Nel caso clinico è descritta la riabilitazione di un molare in zona 46 con chirurgia transmucosa due mesi dopo l’avulsione. Il paziente si presentava con lesione endo-perio sul 46 precedentemente trattato endodonticamente e non più ritrattabile.
Si è proceduto all’avulsione in modo atraumatico per mantenere l’integrità delle quattro pareti e favorire la guarigione (fig. 1). Si è proceduto al curettaggio e alla rimozione del tessuto infetto, attuando una tecnica di preservazione. L’impianto RF Ø5 L=12 mm (Bone System) è stato inserito dopo 45 giorni in osso neoformato, in modo da sfruttare la fase di rimaneggiamento in contemporanea con l’osteointegrazione.
Dopo la rimozione dell’elemento transmucoso provvisorio si può osservare lo stato di salute dei tessuti perimplantari (fig. 2). È stato quindi utilizzato un elemento transmucoso definitivo in zirconia con base in titanio, inserito con tecnica Press-Fitting (figg. 3, 4, 5). Risulta evidente come l’elemento transumcoso in zirconia definisce la linea di chiusura del margine protesico (fig. 6 sul).
Il caso si è concluso a tre mesi dall’intervento con la cementazione di un moncone personalizzato in titanio all’interno dell’elemento transmucoso in zirconia (fig. 7), sul quale è stata cementata la corona definitiva in oro-ceramica (figg. 8-9). Tutte le fasi di cementazione sono avvenute sempre al di fuori dei tessuti perimplantari, senza alcun rischio che il cemento rimanga sotto gengiva.
L’importanza della connessione
L’implantologia è in continua evoluzione così come le aspettative e le richieste dei pazienti; oggi è sempre più frequente la richiesta estetica anche nei settori meno visibili.
È proprio la ricerca pressante dell’estetica che deve far riflettere sul ruolo determinante che l’ampiezza biologica svolge nel lungo periodo, per preservare nel tempo il trofismo dei tessuti molli, salvaguardando l’osso da processi di riassorbimento, dannosi clinicamente per il mantenimento estetico a lungo termine.
Sebbene molti studi ritengano fisiologica e inevitabile una perdita d’osso da 0,6 a 2 mm attorno agli impianti, occorre comunque attuare ogni accorgimento per minimizzare tale evento.
Da un attento esame della letteratura internazionale, emerge in modo inequivocabile che gli impianti attualmente in commercio non sono in grado di garantire la salvaguardia dei tessuti perimplantari, in quanto presentano connessioni fra impianto e abutment caratterizzate da un microgap, più o meno consistente, ma comunque in grado di permettere mobilità fra le parti e un passaggio batterico nelle cavità interne dell’impianto, potenziale origine di infezioni.
Nessuna connessione conometrica o per avvitamento a pareti parallele è in grado di impedire il passaggio batterico e di assicurare una sufficiente stabilità. Questo è riportato in letteratura con percentuali di allentamento variabili, ma che possono arrivare a un 8% nei conometrici fino al 45% negli abutment solamente avvitati.
Il monoimpianto è soggetto a ripetuti svitamenti nel tempo e ciò rende difficile per il professionista la gestione delle complicanze. Risulta perciò assolutamente vincente una connessione che associa un doppio concetto meccanico-chimico per la ritenzione, in quanto la componente chimica favorisce una eccellente ripartizione dei carichi su un’ampia superficie di contatto, esclude ogni possibile allentamento o micromovimento e non permette alcun passaggio batterico.
Forse così potremo finalmente parlare di una implantologia estetica, in grado di durare tutta la vita.