È evidente come, sia che si tratti i denti decidui che di denti permanenti, i batteri cariogeni in queste condizioni sfuggano alle diverse metodiche di igiene domiciliare disponibili. Di conseguenza, l’umidità, la temperatura, l’ottima disponibilità di terreno di crescita batterica e l’incompleta mineralizzazione di denti ancora in sviluppo diventano tutti fattori determinanti nella formazione della carie occlusale, che in effetti è la più frequente forma clinica di patologia cariosa nell’infanzia.
La sigillatura occlusale è una procedura clinica di applicazione di un materiale (definito “sigillante occlusale”) capace di aderire allo smalto precedentemente condizionato. I sigillanti occlusali hanno la capacità di fluire nelle fosse e fessure occlusali, formando in esse una barriera meccanica protettiva.
Diversi sono i materiali per la sigillatura occlusale proposti nel corso degli anni da quando, già alla fine del XIX secolo, tale procedura è stata proposta come utile mezzo di profilassi professionale della carie dentale. I materiali più convincenti sono tuttavia quelli proposti a partire dagli anni ’50, il cui sviluppo ha portato alle moderne resine composite e ai vari sistemi adesivi.
Dagli anni ’70 si è inoltre assistito a un progressivo interesse verso i cementi vetro-ionomerici quali materiali idonei non solo a sigillare le fosse occlusali, ma anche a indurre un processo chimico di rimineralizzazione dello smalto che circonda le fosse stesse. In effetti tale tipologia di materiale, dopo la sua introduzione da parte di Wilson e Kent (24), si è ampiamente sviluppata estendendo il proprio campo d’azione a molteplici tecniche, inclusa la sigillatura di fosse e fessure occlusali.
I cementi vetro-ionomerici dal punto di vista chimico sono fluoro-allumino-silicati uniti a un polimero, l’acido poliacrilico. Questa composizione conferisce proprietà particolari al composto quali la biocompatibilità, l’adesività a tessuti dentali umidi, un’espansione termica vicina a quella naturale dei denti e un’azione cario-protettiva per presenza di ione fluoro (4, 12, 13).
A seguito delle svariate modifiche apportate a questi materiali nel corso degli anni, oggi distinguiamo quattro tipologie di cementi vetro-ionomerici (5): i CVI convenzionali, i CVI modificati con resina, i CVI ad alta viscosità (o condensabili) e i nano-ionomeri (CVIn).
Scopo
Lo scopo di questa ricerca clinica è stato quello di valutare la morfologia della superficie occlusale di denti posteriori dopo l’applicazione di un sigillante vetro-ionomerico per evidenziare la sua ritentività sui denti presi in considerazione e la presenza di eventuali lesioni superficiali dei medesimi sigilli dopo carico masticatorio naturale a breve termine. Si è dunque voluto valutare l’efficacia clinica nell’utilizzo di questo tipo di sigillante.
Materiali e metodi
Nella nostra ricerca in vivo sono state sigillate le fosse occlusali di 35 molari permanenti, inferiori e superiori, completamente erotti, in un gruppo di pazienti di età compresa tra 6 e 18 anni. I denti presi in esame non presentavano alcun processo carioso o restauro e nessuna sigillatura eseguita precedentemente. Inoltre, i criteri di inclusione prevedevano che i pazienti non fossero portatori di apparecchiature ortodontiche fisse o rimovibili e che avessero una funzionale occlusione di classe 1, senza cross-bite oppure open-bite.
I materiali utilizzati comprendevano spazzole e pasta da profilassi senza fluoro, mordenzante di acido poliacrilco 20% in gel (Riva Conditioner-SDI), sigillante vetro-ionomerico autoindurente (Riva Protect L.V.-SDI), lacca resinosa fotopolimerizzabile per protezione di superficie (Riva Coat-SDI), lampada da polimerizzazione, frese da rifinitura per bassa velocità.
La tecnica di applicazione del sigillante ha seguito le seguenti fasi:
– applicazione di Riva Conditioner per 10 secondi;
– detersione e asciugatura, senza essicazione, della superficie trattata;
– applicazione del sigillante Riva Protect L.V.;
– quando la superficie del materiale ha perso lucentezza, rifinitura, verifica occlusale e applicazione di un sottile strato di Riva Coat con fotopolimerizzazione di 20 secondi.
Il sigillante Riva Protect L.V.-SDI è stato selezionato per la ricerca in quanto prodotto a bassa viscosità e ad alto rilascio di fluoro. Esso, inoltre, può essere applicato in ambiente umido ed è disponibile in cromia sia rosa che bianca.
Dopo la procedura di applicazione i pazienti sono stati istruiti sugli appropriati comportamenti da tenere nell’immediato, anche per quel che riguarda le procedure di igiene domiciliare.
Tutti i pazienti sono stati poi richiamati a distanza di tre mesi per effettuare una valutazione clinica visiva e per sottoporre tutte le sigillature effettuate a indagine fotografica a basso ingrandimento (x10).
In questi controlli le sigillature sono state codificate utilizzando i seguenti parametri:
– ritenzione: completa, parziale, perdita totale;
– infiltrazione: assente, lieve, discreta.
Tutti i dati sono stati poi sottoposti a indagine statistica.
Risultati
Delle 35 sigillature esaminate nella valutazione a basso ingrandimento (x10) a 3 mesi di distanza dall’applicazione, il 45,6% dei campioni presentava ritenzione completa del sigillante, il 40% dei campioni una ritenzione parziale e solo il 14,4% dei campioni mostrava un distacco completo della sigillatura (fig.1).
Considerando soltanto i casi di ritenzione completa o parziale di sigillante, abbiamo valutato le eventuali infiltrazioni marginali presenti, che sono risultate così suddivise: infiltrazioni assenti nel 70% dei casi, infiltrazioni di tipo lieve nel 23% dei casi e infiltrazioni discrete soltanto nel 7% dei casi (fig. 2).
Tenendo poi conto dei casi di ritenzione completa del sigillante, che sono il 45,6% del totale (rispetto al 54,4% di casi con ritenzione parziale o perdita totale di sigillante), in essi le infiltrazioni assenti rappresentano il 56% dei casi, mentre quelle lievi il 44% dei casi. Non sono presenti infiltrazioni di più ampia estensione in questi casi (fig. 3).
Discussione
I risultati da noi evidenziati in tema di ritentività a breve termine dei sigillanti sono coerenti con altre ricerche su questo tema. Ricci et al. (21), in particolare, utilizzando un sigillante autoindurente, non CVI, a bassa viscosità e a rilascio di fluoro hanno evidenziato, a distanza di 3 mesi, caratteristiche di resistenza simili a quelle da noi descritte.
Analizzando i nostri risultati, la perdita totale di sigillante vetro-ionomerico si limita a una percentuale bassa dell’intera campionatura (14,4%). Anche la valutazione delle infiltrazioni marginali delle sigillature effettuate fornisce un dato positivo: queste sono infatti assenti nel 70% di casi di ritenzione completa o parziale. Tale livello basso di infiltrazioni si rileva anche limitandosi a considerare i soli casi di ritenzione completa, in cui le infiltrazioni sono assenti nel 56% dei casi. Il tipo di infiltrazione, inoltre, non è mai ampio: il 23% delle infiltrazioni è soltanto lieve, percentuale che quasi raddoppia tenendo conto solo dei casi di ritenzione completa.
I cementi vetro-ionomerici, se dotati di bassa viscosità, aderiscono con facilità a superfici ben deterse (23). La corretta mordenzatura è un fattore determinante: oltre a una decontaminazione dei residui di film batterico, essa è fattore di incremento di ritentività (6). L’acido poliacrilico al 20% è il mordenzante di elezione per questi materiali (16). L’adesione che si ottiene si può definire come un meccanismo che lega due substrati in uno stretto contatto, tramite un’interfaccia.
Il presupposto per ottenere una buona adesione è il maggior avvicinamento possibile tra i substrati. L’adesivo permette di eliminare il gap esistente tra le superfici, rendendole congrue e complementari. Per questo la mordenzatura trasforma la superficie liscia dello smalto in un substrato irregolare su cui il sigillante può fluire infiltrandosi in solchi e fessure. Il legame chimico che si ottiene è ottimo in uno smalto non disidratato, dunque, e soprattutto per un sigillante CVI la superficie non deve essere totalmente asciutta.
Data la sua alta carica in fluoro, il sigillante CVI da noi utilizzato continua a rilasciare questo ione anche se una parte di esso tende a perdersi: questo meccanismo è stato descritto in generale per tutti i CVI ed è valso loro il nome di materiali “bioattivi”. Il massimo del rilascio di fluoro avviene nelle prime settimane dopo la sigillatura. Trascorso questo periodo essi sono in grado di “ricaricarsi” grazie all’assorbimento di ione fluoro fornito da altre sorgenti nel cavo orale, quali dentifrici e collutori (7) .
Per quel che riguarda le infiltrazioni marginali delle sigillature, è noto che esse possono presentarsi con qualsivoglia materiale (9, 10, 17, 18) a causa della contrazione volumetrica tra materiale e dente in fase di indurimento. Anche il carico masticatorio o occlusale ha un ruolo nel determinismo delle infiltrazioni. Le sigillature occlusali, dunque, sono soggette a potenziali stress che, con il distacco del sigillante, possono indurre un successo parziale del trattamento. Nel caso di CVI, tuttavia, il rischio è diverso: essi infatti hanno un coefficiente di elasticità simile alla dentina e il loro completo indurimento (negli autopolimerizzabili come quello da noi usato) avviene in 24 ore. In questo lasso di tempo avvengono microriparazioni di eventuali aree di vuoto per assorbimento di acqua dal dente e conseguente espansione del materiale. La lenta polimerizzazione poi consente alle molecole di scorrere le une sulle altre, ammortizzando le forze di tensione. Infine, le fratture nei CVI avvengono spesso in modo “coesivo”, all’interno cioè del cemento stesso, anziché tra cemento e smalto (14). Sul piano clinico ciò costituisce un vantaggio, poiché fino a quando una parte di cemento resta in adesione, in quell’area l’effetto protettivo è comunque conservato (15).
La bassa viscosità del sigillante CVI, come quello da noi utilizzato, resta la variabile più importante nel determinismo di eccellenti proprietà fluide e ottima bagnabilità della fessura.
La viscosità è la grandezza fisica che quantifica la resistenza dei fluidi allo scorrimento e quindi il grado di coesione del fluido. La qualità del riempitivo determina la viscosità di qualsiasi prodotto. La bassa viscosità è determinata da una maggior componente fluida che aumenta la penetrabilità del sigillante nella fessura. Bassa viscosità ed alta bagnabilità sono peculiarità anche di altri materiali in odontoiatria. Un buon esempio è rappresentato dai compositi flowable, che vengono infatti utilizzati anche come sigillanti (2,3). Il sigillante CVI da noi utilizzato è a bassa viscosità, ma ha ugualmente un alto rilascio di fluoro, grazie a una sua specifica tecnologia di produzione. Questo è obiettivamente un vantaggio in prevenzione, visto che la ricerca sui sigillanti CVI ha spesso dimostrato che l’alto rilascio di fluoro è peculiare dei composti ad alta viscosità.
Conclusioni
In base ai risultati ottenuti riteniamo che il materiale sigillante CVI a bassa viscosità da noi utilizzato (Riva Protect L.V”.-SDI) riesca a ben fluire nelle fessure e fosse occlusali, penetrando in profondità se applicato con procedura clinica standardizzata e ben realizzata.
Inoltre, essendo esso fornito non solo in colore bianco, ma anche rosa, con quest’ultimo vi è alta possibilità visiva di individuare il materiale nei controlli successivi. L’alto rilascio di fluoro di questo materiale è un ulteriore fattore di successo clinico. Ma è soprattutto interessante l’eccellente capacità di sigillo marginale del prodotto, evidenziata dalla presenza di scarse e lievi infiltrazioni dei margini stessi da noi riscontrata.
La resistenza meccanica naturalmente tende a ridursi nel tempo e può comportare distacchi parziali o anche completi dei sigilli, seppure in limitati casi. Indubbiamente le sigillature in resina composita (11, 19, 20) o in CVI modificati con resina (22, 25), sembrano fornire caratteristiche più confortanti di resistenza meccanica (1, 6, 8, 26). Tuttavia l’indicazione all’utilizzo di un CVI tradizionale come sigillante resta indiscussa, soprattutto in determinate situazioni cliniche quali:
– soggetti i tenera età poco cooperativi con solchi e fessure di denti molari, sia decidui che permanenti, difficili a isolare;
– sigillature su primi o secondi molari permanenti non completamente erotti;
– sigillature transitorie per soggetti ad alto rischio di cario-suscettibilità con necessità di rimineralizzazione con fluoro, prima della realizzazione di una sigillatura definitiva.
Gli autori dell’articolo sono:
Giuseppe Gola, Professore a.c. in Pedodonzia, università Vita-Salute San Raffaele di Milano, C.L.I.D. (Presidente: Prof. E. Gherlone)
Gabriella Pasini, Professore a.c. e tutor, coordinatore tecnico tirocinio, università Vita-Salute San Raffaele di Milano, C.L.I.D.
Corin Lucchiari, Dottoressa in Igiene Dentale, università Vita-Salute San Raffaele di Milano, C.L.I.D.
Elisabetta Maria Polizzi, Professore a.c. e tutor, coordinatore clinico, università Vita-Salute San Raffaele di Milano, C.L.I.D.
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Giuseppe Gola
Professore a.c. in Pedodonzia, università Vita-Salute San Raffaele di Milano, C.L.I.D.