La carenza di saliva può incidere sulle complicanze infettive di procedure odontoiatriche invasive. Per questo è indicato ricorrere a più accurate misure di asepsi e anche a eventuali terapie antibiotiche
«Per molti anni la sindrome di Sjögren primaria è stata considerata una malattia orfana, dal momento che nessuna terapia specifica è stata riconosciuta in grado di contrastare lo sviluppo e la progressione di questo disturbo». È l’inizio di uno dei numerosi articoli scientifici pubblicati da Nicoletta Del Papa, reumatologa dell’Asst Gaetano Pini-Cto di Milano, su questa patologia che coinvolge direttamente anche gli odontoiatri.
«Il trattamento delle caratteristiche orali e oculari, nonché del coinvolgimento sistemico degli organi – afferma infatti la specialista – è stato affidato alla gestione congiunta di diversi medici di sottospecialità, come oculisti, otorinolaringoiatri, dentisti e reumatologi». Questi ultimi sono generalmente più coinvolti nel trattamento del coinvolgimento sistemico extraghiandolare e, per farlo, usano da tempo le terapie convenzionali prese in prestito dai programmi di trattamento adottati in altre malattie autoimmuni sistemiche. «La sfida futura per un sostanziale progresso nell’approccio terapeutico alla sindrome di Sjögren primaria potrebbe essere quella di identificare i meccanismi patologici, gli strumenti di risultato e i biomarcatori che caratterizzano i diversi sottoinsiemi della malattia, al fine di testare terapie target accuratamente selezionate con la più alta probabilità di successo in ciascun diverso fenotipo clinico».
Dottoressa Del Papa, ci può fare una panoramica delle manifestazioni cliniche della sindrome di Sjögren?
La secchezza della bocca e degli occhi con le manifestazioni correlate a tali disturbi – congiuntivite, cheratite per gli occhi, stomatite e carie dentaria per la bocca – sono presenti praticamente in tutti i pazienti. In una percentuale variabile dal 40 al 60% possono essere presenti le cosiddette manifestazioni sistemiche, che possono interessare le articolazioni (artrite), il fegato, i reni, il sistema nervoso, i vasi. Un dolore diffuso di tipo fibromialgico può essere presente nel 30-50% dei pazienti.
I sintomi della malattia rendono peggiore la qualità della vita di questi pazienti e quindi incidono sul tono dell’umore e sulla qualità del sonno, conducendo talora il paziente a una forma di ansia o depressione.
I sintomi peggiorano nel tempo?
I sintomi oculari e orali, se non adeguatamente seguiti e trattati, tendono a peggiorare nel tempo.
Le manifestazioni sistemiche insorgono quasi sempre più acutamente e poi tendono a cronicizzarsi, se non riconosciute e adeguatamente curate.
Qual è il ruolo dell’odontoiatra?
All’odontoiatra e allo stomatologo spetta il monitoraggio e il trattamento delle carie dentarie e delle parodontiti che sono presenti spesso in questi pazienti, indotti dalla scarsità della saliva che, in condizioni normali, ha un importante ruolo antisettico e protettivo sulla mucosa orale e sulle infezioni della bocca e dei denti.
In base alla sua esperienza, gli odontoiatri hanno una preparazione e un’attenzione per intercettare questa patologia e agire in modo corretto?
Molti odontoiatri non conoscono la malattia e quindi difficilmente avanzano il sospetto diagnostico. Negli ultimi anni però tali conoscenze sono molto migliorate e molti odontoiatri sono stati sensibilizzati sulle problematiche della bocca secca e delle malattie ad essa correlate.
In caso di sospetta malattia, il dentista deve astenersi dal fare procedure invasive?
La carenza di saliva può incidere sulle complicanze infettive di procedure invasive. È consigliabile una maggiore attenzione a esse in questi pazienti, nonché più accurate misure di asepsi nelle procedure ed eventuali terapie antibiotiche precoci o addirittura preventive.
Ci può fare un breve cenno alla terapia di questi pazienti?
Nei pazienti con solo sindrome secca oculare e orale la terapia è solo locale e affidata allo specialista oftalmologo e stomatologo. Di solito si usano lacrime artificiali per l’occhio e umidificanti orali per la bocca. Si può usare la pilocarpina per via sistemica per stimolare la secrezione salivare. Tale farmaco però ha effetto solo in pazienti che hanno una residua secrezione salivare e non è scevro di effetti collaterali, che talora sono mal tollerati dal paziente.
Per le manifestazioni sistemiche si ricorre a farmaci antinfiammatori, cortisonici e non, e agli immunosoppressori. La terapia deve essere modulata in ogni paziente e per ogni singola manifestazione.
Ci sono novità nei trattamenti?
L’avvento delle terapie biologiche o biotecnologiche ha indotto a sperimentare tali farmaci anche in questa malattia. I risultati finora sono stati abbastanza deludenti, probabilmente perché si è inteso usare questi farmaci in popolazioni non omogenee di pazienti. Il futuro richiederà una migliore conoscenza dei meccanismi di malattia, non solo nell’intera popolazione dei pazienti, ma in sottogruppi di pazienti omogenei per presentazione clinica. Ogni paziente o sottogruppo di pazienti potrà avere una terapia più mirata sugli specifici meccanismi patogenetici e i relativi sintomi: una medicina di precisione.
Ci può descrivere il vostro studio in cui avete differenziato due tipologie di pazienti?
Nel nostro studio abbiamo evidenziato che i geni attivati in sottogruppi diversi di pazienti sono parzialmente differenti. Questo conferma che usare la stessa terapia sistemica in tutti i pazienti è una procedura destinata al fallimento. Naturalmente i dati raccolti sono molto preliminari per poter suggerire al momento atteggiamenti terapeutici diversi dagli attuali. È comunque il primo step verso la cosiddetta medicina di precisione.
Renato Torlaschi
Giornalista Italian Dental Journal