La signora L., 72 anni, sana, non fumatrice, si presentava alla nostra attenzione lamentando un disagio all’arcata superiore durante la masticazione. L’esame obiettivo evidenziava l’edentulia totale dell’arcata superiore riabilitata con una protesi ad appoggio mucoso, mentre l’arcata inferiore era caratterizzata dall’edentulia dei settori latero-posteriori e una riabilitazione con protesi scheletrata; gli elementi mandibolari residui non presentavano lesioni cariose né difetti parodontali.
La protesi totale superiore risultava congrua, ma la paziente non era soddisfatta nemmeno dopo un intervento di ribasatura: di fatto non era disposta ad accettare i limiti intrinseci di una protesi totale ad appoggio mucoso e per questo si decideva di valutare una nuova riabilitazione su impianti.
La paziente era già in possesso di una ortopantomografia dalla quale i seni mascellari risultavano iperpneumatizzati, tanto che la cresta residua nei settori molari era ridotta a una sottile corticale, mentre nel settore anteriore la cresta sembrava avere un’altezza sufficiente all’inserimento di impianti. Alla palpazione la premaxilla risultava essere estremamente sottile. Le immagini radiografiche mostravano che nei settori molari non c’era un volume osseo sufficiente all’inserimento di impianti, mentre anteriormente, pur essendoci un’altezza adeguata, lo spessore variava da 1 a 3 millimetri; inoltre, la premaxilla risultava inclinata in avanti di circa 30° rispetto all’asse protesico ideale.
Dal punto di vista extra-orale, il labbro superiore, senza la protesi totale, risultava scarsamente sostenuto. Per ottenere un corretto sostegno del labbro superiore e per garantire un’adeguata detergibilità, un’eventuale riabilitazione fissa su impianti avrebbe richiesto una ricostruzione tridimensionale della cresta residua, unita ai rialzi sinusali bilaterali, che avrebbe permesso alle piattaforme implantari di emergere in una posizione più vestibolare; una ricostruzione di questo tipo può essere ottenuta attraverso innesti a onlay o tecniche di rigenerazione ossea guidata con membrane o griglie, tutti interventi a elevata invasività chirurgica e a rischio complicanze.
In alternativa alla protesi fissa su impianti si proponeva una riabilitazione rimovibile, stabilizzata da una barra avvitata a quattro impianti (overdenture su barra). Con questo tipo di riabilitazione il sostegno al labbro superiore viene fornito dalla flangia protesica, mentre la detergibilità è facilitata dal fatto che la protesi può essere rimossa dal paziente e che la barra di ancoraggio è distanziata rispetto al margine mucoso. Al tempo stesso la stabilità, una volta posizionata in bocca, è paragonabile a quella di una protesi fissa.
Valutati i pro e i contro delle due proposte, la paziente sceglieva l’overdenture. Per ridurre al minimo la necessità di aumentare il volume osseo, si inserivano 4 impianti con diametro di 2,9 mm e lunghezza di 12 mm (Impianti Narrow 2.9, Leone). La connessione conometrica, e quindi l’assenza di una vite, ha consentito di protesizzare questi impianti con monconi con angolo fino a 35° nonostante il diametro ridotto; l’uso dei monconi angolati ha permesso di inserire gli impianti mantenendo l’inclinazione della cresta ossea residua, sfruttandone al massimo il volume; la scelta di questa tipologia implantare ha fatto sì che la rigenerazione ossea si limitasse alla correzione delle deiscenze ossee attraverso innesto, contestuale alla chirurgia implantare, di osso bovino deproteinizzato e membrane riassorbibili stabilizzate con pin in titanio. Dato il modesto aumento di volume, la chiusura primaria della ferita si otteneva facilmente attraverso rilasci periostali del lembo vestibolare (figg. 1, 2 , 3 e 4).
A sei mesi di distanza dalla chirurgia implantare, si eseguiva la seconda fase chirurgica, avendo cura di mantenere una quota di mucosa cheratinizzata di almeno 3 mm sul versante vestibolare degli impianti (fig. 5).
La settimana successiva, dopo aver verificato l’orientamento degli impianti attraverso dei pilastri di prova (Abutment Gauge, Leone), si sceglievano i monconi Mua con angolo di 7,5° per gli impianti in posizione 14 e 24, 25° per l’impianto in posizione 12 e 35° per l’impianto in posizione 22. In base allo spessore si selezionavano monconi con altezza di 3 mm. I Mua venivano orientati direttamente in bocca e inconati.
Per la realizzazione della protesi si rilevava un’impronta con tecnica pick-up e polivinilsilossano (3M Espe Express Putty e Light). Posizione, forma e colore dei denti erano stabiliti attraverso prove estetiche. Una volta fornite queste informazioni, il laboratorio realizzava una protesi rimovibile ritenuta da una barra avvitata ai monconi Mua (figg. 6, 7, 8 e 9).
La paziente veniva inserita in un programma di richiami igienici semestrali; a distanza di 18 mesi, su richiesta della signora L., la barra e la mesostruttura venivano sostituiti per aumentare la ritenzione. A 24 mesi dalla protesizzazione e 30 dall’inserimento chirurgico, la protesi risultava stabile, i tessuti molli perimplantari privi di infiammazione o sondaggi patologici e il controllo radiografico confermava la stabilità dell’osso perimplantare (fig. 10).
In conclusione, possiamo affermare che l’uso di impianti con diametro ridotto e la possibilità di protesizzarli con monconi angolati consentono di riabilitare casi fortemente atrofici, riducendo invasività, morbilità post-chirurgica, tempi complessivi di trattamento, possibilità di complicanze e costi.
Autori:
Francesco Azzola, Clinica odontoiatrica (Direttore: Prof. L. Francetti) Irccs Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio
Bruno Francesco Barbaro, Clinica odontoiatrica (Direttore: Prof. L. Francetti) Irccs Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio
Stefano Corbella, Clinica odontoiatrica (Direttore: Prof. L. Francetti) Irccs Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio
Si ringrazia Piero Luigi Tomasini (Caravaggio, Bergamo) per la parte odontotecnica

Francesco Azzola
Clinica odontoiatrica (Direttore: Prof. L. Francetti) Irccs Ospedale Galeazzi - Sant'Ambrogio