corti.
Sono stati inseriti, in un unico intervento in sedazione cosciente, 6 impianti Super Short (Biomet 3i) così distribuiti: posizione 34 impianto diametro (D) 5 mm, lunghezza (L) 6; 36 impianto D5xL6 mm, 37 impianto D6xL5 mm, 44 impianto D5xL6 mm, 46 impianto D5xL5 mm e 47 impianto D5xL5 mm.
I siti implantari sono stati preparati con tecnica mista con frese dedicate (Kit FSS, Biomax) e con strumentazione piezoelettrica (Mectron). Il Piezosurgery è stato utilizzato per due scopi: preparazione selettiva del sito implantare nella porzione coronale linguale, per aumentare il controllo dell’asse d’inserimento e per mantenere la parete vestibolare; nella porzione apicale, incrementare in modo controllato la profondità riducendo il rischio di lesione del nervo alveolare inferiore. Una volta posizionati gli impianti in posizione sottocrestale, sono state avvitate delle viti tappo di 4.1 mm di diametro attuando un platform switching immediato. Si è optato per una guarigione sommersa e un’attesa di quattro mesi prima della seconda fase chirurgica. Nel frattempo la paziente è stata riabilitata in modo provvisorio con una placca mobile con ganci a filo. Sono state infine posizionate le protesi fisse definitive consistenti in due ponti metallo ceramica cementati di tre e quattro elementi a destra e a sinistra, rispettivamente. Anche i pilastri protesici sono stati scelti sottodimensionati rispetto alle piattaforme protesiche disponibili. La paziente è seguita regolarmente con follow-up clinico e radiologico annuale, per due anni. In questo periodo non si sono registrate complicanze meccaniche o biologiche. Gli impianti appaiono integrati e in grado di reggere il carico protesico. Non vengono registrati siti al sondaggio con sanguinamento né essudato purulento. Sulla base di queste considerazioni, il risultato implanto protesico a due anni appare soddisfacente.
Discussione e conclusioni
Il caso rappresenta un esempio di ricorso a impianti di lunghezza ridotta rispetto ad altre tecniche chirurgiche quali la rigenerazione verticale con biomateriali (8), le tecniche di innesto a blocco onlay (9) o inlay (10). Le percentuali di sopravvivenza di impianti in aree mandibolari posteriori soggette ad aumento verticale con varie tecniche variano dall’86 al 100% (11). Una recente revisione sistematica con metanalisi ha riportato tassi di sopravvivenza cumulativi del 98,7% e del 93,6%, a uno e cinque anni rispettivamente, per impianti corti (6).
Se l’altezza protesica finale non rappresenta un ostacolo dal punto di vista estetico per la/il paziente, la scelta degli impianti corti inseriti in osso nativo mandibolare può essere considerata valida (7, 9).
Bibliografia
1. Urdaneta RA et al. Int J Oral Maxillofac Implants. 2012 May-Jun;27(3):644-54.
2. Cannizzaro G et al. Eur J Oral Implantol. 2015 Spring;8(1):27-36.
3. Pistilli R et al. Eur J Oral Implantol. 2013 Winter;6(4):343-57.
4. Slotte C et al. Clin Implant Dent Relat Res. 2012 May;14 Suppl 1:e46-58.
5. Annibali S et al. J Dent Res. 2012 Jan;91(1):25-32.
6. Lee SA et al. Int J Oral Maxillofac Implants. 2014 Sep-Oct;29(5):1085-97.
7. Esposito M et al. Cochrane Database Syst Rev.2009 Oct 7;(4):CD003607.
8. Simion M, et al. Clin Oral Implants Res. 2001 Feb;12(1):35-45.
9. Peñarrocha-Oltra D et al. Int J Oral Maxillofac Implants. 2014 May-Jun;29(3):659-66.
10. Felice P et al. Clin Implant Dent Relat Res. 2009 Oct;11 Suppl 1:e69-82.
11. Chiapasco M et al. Clin OralImplants Res. 2006 Oct;17 Suppl 2:136-59.

Stefano Sivolella
Ricercatore all'Università di Padova
Complimenti, un buon lavoro. Un’unica curiosità: perchè a sx a livello del 34 (o 35) hai messo un “corto” e non un “normale” (10 o 11 mm), visto che il forame mentoniero era distale? Ciao. Mauro
Ottimo lavoro, complimenti.
L’unica perplessità che ho riguardo gli impianti corti è relativa allo sfavorevole rapporto corona – “radice”. Non discuto sulla stabilità a lungo termine, ma solo sulla possibilità del mantenimento igienico.
Nel caso presentato, ad esempio, vediamo delle corone abnormemente lunghe con un fornice molto basso dove sembra veramente difficile far arrivare lo spazzolino e tantomeno lo scovolino. Lasciamo perdere il lato estetico…
Capisco che una rigenerazione verticale sarebbe stata molto più difficile e meno predicibile come risultato, però, sembrerebbe essere il sistema che più avvicina ad una situazione simile all’ originale.
Rispondo a entrambe le domande con un unico commento. Prima di tutto, grazie per i complimenti.
Al davanti del forame mentoniero, a sinistra, era bene visibile il canale incisivo nelle radiografie. Questa immagine, associata alla presenza di denti vitali mandibolari anteriori, mi ha fatto decidere per un impianto che non violasse l’area del canale incisivo, per prudenza.
La letteratura suggerisce che il rapporto dimensionale corona/impianto non sia in relazione a variazioni della sopravvivenza implantare.
La questione estetica è fondamentale, e va discussa col paziente, ed accettata da quest’ultimo/a, a priori. Ciò a maggior ragione per l’arcata superiore, mentre l’arcata inferiore spesso “perdona”, poiché la visibilità della corona protesica è limitata.
Per ciò che riguarda l’igiene, non credo vi siano differenze tra il mantenimento in questa situazione o, ad esempio in casi di protesi dento-scheletrica con abbondanti estensioni di materiale rosa. Vanno applicati gli stessi sforzi professionali e del paziente per creare le condizioni di pulizia, fornire ripetutamente le istruzioni e l’armamentario più idoneo ed organizzare i follow up da una parte, e seguire ed applicare le istruzioni ricevute dall’altra.
Per concludere, ritengo che gli impianti corti possano superare le complessità associate ad interventi di rigenerazione verticale.
Il riassorbimento marginale periimplantare è tanto più pericoloso quanto più corto è l’impianto, ai fini della sopravvivenza implanto-protesica. Di conseguenza, le regole chirurgiche, protesiche e legate al mantenimento sarebbero da applicare in modo rigoroso per questo tipo di impianti.