Dottor Landi, quale futuro vede per la telemedicina in odontoiatria in questa lunga fase di convivenza con il virus? Va incentivata tra i colleghi?
La telemedicina è una realtà già consolidata in molte branche della medicina come la radiologia e la cardiologia, dove la lettura di dati strumentali può essere fatta in remoto con un ottimo livello di efficienza e accuratezza. Per l’odontoiatria la cosa è più complessa perché siamo una branca operativa, dove la diagnosi radiologica o delle immagini cliniche da sole non possono sostituire la visita clinica in presenza. Tuttavia, il lockdown ha accelerato un processo che già negli Stati Uniti e in altri paesi europei è partito con esperienze iniziali promettenti.
In Italia ci sono già delle App disponibili per quello che riguarda la diagnosi delle lesioni orali, dove alcune notizie anamnestiche e una foto clinica sono sufficienti per associare una lesione delle mucose con un quadro clinico preciso. Anche l’ortodonzia ha introdotto strumenti digitali che permettono di inquadrare il paziente e di monitorare i progressi della terapia attraverso uno studio di fotografie standardizzate raccolte direttamente dal paziente e inviate allo studio odontoiatrico.
Sidp si sta interessando attivamente di questi aspetti digitali, che potrebbero essere di aiuto per monitorare il paziente affetto da parodontite o che è portatore di impianti dentali. Siamo solo all’inizio di questo processo e pertanto è necessario che lo strumento del controllo a distanza sia utilizzato con cautela e solo su quei pazienti che sono in terapia attiva, o di supporto ove la documentazione clinica e radiografica già raccolta è fondamentale nell’inquadrare la natura del problema o della eventuale complicanza.
Un esempio italiano è quello relativo a uno studio di coorte fatto dal professor Pippi e collaboratori della Sapienza di Roma, che dimostra come il controllo telefonico post-estrazione chirurgica dei terzi molari non determini maggiori complicanze post-operatorie rispetto a un controllo in presenza.
Presidente, una buona telemedicina passa anche per sistemi informatici efficaci perché dedicati a questo scopo. A quale piattaforma sta lavorando Sidp?
In realtà crediamo che non sia un problema di sistemi informatici ma della loro evoluzione futura. Mentre al momento l’approccio prevede un sistema che permetta al paziente di interfacciarsi con il clinico attraverso immagini e questionari guidati, il futuro ci fa intravedere soluzioni in cui potrebbe entrare l’intelligenza artificiale a mediare questa interazione. Crediamo che su questo sia necessaria un’attenta riflessione, poiché nel nostro campo la sola lettura dei dati può non essere sufficiente ad inquadrare correttamente il paziente e i suoi problemi clinici.
Al momento abbiamo già nel nostro portafoglio due applicazioni: la prima (GengiveINforma) che permette al paziente di determinare il profilo di rischio e quindi la suscettibilità di avere o sviluppare una parodontite. La seconda (Sidp PowerUp) permette di inquadrare il paziente da un punto di vista diagnostico alla luce della classificazione pubblicata nel 2018. Il primo è uno strumento interamente digitale che attraverso cinque semplici domande identifica il rischio del paziente, mentre il secondo ha un uso professionale e richiede l’immissione dei dati clinici raccolti nella visita all’interno dell’algoritmo, formulando una diagnosi accurata parodontale o perimplantare.
La telemedicina può nascondere delle insidie medico-legali, legate soprattutto a mancate o errate diagnosi a distanza: quali accorgimenti è importante attuare in questo senso?
Grazie di questa domanda, che mi permette di sottolineare ancora quanto detto in precedenza. Allo stato attuale delle cose in odontoiatria la telemedicina non può sostituire la diagnosi clinica fatta in presenza e nella migliore delle ipotesi può dare un contributo di assistenza su pazienti già diagnosticati e inquadrati per quello che riguarda la gestione della terapia di supporto o nella identificazione di eventuali complicanze post-operatorie. Spesso assistiamo infatti a un uso inappropriato del mezzo digitale, non solo per eseguire diagnosi basate su semplici immagini radiografiche ma, anche, proponendo approcci terapeutici basati su dati insufficienti e tentando di standardizzare le cure proprio in un momento storico che tende invece a incentivare una medicina personalizzata. Un rischio enorme quindi sia di una mancata che di una errata diagnosi.
La tecnologia sarà certamente raffinata nel tempo, migliorando quello che sarà la raccolta di dati e contemporaneamente istruendo il paziente sulle potenzialità e i limiti di una valutazione in remoto ma, attualmente, per prevenire tali rischi, è necessario fare appello a una maggiore consapevolezza da parte dei clinici dei limiti attuali delle risorse digitali e al rispetto dei principi deontologici che devono ispirarci quotidianamente.
Andrea Peren
Giornalista Italian Dental Journal