Dopo anni a parlare di telemedicina, ora sembra davvero il momento di fare un balzo in avanti. Già otto anni fa la Commissione Europea aveva preparato un piano strategico per abbattere le barriere all’utilizzo diffuso della telemedicina nei sistemi sanitari europei ma, almeno in Italia, poco è stato fatto. Il Covid19 ha fatto emergere il grave ritardo nella riforma dei servizi territoriali, mostrando la necessità di spostare l’assistenza dei malati cronici dall’ospedale al territorio. L’uso della telemedicina è fondamentale per la prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione e monitoraggio e bisogna ora considerarla come parte integrante del percorso di cura. È questa la riflessione di contesto emersa durante il webinar “Cronicità e telemedicina. La lezione di Covid19”, realizzato da Motore Sanità grazie al contributo incondizionato di Daiichi-Sankyo. Il webinar è andato in onda sul sito internet www.motoresanita.it. Durante la diretta, esperti di tutta Italia si sono confrontati per porre le basi per rendere finalmente concreto l’utilizzo della telemedicina in Italia.
«La telemedicina, cioè la prestazione di servizi di assistenza sanitaria mediante le tecnologie informatiche, crea una rete telematica fra medico, infermiere, malato e caregiver. La sua diffusione nel contesto clinico ha fatto progressi limitati per molti anni – ha dichiarato Gianfranco Gensini, presidente onorario della Società italiana di salute digitale e telemedicina (Sit) –. Oggi le problematiche connesse con Covid19 hanno posto la telemedicina al centro dell’arena, per la sua capacità di raggiungere pazienti remoti colpiti da Covid19, offrendo loro supporto, consulenze esperte, ospedalizzazione domiciliare. Allo stesso tempo offre ai tanti pazienti fragili che devono eseguire controlli o adeguamenti terapeutici la possibilità di essere seguiti appropriatamente evitando spostamenti e il connesso rischio di contagio. Covid19 ha colpito molto duramente il nostro mondo – ha concluso Gensini –, ma certamente ha consentito che le possibilità connesse con la medicina digitale emergessero, finalmente, in tutta la loro potenza operativa, consentendo anche in prospettiva una riformulazione di percorsi e processi di cura che tengano conto di tutto il supporto del digitale».
Stop all’improvvisazione «L’emergenza Covid19 ha costretto pazienti e sanitari a utilizzare moltissimo le tecnologie digitali per improvvisare nuove modalità allo scopo di restare in contatto gli uni con gli altri anche a distanza – rileva Francesco Gabbrielli, direttore del Centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità –. In Italia siamo passati da circa 450 esperienze in telemedicina attivate nel Ssn in quattro anni (dal 2014 alla fine del 2017), a un centinaio di nuovi servizi in tre mesi. In pratica abbiamo fatto in quei tre mesi quello che prima veniva fatto in un intero anno. Tuttavia, l’improvvisazione utile in emergenza non può costituire il modello di riferimento per sviluppare un sistema di servizi in telemedicina uniformi su tutto il territorio nazionale. La telemedicina è medicina e come tale va studiata, applicata e organizzata. In telemedicina si compiono atti medici e attività assistenziali di cui i sanitari sono pienamente responsabili, anche se a distanza – ha detto Gabbrielli –. Il fatto che un software o un dispositivo medico funzionino bene non garantisce affatto l’efficacia clinica e la sicurezza sanitaria della prestazione. Questo perché non è il singolo oggetto che conta in tale valutazione, ma il modo in cui software e dispositivi digitali sono combinati tra loro all’interno di un’adeguata procedura medica. Con la telemedicina – ha concluso l’esperta – si possono superare molti limiti dell’attuale sistema sanitario e si possono costruire migliori servizi ora e nuove terapie nel futuro. Occorre farlo senza ingenui entusiasmi, ma con seria ricerca medica».
In ogni caso per Giovanni Gorgoni, direttore generale AReSS Puglia, «La tecnologia di sanità digitale è di grande ausilio rispetto alla prossimalità delle cure, ma non deve essere considerata sostitutiva. Bisogna però fare chiarezza sulla classificazione di ciò che è dispositivo medico e ciò che non lo è, sia che parliamo di software o di device. Uno sforzo molto importante è quello di riprogettazione del flusso organizzativo, dovendo tener conto anche delle capacità dell’utente e non solo più dell’operatore. Bisogna quindi tenere conto anche della formazione e alfabetizzazione, sia sull’utilizzo delle piattaforme informatiche come anche sull’utilizzo degli strumenti, sia lato operatore sanitario, sia lato utente o caregiver dell’utente».
Andrea Peren
Giornalista Italian Dental Journal