Dalla scoperta delle varianti anatomiche alla prova pratica delle ultime tecnologie per l’odontoiatria: la qualità della formazione su cadavere ne ripaga ampiamente i costi (inevitabilmente alti) e può far cambiare il modo di operare
«Vi chiedo il massimo rispetto per i preparati anatomici: sono persone e noi siamo qui e questo corso esiste grazie al fatto che qualcuno ha generosamente deciso di donare il proprio corpo alla scienza». Si apre con questa raccomandazione uno dei tanti corsi di anatomia che il chirurgo orale Mauro Labanca, insieme agli anatomici Luigi Rodella e Rita Rezzani, tiene durante l’anno a Brescia (la prossima edizione è in programma dal 12 al 15 marzo 2017) e a Vienna (dall’8 al 10 maggio 2017). Italian Dental Journal è entrato nelle sale dell’ultima edizione del Corso di anatomia chirurgica e di dissezione su preparati anatomici che si è tenuto in settembre all’Università di Brescia e ha visto dal vivo l’emozione dei partecipanti impegnati a lavorare nel cavo orale di preparati umani freschi, ovvero che non hanno subito alcun trattamento di fissazione. I vasi sanguigni sono però iniettati con resine siliconiche particolari, così da renderli ben visibili nel campo operatorio e dare agli operatori un’esperienza davvero vicina a quella di un trattamento chirurgico su un paziente reale.
Ma il rispetto per i preparati anatomici non è l’unica raccomandazione di cui bisogna tenere conto quando si entra in una sala anatomica. Come in tutte le strutture chirurgiche va tenuto conto del potenziale rischio fisico, ovvero quello di tagliarsi, e soprattutto del rischio biologico: su tutti i preparati viene fatto uno screening accurato per ogni agente patogeno conosciuto, ma qualcosa può sempre scappare a queste indagini . «L’atteggiamento più corretto allora – spiega Rodella – è quello di considerare tutti i preparati anatomici come potenzialmente infetti e operare con le stesse precauzioni che si adottano su un paziente vivo». Anche sul fronte del rischio la finzione della sala anatomica si avvicina tantissimo alla realtà clinica.
Quello che discosta i tre giorni del corso di anatomia dall’attività clinica in studio è invece la possibilità di testare e lavorare con le migliori tecnologie presenti sul mercato. Sì perché i partecipanti del corso di Brescia hanno potuto provare e riprovare il nuovo SiroLaser Blue (Sirona), che permette di eseguire tagli senza contatto grazie alla luce blu del laser; il motore chirurgico iChiroPro (Bien-Air) che attraverso un iPad è in grado di mostrare e registrare tutti i dati tecnico-operativi di un inserimento implantare; il Piezosurgery touch (Mectron), dotato di touch-screen e la sua selettività di taglio (taglia solo l’osso e nessun’altro tessuto); lo strumentario chirurgico Hu Friedy, uno dei più completi e performanti. Il tutto alla luce di lampade scialitiche di ultima generazione e potendo contare sul supporto in tempo reale di un tecnico esperto per ogni apparecchiatura, inviato dall’azienda produttrice.
Cosa si impara?
Ridurre la frequenza a corsi di questo tipo all’acquisizione di nozioni, per quanto utili possano essere, è davvero limitativo. La docenza con esercitazione su cadavere è in grado di trasmettere e stimolare nei partecipanti un approccio diverso al cavo orale, partendo da una maggiore consapevolezza su quello che si vede, che si va a toccare e sul quale si opera. Una consapevolezza che stimola un ulteriore sviluppo delle abilità personali, perché fornisce degli strumenti basilari sui quali costruire competenze manuali sempre più complesse. Non a caso il gruppo dei partecipanti che abbiamo incontrato è estremamente eterogeneo e va dal professionista alle prime armi fino all’odontoiatra esperto, che magari ha eseguito quel gesto chirurgico centinaia di volte ma che d’ora in poi avrà la padronanza e la consapevolezza per farlo in maniera diversa. Magari semplicemente scegliendo il bisturi di quella lunghezza, perché gli eviterà in qualsiasi caso di tagliare per errore la guancia al paziente. Esattamente come qualche giorno prima, egli sarà in grado di estrarre un ottavo incluso, ma ora lo farà portando l’incisione più in là, al di fuori dell’area cheratinizzata, fino al fornice. «Se devo raggiungere una buona gestione degli ottavi devo andare là» spiega Labanca in sala da dietro la mascherina monouso. Così si entra nell’ottica che l’estrazione di un ottavo non è l’atto di togliere il dente ma tutto quello che viene prima, in fase di apertura del lembo, e dopo, quando si sutura. Allo stesso modo «mettere un impianto non è difficile. È difficile aprire bene un lembo e chiuderlo altrettanto bene» dice il chirurgo, che dà molta importanza alla sutura finale: «sta proprio lì la vera difficoltà dell’intervento: chiudere il lembo dopo che la dimensione dell’osso è raddoppiata».
Le emozioni in sala anatomica
Labanca, Rodella e Rezzani ci hanno raccontato come la prima volta che si lavora su preparati anatomici c’è un sacco di curiosità ed emozione nei partecipanti e il tornare il giorno dopo in sala, dopo averci dormito su, consente loro di portare a termine o di provare quello che non sono riusciti a fare il giorno prima. Come in tutte le nuove esperienze, l’emozione deve sedimentare un po’ per potersele godere fino in fondo. «In questi giorni vedrete sei o sette varianti anatomiche tutte insieme e la variabilità dei preparati corrisponde alla variabilità dei nostri pazienti in studio – spiega Labanca prima di portare tutti in sala anatomica –. Il nervo mandibolare è vagamente lì, ma non ha sempre lo stesso aspetto, non ha sempre la stessa struttura, non sempre si trova in quella posizione precisa. È questa la ricchezza di un corso di anatomia».
Andrea Peren
Giornalista Italian Dental Journal